di Marilù Oliva

Munch.jpg[Marilù Oliva, collaboratrice di Thriller Magazine, è autrice del romanzo Repetita, pubblicato da Perdisa editore. Su Carmilla ha di recente presentato, in due puntate, un’ampia intervista a Loriano Macchiavelli.]

Stasera Matilde è da capogiro. Indossa una tutina a pantaloncino in pelle nera, è un pezzo unico, con una cerniera che parte dall’ombelico e arriva fino al seno, esibito come sempre. É una stangona coi capelli lunghi e mogano, zigomi alti, labbra di fiamma, occhi dal taglio sottile e trucco smodato. Mi piace averla al mio fianco, è la donna più provocante che io conosca. Poi è tanto bella quanto docile, anzi: è spersonalizzata, ovvero totalmente priva di personalità, e fa tutto ciò che le chiedo perché mi stima. Pensa che io sia intelligentissima solo perché ho le idee chiare sul mio futuro: voglio fare l’attrice. O la show-girl, c’è qualche differenza? Confonde il mio cinismo con il carisma. E non sa che è proprio questo, il cinismo, che mi farà arrivare dove voglio.

Hanno detto che in questo locale stasera arriverà il Ministro. Il Ministro, come il suo Premier, ha un debole per le donne procaci. Ha spianato la strada a molte signorine accondiscendenti, televendite, particine in qualche sceneggiato, le più fortunate sono finite pure in politica, questo Ministro è un benefattore con chi lo asseconda. Gli altri, cazzi loro.

Al bar io e la mia amica catturiamo l’attenzione. Siamo clonate dalla stessa televisione che ci ha svezzate e cresciute: alte, magre, seno pieno di nuovissime protesi a palloncino, sopracciglia inarcate dal botox e labbra gonfie. Lei però è molto più appariscente di me.
Le si avvicina qualche uomo, approccio volgare, lei desiste, le basta fare la sua porca figura con le gambe incrociate, trincerate dietro quegli stivali alti fino alle cosce. Quando appoggia i gomiti sul bancone e fa la gattona col barman, lui non ascolta più le ordinazioni, gli si spappola il cervello e ci serve gratis tutto quello che chiediamo. Per bere Matilde accosta lentamente il bicchiere alla bocca aprendo le labbra come se stesse per schioccare un bacio, manda giù chiudendo un secondo gli occhi poi sorride.
Io lo so perché sorride. Le scapperebbe un rutto, ma il suo ideale di femme fatale glielo fa trattenere in gola e lì lei lo sente frizzare. Quando siamo sole, invece, ne scappano a bizzeffe, di rutti, e ci divertiamo anche a parlare ruttando, ma qui no. Abbiamo i nostri valori, noi.

Ci accendiamo una sigaretta e lo vediamo arrivare velato dalle nostre nuvole di fumo. Il Ministro. Sappiamo molte cose su di lui. Sappiamo che prende le donne se son giovani e fresche, preferibilmente con le tette alla plastica, e noi abbiamo tutti i requisiti. Sappiamo che ha problemi di erezione e si fa praticare quasi esclusivamente sesso orale. Sappiamo che sulla mano destra ha una verruca grossa come uno scarafaggio e non se la fa togliere perché ha paura della bruciatura. Sappiamo che stasera è senza guardie del corpo perché sono impegnate ad accompagnare sua moglie nella loro villona hollywoodiana di Porto Cervo. Sappiamo infine che il suo ministero si è impoverito di risorse e appesantito del suo parentado, in primis di una nipote pluribocciata che guadagna 12.000 euro al mese per stabilire quale topicida il portiere debba utilizzare per cacciare i sorci dai sotterranei del Palazzo.

Il Ministro si avvicina a noi con intenzioni palesi. E palesemente io capisco che non punta me, vuole Matilde. Prevedibile: io sono molto meno vistosa. Non mi saluta neanche di striscio e la circuisce viscidamente. Le parla in una maniera capziosa che ha tutta l’aria di una promessa.
Non è invidia quella che m’infiamma le guance, è molto di più. Io ho uno scopo nella vita, diventare una star. Del cinema o della TV, di qualcosa. Essere qualcuno. Una Vip. Voglio soldi, visibilità, voglio feste in yacht da sceicchi. Matilde non è ambiziosa, resterà la commessa che ha sempre voluto essere.
Dopo dieci minuti me la trascino in bagno.
«Matty, allora? Cosa ti ha detto?»
«Eh, che sta per partire un quiz con un corpo di ballo composto da cinque ragazze, ne hanno trovate quattro e stanno cercando l’ultima. Lo studio verrebbe adibito a grande stagno, con l’acqua in mezzo e, pensa un po’, sai chi ci sarebbe sulle ninfee? »
«Chi?»
«Le ragazze, le ballerine! Si chiamerebbero le ranocchiette. Io gli ho detto che non so ballare…»
«E lui?»
«Ha alzato le spalle e ha detto: Be’? Che c’entra?»
La mia amica mi studia investigando sul mio stato d’animo. Io la tengo sulle spine, mi accendo un’altra sigaretta, inspiro forte e cerco una conclusione: «Quindi? »
«Quindi, io non me la sento.»
So che lei stravede per me e che vorrebbe porgermi quell’opportunità su un piatto d’argento.
«Non te la senti. Ripeto: quindi? Butti via l’offerta? Non me la passi? Pensavo che tu credessi nell’amicizia.»
I suoi occhi sono tutti su di me, sulla mia fronte, sulla mia bocca, a cercare un indizio.
«Certo che ci credo! Ma come faccio a passarti l’offerta?»
Scuoto la testa: « Nessuno ti dà niente per niente.»
Do un’altra boccata e le butto il fumo tra i capelli, poi le dico: «Matty, te lo devi fare. Solo se te lo fai mi farà fare la ranocchietta.»
Sorride, pensa che sia uno scherzo. Ma io sono serissima.
«Non puoi farmi perdere questa occasione.»
«Tu sei matta!»
«No, sono realista. Lo sai quanto ci tengo a lavorare nel mondo dello spettacolo. Devi farlo. Devi farlo per me.»
«Ma è un mostro! Poi ha una verruca che sembra un grillo, sulla mano! Mi fa schifo!»
«E allora? Non devi mica fargli il baciamano! Lo sai benissimo cosa vuole. Fagli un pompino. Vai in bagno, gli tiri giù i pantaloni, ti abbassi, lo prendi in bocca, ti muovi un po’, è un attimo! Non devi fare un’opera d’arte, non è mica Brad Pitt!» Poi faccio la colta, so che questo sortisce un certo effetto su di lei: «Siamo in un’epoca consumistica e liberistica, è solo uno scambio.»
Mi fissa in silenzio e io le pianto il naso contro il suo:
«Cazzo, Matty, quante storie! Adesso te lo fai.»

