di Sandro Moiso
H.P. LOVECRAFT, DA ALTROVE E ALTRI RACCONTI, scritto e disegnato da ERIK KRIEK, Edizioni Eris, Torino 2014, pp. 112, € 16,00
Colui che sussurrava nel buio.
Un titolo misterioso, accompagnato da una delle enigmatiche copertine di Karel Thole, attrasse la mia attenzione tra le centinaia di romanzi di SF che riempivano gli scaffali di un negozietto della Barriera di Milano. Alla metà degli anni sessanta, in uno dei quartieri più proletari di Torino, avvenne così il mio primo incontro con il solitario di Providence: Howard Phillips Lovecraft (1890 – 1937).
Quella sera lessi il primo dei tre racconti contenuti in quella breve antologia e da quel momento i rumori della vecchia casa di campagna in cui passavo l’estate non sarebbero più stati gli stessi.
Poco tempo dopo, la lettura di una più ricca antologia, comparsa nel frattempo,1 mi avrebbe fatto percepire in quell’autore, autentico maudit dell’America puritana, qualcosa di più dell’orrore e della paura.
Avrei scoperto che l’orrore e la paura vera non derivano da esseri più o meno mostruosi nascosti nelle tenebre e neppure soltanto dalla morte. Era la vita stessa che poteva terrorizzare.
Fin da bambino i miei sonni erano stati interrotti o rinviati dal pensiero del nero, inimmaginabile nulla rappresentato dalla morte. Ma quello scrittore ateo, materialista, razzista, sessuofobo, morto di cancro all’intestino a quarantasette anni, mi rivelò un’altra ben più atroce verità.
La vita stessa, l’esistenza quotidiana potevano nascondere un nulla ben più spaventoso e orripilante. Forze oscure, vecchie, insensibili ai destini individuali e collettivi della specie umana dominano il nostro destino e lo determinano in maniera assolutamente casuale.
A differenza di altri scrittori del genere fantastico o gotico, Lovecraft non crede in una lotta tra il male e il bene, non propone tormenti cui la morte può porre, comunque, termine.
Non c’è nella sua scrittura possibilità di salvezza, lieto fine o anche solo di una dolorosa trasfigurazione o palingenesi.
C’è solo l’assoluta certezza della vanità ed inutilità della vita e del cosmo stesso.
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Lovecraft è figlio del Novecento e delle forze demoniache che lo hanno fondato.
Ne è lo spietato e disilluso cantore.
I suoi dei ciechi e idioti che ballano nudi al centro dell’universo al suono di una blasfema cacofonia di flauti e tamburi, che strisciano o sorgono da abissi innominabili per condurre nella propria perdizione gli esseri umani che li evocano, possono davvero rappresentare una delle più terribili metafore delle forze che hanno agitato il secolo appena finito.
Attraverso la sua opera conobbi il nichilismo.
L’uomo muore, il cosmo muore e la morte stessa finirà con il morire.
E quegli dei vivono da morti e nutrendosi di morte.
Non vi può essere condanna più spietata della condizione umana e della vita stessa. E dell’inutile desiderio di conoscenza che anima la scienza.
Troppo esplosivo, troppo distruttivo per essere maneggiato con vantaggio da chi difende l’esistente, il solitario di Providence condivide con Céline uno spazio unico nella letteratura del ventesimo secolo. Con buona pace degli intellettuali organici e da salotto.
Che non hanno mancato di tacciarlo spesso di inconsistenza per l’esilità delle trame, gli scarsi dialoghi e il mancato approfondimento psicologico dei personaggi. Non cogliendo così il lavoro di scavo nella psiche di un intero secolo svolto in anticipo, all’inizio del ‘900, dall’autore americano.
Come ben ricorda la postfazione di Milan Hulsing alla raccolta di storie di Lovecraft disegnate da Erik Kriek, una sorta di omaggio, molto importante, che le Edizioni Eris con il volume qui preso in esame hanno voluto porgere ad uno dei più importanti autori del fantastico del ‘900.
Importante perché le sue storie sono state sempre molto difficili da trasporre sul piano delle immagini, sia al cinema che nei fumetti. L’orrore cosmico scaturito dai suoi sogni e dalle sue pessimistiche riflessioni sul divenire universale, così terrificante e profondo per la mente del lettore attento, non ha mai trovato una realizzazione “visibile” soddisfacente.
Certo alcune tavole realizzate da svariati autori e dedicate soprattutto a rappresentare lo stesso Lovecraft accompagnato da alcuni dei suoi incubi sono indubbiamente efficaci, così come lo sono stati un paio di film del regista americano Stuart Gordon2 nel ricreare l’atmosfera delle sue storie, ma, anche in anni recenti, il tentativo di trasferire un’intera sua storia, o anche solo ispirata dal suo personale universo di orrori, sulle pagine a fumetti o sullo schermo cinematografico è risultato quasi sempre deludente e fallimentare.
