di Valerio Evangelisti
[Pubblico la mia prefazione al volume della Rete Noi Saremo Tutto Non un passo indietro. Cronache dalla Repubblica popolare di Lugansk e dalla guerra in Ucraina (Red Star Press, Roma, 2016, pp. 130 + DVD allegato, € 15,00). Avverto che non tutta la redazione di Carmilla condivide la mia lettura. Segue il video Odessa: 2 maggio 2014, della Banda POPolare dell’Emilia Rossa. Il brano è compreso nel CD Viva la lotta partigiana, da noi già recensito qui.]
Di norma, chi si trova a sostenere i ribelli del Donbass viene accusato di essere a favore di Putin, o addirittura di filofascismo. Questo perché un’ala molto minoritaria del fascismo europeo, proprio per simpatia verso il nazionalismo conservatore di Putin e la sua sottomissione ai dettami della Chiesa ortodossa, ha scelto di schierarsi con le repubbliche popolari indipendentiste nate dopo il cambio di regime in Ucraina.
In realtà, da che parte stia il fascismo è dimostrato dai fatti. Fin dalla “rivolta” di piazza Maidan, accolta con entusiasmo non solo dall’Occidente, ma anche da settori della flebile estrema sinistra europea, post-moderna e ultramovimentista, col nuovo governo di Kiev si sono schierati partiti e movimenti ucraini dichiaratamente sciovinisti, razzisti e addirittura nazisti. E il potere scaturito dalla cosiddetta insurrezione di piazza (in realtà un colpo di Stato in linea con quelli chiamati “arancioni”) non si è vergognato di servirsi di questa marmaglia paramilitare, autrice di violenze, assassinii e stragi, tipo il tragico rogo di Odessa. Anzi, le ha offerto incarichi di responsabilità ai più alti livelli.
L’evidenza è stata ed è taciuta dalla vulgata diffusa da Stati Uniti e Unione Europea, nel quadro di una singolare nuova guerra fredda – sotto sotto squisitamente economica – contro la Russia e, meno direttamente, la Cina. Non è una grande novità, in fondo. E’ quasi scontato rilevare che il capitalismo imperialista ripiega sul fascismo o su forme ancor più estreme di reazione, incluso il fanatismo musulmano, ogni volta che gli fa comodo. Pronto a giustificarne i crimini fino al momento in cui la bestia risvegliata si rivela meno domestica del previsto.
Un Putin ridotto a caricatura, come il Petrov di House of Cards, sarebbe dunque l’istigatore della ribellione armata delle regioni di lingua e cultura russe dell’Ucraina sud-orientale. Ben pochi giornalisti dei grandi media occidentali si sono recati a verificare in loco. Avrebbero scoperto, a parte la presenza di fascisti nel governo di Kiev e nelle milizie di cui fa uso, realtà indiscutibili che contraddicevano la falsificazione propalata.
Vediamo punto per punto i temi controversi, per chi ha scelto per partito preso ideologico (neoliberista) di non vedere. O, se ha visto, di non riferire. Lasciamo da parte la Crimea. Russa da sempre, la Russia se l’è ripresa, dopo un referendum dei nativi che reclamava l’annessione. Oggi, la parte più saggia dell’Occidente accetta questo dato di fatto, e chiede sempre più debolmente un’improbabile restituzione.
Quanto al Donbass, mettiamoci nei panni dei suoi abitanti. Parlano il russo e apprendono, dopo Maidan, che la loro lingua non sarà più riconosciuta dal nuovo esecutivo. Il provvedimento rientra, ma la paura è ormai diffusa. Hanno subito prepotenze fin da bambini. Ora la prepotenza diventa legge. Per di più la loro storia è cancellata per decreto. Non si festeggerà la vittoria sui nazisti nella seconda guerra mondiale. Al contrario, a essere celebrata sarà la nascita del governo pro-hitleriano di Stepan Bandera, persecutore – salvo disgrazie transitorie del leader – di polacchi ed ebrei, e nemico giurato dei russi.
Ma a questo fattore culturale ne va aggiunto un altro, di natura sociale. Il Donbass è regione di fabbriche e miniere, a composizione prettamente operaia. Il governo golpista di Kiev, oltre a comprendere forze fasciste, professa un liberismo sfrenato. Combatte i sindacati, mette fuorilegge i partiti di ispirazione comunista (alcuni dei loro dirigenti vengono uccisi o percossi), assicura di essere pronto ad applicare le misure economiche restrittive che l’Unione Europea ha già adottato per piegare i propri lavoratori.
In questo quadro, non occorre certo la mano di Putin per scatenare la rivolta. Nascono due “repubbliche popolari”, consultazioni di massa sanciscono la scissione, inizia la lotta armata. Sicuramente, in una fase di grande confusione ideologica su scala mondiale, il movimento che prende vita non è sempre limpido, né esente da contraddizioni. La rete Noi Saremo Tutto, nel suo resoconto di prima mano, non ha difficoltà a riconoscerlo.
Esistono, tra gli oppositori di Kiev, puri nazionalisti, personaggi dal passato ambiguo, forze che agitano i simboli dell’ex Unione Sovietica quale semplice richiamo identitario, avventurieri, seguaci della religione ortodossa e del suo conservatorismo. Oltre a “rosso-bruni” e “nazional bolscevichi” di ogni paese, non meno a destra dell’avversario. Malgrado ciò vi sono anche, in prima linea, realtà come la “Brigata fantasma” con cui i militanti di Noi Saremo Tutto hanno convissuto, e di cui ci descrivono la vita quotidiana. Una testimonianza preziosa per fare chiarezza.
Per chi si professa antifascista e di sinistra (una sinistra lontana dal balocco intinto di liberalismo che pare dominare la scena contemporanea, e che scambia Slavoj Zizek per un comunista) non dovrebbe essere difficile decidere da che parte stare. Ai confini dell’Europa operai armati combattono la reazione e l’oppressione economica. Può, chi è onesto, non ritrovare in ciò echi della Resistenza italiana e continentale? Fu persino più contraddittoria e ambigua di quella del Donbass, eppure la scelta da fare risultò evidente. Lo resta oggi.