di Francesco M. De Collibus
Caro, mio vecchio Abruzzo… quante ne hai passate!
Il mio Abruzzo è sopravvissuto ai romani, sapete? Quelli micidiali, delle legioni, e delle testuggini.
Quelli del Gladiatore, avete presente? Il mio caro, vecchio Abruzzo era alleato con loro, eppure sentiva di non essere trattato come meritava. Pensate che abbia timidamente protestato? No! Ha osato sfidare le legioni in battaglia, e ha ottenuto da loro la piena cittadinanza romana. Corfinio, la prima vera capitale d’Italia…
Il mio Abruzzo è sopravvissuto anche alle lotte tra Papato e Impero.
A Tagliacozzo l’aquila imperiale degli Hohenstaufen tramontò per sempre, e un’altra Aquila sorse lì vicino da quelle ceneri, un’Aquila fatta non di piume, ma di mura, chiese e fontane! L’Aquila, nata per essere l’antiroma sveva, poi rimasta sempre fedele agli angioini, il loro estremo baluardo settentrionale contro gli Stati della Chiesa, tuttavia autonomo nell’amministrazione, praticamente un libero comune.
Il mio Abruzzo è sopravvissuto al vicereame spagnolo e alle continue incursioni dei pirati turchi lungo le sue coste. L’Aquila è sopravvissuta alla totale distruzione del terremoto del 1703, ed è tornata a essere quel gioiello di città che è sempre stata. Il mio Abruzzo ha servito fedelmente il Regno delle due Sicilie, resistendo fino all’ultimo uomo nella fortezza di Civitella, ma dopo l’unificazione, con altrettanta lealtà, ha saputo servire il Re piemontese.
Il mio Abruzzo è sopravvissuto alla miseria dell’ottocento, ha gremito dei suoi figli
le Americhe del nord e del sud, ha sparso i suoi contadini per i campi d’Australia, ha riempito le cave del Belgio con il sudore dei suoi minatori. Nel frattempo, pur dal grembo di una terra così amara, i fiori sono iniziati a spuntare. D’Annunzio, Flaiano, Michetti, Corradino D’Ascanio… persino John Fante, figlio remoto di una terra così povera.
Mentre la prima guerra mondiale schiacciava come formiche i suoi figli migliori, il terremoto della Marsica esigeva dal mio Abruzzo altri ventimila sacrifici. Ad Avezzano, si salvarono solo in 300 su 11.000. Non erano niente, ma insieme hanno ricostruito e ricominciato: adesso Avezzano conta 40.000 abitanti.
Non era un esito scontato.
Non lo è mai.
Il mio Abruzzo è sopravvissuto anche alla seconda guerra mondiale: la Linea Gustav passava lungo il Sangro, un fiume doppiamente di sangue. Seimila morti nel solo bombardamento di Pescara, Ortona teatro di una battaglia urbana durissima casa per casa, durata mesi: la Stalingrado d’Italia. Il terrore nazista: l’eccidio di Onna, di Pietransieri. Francavilla al Mare, Roccaraso, Orsogna, Tollo, completamente dinamitate, le pietre millenarie fatte saltare in aria. La distruzione fu semplicemente inimmaginabile: ma nella rovina ci fu anche la Brigata Maiella, la prima formazione partigiana d’Italia.
I semi di una rinascita.
Noi siamo sopravvissuti a quell’orrore, e l’Italia con noi!
Nel dopoguerra, il mio Abruzzo si è ripreso: ha costruito infrastrutture, porti, aeroporti, autostrade, da paese meridionale e agricolo è riuscito finalmente a industrializzarsi, ad abbattere fino al 7 per cento il proprio tasso di disoccupazione. Qualche anno fa, è riuscito a uscire dall’obiettivo uno del piano d’aiuti della Comunità Europea: il meritato premio di cinquant’anni di sacrifici.
Insomma: il mio Abruzzo ce l’ha sempre fatta, e dalle sue mille distruzioni è sempre risorto più bello di prima, perché ha sempre creduto nel futuro.
E adesso?
Dopo quel terribile sei aprile? Adesso non so se ce la potrà fare.
Non questa volta, militarizzato da questi uomini privi di idee, privi di qualsiasi orizzonte che non sia un presente ultradilatato. I terremotati esibiti come martiri, per acchiappare alla rinfusa consensi, e mostrare la forza di uno Stato che fa colare ancora più cemento, ancora più in fretta. L’impero dei turbopalazzinari: il provvisorio che diventa sepolcro definitivo di ogni bellezza. C’è solo il presente, e c’è l’emergenza. E’ la parola che preferiscono, l’emergenza, la parola che conduce nell’anomia più totale, nella mancanza di qualsiasi rispetto verso il territorio, le persone, la storia.
L’Emergenza. Emergenza zingari, emergenza alcool, emergenza terremoto. Emergenza fortino della droga a Milano. Da domani, potete scommetterci, emergenza Rave.
E’ tutta una emergenza. Ci prosperano, nelle emergenze. Con l’alibi dell’emergenza possono fare tutto quello che vogliono. Nessuno che si chieda mai come nascono le emergenze.
Guardate qui, e inorridite.
Questo è quello che preparano per tutti noi. Provvisori? No. Definitivi. Benvenuti all’Aquila Due. Se scrivo ai giornali, sarà possibile avere una emergenza Bellezza? La Bellezza secolare delle valli e dei monti, dei borghi e dei castelli, è tutto per noi, cazzo, e loro ci stanno sputando sopra.
Senza il faro della bellezza è un eterno precipitare in un oceano viscoso di cemento, graffiati
dall’alluminio delle verande. La bellezza ha una dimensione innanzitutto morale e civile.
Questo è il futuro del mio Abruzzo, l’Abruzzo che è sopravvissuto a tutto, ma che forse non può sopravvivere a Berlusconi.
N.B. Durante il devastante terremoto aquilano del 1703, persino l’autorità vicereale spagnola, non quindi esattamente quel genere di governo illuminato che la storia cita a esempio, aveva avuto l’intelligenza di costruire baracche di legno prima di procedere all’effettiva ricostruzione cittadina. La ricostruzione, infatti, sarebbe dovuta avvenire nei giusti tempi e ponderando con attenzione le scelte urbanistica. E’ amaro constatare che persino gli stranieri invasori hanno saputo amare questo paese più degli italiani.
N.V.B. (Nota Veramente Bene) I volontari, della protezione civile e non, santi subito. Non è certo indirizzata contro di loro la nostra preoccupazione.