Ci è riuscito pienamente invece l’olandese Kriek3 che, ispirandosi ancora una volta ai disegnatori americani della EC Comics degli anni cinquanta, in particolare Al Feldstein, Warren Kremer e Johnny Craig, ha rappresentato con giusto senso del terrore e dell’orrore cinque storie ben adatte ad illustrare l’universo maledetto del creatore dei miti di Chtulu.
Le immagini, che sembrano appena uscite da vecchi albi a fumetti pulp quali Eerie, Tales from the Crypt, Spook, Black Cat Mistery o Crime SuspenStories, servono egregiamente a riproporre il clima lovecraftiano e il bianco e nero dominato dall’utilizzo di tutte le possibili sfumature del grigio rende davvero superfluo l’uso del colore. Oggi forse fin troppo importante nel fumetto mainstream dalla Marvel alla DC Comics passando per la pessima abitudine, anche nostrana, di ricolorare storie a fumetti originariamente comparse in bianco e nero.
Soprattutto ne “Il colore venuto dallo spazio”4 i grigi di Kriek sembrano richiamare immediatamente quel colore maledetto che trasforma la tranquilla campagna del Rhode Island e del Massachusetts in una landa aliena in cui la vita non cessa, ma si trasforma in qualcosa di mostruoso e pieno di dolore.
Autentica, involontaria, anticipazione degli orrori dell’inquinamento e della radioattività, la trama della vicenda, in cui ignoranza, senso della proprietà privata, avidità e paura contribuiscono all’inevitabile catastrofe, è rappresentata dal disegnatore di Amsterdam con ineguagliabile senso di disperazione e di disordine che rinvia immediatamente alle geometrie blasfeme dei sogni dell’autore americano fin dall’impostazione grafica delle pagine.
Così come altrettanto angoscianti sono le pagine che illustrano le vicende di “La maschera di Innsmouth” (altra classica storia lovecraftiana), in cui un uomo in fuga da un’orrida progenie derivata dall’incrocio di esseri umani ed esseri provenienti dagli abissi marini, scopre di essere discendente dalla stessa stirpe che, sempre per avidità, l’ha fondata. Oppure degli altri tre racconti contenuti nel libro della Eris: “L’estraneo”, “Da altrove” e “Dagon”.
Un’altra estate calda, in tutti i sensi, sembra attenderci e le storie di Lovecraft riprodotte da Kriek potrebbero costituire un ottimo, anche se insicuro, rifugio dalle banalità di base dell’orrida informazione quotidiana (dalla mai avvenuta “miracolosa” parata di Buffon nell’incontro calcistico tra la nazionale italiana e quella tedesca alla pirandelliana diatriba interna al PD sulla scelta tra il Sì oppure il No per il referendum autunnale).
Magari accompagnate dalla musica degli psichedelici H.P. Lovecraft, formatisi a Chicago e poi trasferiti a San Francisco con due album registrati nel 1967 e nel 1968, pieni di titoli ripresi direttamente dal loro ispiratore,5 a metà strada tra i sapori della West Coast e la Metal Machine Music di Lou Reed. Oppure dal Re-Animator di Paul Roland, pubblicato nel 2005 dall’etichetta genovese Black Widow o, ancor meglio, dal terrificante ed angosciante LENG TCH’E dei Naked City di John Zorn, Bill Frisell,Wayne Horvitz, Fred Frith Joey, Baron e Yamatsuka Eye uscito negli anni ’90 per l’etichetta Tzadik. Non direttamente riconducibile, quest’ultimo, all’universo del solitario scrittore, ma adattissimo a rappresentarne la sovrumana e, allo stesso tempo, subumana coscienza del dolore.
Buona lettura e… buon ascolto!
H.P. Lovecraft, I mostri all’angolo della strada (a cura di Carlo Fruttero e Franco Lucentini), Mondadori 1966 ↩
Re-Animator (1985) e From Beyond (1986) ↩
Di cui abbiamo recensito poco tempo fa l’altrettanto bello In The Pines , pubblicato ancor una volta dalle Edizioni Eris, https://www.carmillaonline.com/2016/06/15/tombe-sul-bordo-della-strada/ ↩
Che era anche uno dei tre racconti pubblicati, per la prima volta nel 1963, nell’antologia di Urania insieme a “Colui che sussurrava nel buio” e “Il modello di Pickman” ↩
Uno per tutti: “At The Mountains of Madness“, “Le montagne della follia” uno dei racconti lunghi più visionari del solitario di Providence, ripreso anche nel titolo di un album del 2005 degli Electric Masada di John Zorn, Marc Ribot, Ikue Mori, Jamie Saft, Trevor Dunn, Joey Baron, Kenny Wollesen e Cyro Baptista ↩