Si allontana con la sua camminata da Jessica Rabbit e io non mi sento né più cattiva né più opportunista. Tutti ci usiamo, tutti ci freghiamo. Guardale, le mie compagne delle superiori che si sono laureate. Disoccupate, precarie, lavoretti part-time nei call center. Insoddisfatte, a contare i soldi per la spesa. In questo mondo vincono i furbi ed io non posso lasciarmi scappare un’occasione così. Divoro la sigaretta fino al filtro poi mi abbandono con la testa sulla spalliera del divano e comincio a fantasticare sul costume verde da ranocchietta.

Quando Matilde torna è tardi. Ha il viso impallidito di chi è stato sotto la pioggia senza ombrello. Non brilla più come prima. Lei che di solito scintilla tra la folla, ora si mimetizza opaca. É una farfalla senza più polverina nelle ali, è una farfalla che ha perso il talento del volo.
Quasi quasi mi dispiace.
«Allora, com’è andata?»
Si mette la mano davanti alla bocca come se le scappasse un rigurgito.
«Quanto ci ha messo?»
Apre tutte le dita della mano.
«Cinque minuti? E cosa avete fatto fino adesso?»
Si siede, si appoggia le mani sulla fronte e sta in silenzio.
«Okkei, ti vuoi riprendere, hai ragione. Hai sete?»
Fa di no col dito. Poi mi guarda con un’espressione molto preoccupata. La incalzo: «Allora, mi racconti?»
Scuote la testa: «… ho fatto una cazzata…»
«Cos’hai fatto?»
Si tira indietro i capelli col suo movimento morbido, come se si passasse una grande carezza dalla guancia alla nuca: «Senti, io ho fatto come volevi tu. Gli ho parlato di te, lui mi ha fatto capire che mi voleva e che… ci potevamo accordare, se lo seguivo in bagno.»
Raccoglie un bicchiere che chissà quale avventore aveva lasciato sul tavolino e si scola l’ultimo dito di un rum annacquato da ghiaccio sciolto. Si tocca lo sterno con la mano e prosegue:
«Ho fatto come mi hai detto. Non ho pensato alla verruca, ci sono stata alla larga, ho fatto tutto io, è durato anche meno di cinque minuti. Però…»
«Però cosa?»
Mi guarda con tutto lo sconforto che conosce: «Mi dispiace….»
Alzo la voce: «Però cosa?»
«Lui non farà niente per aiutarti. Era solo una promessa per avermi. É già fuori che se ne sta andando.»
Sento dei fuochi d’artificio scoppiettare in testa, chiudo le mani a pugno, la mascella è un pezzo unico in digrigno. Mi dirigo verso il guardaroba continuando a imprecare e afferro il cappotto senza neppure indossarlo. Lei mi segue zoppicando per i tacchi che fanno male ai piedi, dispiaciuta per l’esito del suo gesto eroico, una corsa alla macchina e metto in moto. Il parcheggio è praticamente deserto, sconfina con la campagna, la nostra macchina è al centro. Il parabrezza è appannato quando parto, ma non abbastanza da non lasciarmi un triangolino di vetro per comunicare con l’esterno. E da lì lo vedo. Il Ministro, solo, che si avvia lentamente verso la sua Porsche.
Lo punto e accelero verso di lui.
«Cosa fai?» la voce di Matilde è stridula, come di chi ha paura: «Cosa faiii??»
Spingo ancora di più sul pedale, il Ministro sente il rumore aspro dell’accelerazione, si volta, un braccio per aria, sono più vicina, più vicina, ancora di più, lui alza anche l’altro braccio per difendersi ma ormai è troppo tardi. Sento il tonfo contro il cofano, lo sento per terra, mentre gli passo sopra, lo sento come una duna di terra umida, né dura né soffice, lo risento quando faccio retromarcia per ripassargli sopra e la macchina sussulta mentre io continuo a gridargli luridofigliodiputtanapezzodimerda, vaffanculoteeiltuoministerodimerda e quellatroiadituanipotecapronacoisuoi12.000euromensili, e me lo sento ancora sulle ruote, mentre imbocco la tangenziale, con le sue bugie da omuncolo triste e la sua verruca del cazzo.
Siamo quasi sole sulla strada, la voce di Matilde è un flauto di Pan da cui esce un flebile suono:
«Ma cos’hai fatto?»
La fulmino un secondo con gli occhi: «Come, cos’ho fatto? Non ci si comporta così. Le promesse si mantengono. Sono una che ha dei valori, io.»