di Alessandra Daniele
Come sappiamo, ciò che all’inizio poteva sembrare soltanto l’ennesima paranoia indotta, l’ennesima Mossa Kansas City per distrarre le masse dalla crisi economica, s’è rivelata un’autentica pandemia di proporzioni apocalittiche.
Il virus della cosiddetta influenza suina ha infatti dimostrato di appartenere al ceppo Z, di essere cioè in grado di rianimare i cadaveri dei contagiati.
La zombie apocalypse che ha gettato il pianeta nel caos è però molto diversa da quella che ci si sarebbe potuta aspettare.
Il tasso di mortalità fra gli esseri umani contagiati dall’influenza suina è in realtà rimasto molto basso, ben al di sotto delle medie della comune influenza stagionale. La decina scarsa di rianimati umani è stata velocemente neutralizzata.
Il tasso di diffusione, di mortalità, e di conseguente rianimazione, sta però risultando spaventosamente alto fra le prime vittime del virus: i maiali.
È passata appena una settimana dal primo caso di allevatore sbranato dalla sua scrofa non morta, e già orde di maiali zombie scorrazzano ovunque, divorando e devastando, apparentemente inarrestabili. Al contrario degli zombie umani, infatti, per motivi ignoti, i maiali morti viventi non possono essere abbattuti da una pallottola nel cervello, e nemmeno dalla rimozione dell’intera testa, o dallo smembramento del corpo.
Le singole parti rimangono animate.
Questo è la causa di un ulteriore orrida minaccia: anche ogni forma di insaccato contaminato dal virus si rianima, e attacca l’uomo.
Da tutto il mondo giungono notizie di persone strangolate o impiccate da rotoli di salsiccia, investite e schiacciate da valanghe di mortadelle rotolanti, bastonate da gragnole di salami, calpestate a morte da cariche di zamponi e cotechini, assalite da panini al prosciutto che gli hanno staccato naso e lingua.
Ogni particella di origine suina, persino la sugna per dolci, la cotenna conciata, e le setole di certi spazzoloni, danno inquietanti segni di risveglio.
Il vecchio detto secondo il quale del maiale non si butta via nulla ha assunto un nuovo terrificante significato.
È quindi il momento che anche i più scettici ammettano l’apocalittica entità della minaccia, guardino in faccia la realtà togliendosi le fette di prosciutto dagli occhi, prima che quelle fette si rianimino, e gli strappino i bulbi oculari. Il simpatico animale simbolo di prosperità godereccia, che eravamo abituati a sfruttare, presto non esisterà più: addio, porco.
Al tuo posto, grufola la nostra nemesi.