di Nico Macce
Con la “riforma” Renzi Boschi, che tocca alcuni essenziali articoli della Costituzione e l’Italicum, che riguarda la conferma di una legge elettorale che consegna ai partiti le candidature ed esaspera il premio di maggioranza, avremo uno stravolgimento totale della nostra carta costituzionale. L’abbinamento di queste due autentiche controriforme porterà a un Parlamento di nominati che voterà l’agenda di un governo scaturito da una minoranza dell’elettorato, che potrà fare il bello e cattivo tempo. Un governo secondo la concezione di “un solo uomo al comando”, in realtà un totalitarismo voluto dagli eurocrati dell’UE che rappresenta la cessione definitiva della sovranità popolare e del paese verso gli organismi sovranazionali europei.
La battaglia sociale e politica che ci aspetta per il NO nel referendum confermativo di ottobre è un passaggio indiscutibile per qualsiasi forza democratica e di sinistra che intenda contrastare l’avanzata del capitale neoliberale.
Tuttavia, occorre una riflessione politica che porti la questione “Costituzione” oltre la semplice battaglia di principio, collocandola nell’ambito che gli compete: quello del conflitto sociale. Infatti, mentre le forze del capitale neoliberiste, le élite dominanti sanno quello che vogliono e lo impongono attraverso i loro partiti di regime, le loro lobby e i potenti apparati culturali e mediatici, dall’altra parte la mancanza di un’opposizione consapevole e dotata di un progetto politico adeguato e una popolazione che in larga parte non partecipa alla vita politica, in preda al disinteresse e al qualunquismo (vedi referendum del 17 aprile), diventano parte delle condizioni soggettive favorevoli alla vittoria completa delle prime.
Una vittoria che non fa prigionieri, anche solo di un welfare, di un patto sociale e costituente, come li avevamo conosciuti nel dopoguerra.
Una vittoria che rischia di essere totale e completa in una lotta di classe a senso unico, dei ricchi contro i poveri, degli speculatori contro i salariati, della grande borghesia contro i ceti medi, la piccola e media borghesia devastata dalle politiche d’austerity, proletarizzata.
Per questo, gli appunti che seguono hanno lo scopo di ragionare oltre la pura e semplice difesa di bandiera. Oltre una presa di posizione priva di una visione politica all’altezza di quanto sta accadendo, i cui ispiratori, guarda caso, sono gli stessi che in tutti questi decenni hanno campato di concertazione con governi e padronato, svendita dopo svendita, favorendo le attuali condizioni di debolezza dei movimenti sociali, sindacali e politici.
1. La Costituzione come risultato di un processo conflittuale
La prima questione riguarda il passato, in che modo è stata applicata la Costituzione, che poi significa parlare della storia politica e sociale del nostro paese. Questo aspetto è importante perché se non si capisce questo passato recente e il suo legame con la situazione attuale, non si può comprendere l’approccio secondo me corretto allo scenario politico italiano attuale, alle modalità di intervento.
Intanto cominciamo col dire che così come la Costituzione Italiana è stato il prodotto di uno scontro politico e sociale, di una guerra di liberazione dal nazifascismo, la sintesi dei rapporti di forza tra classi sociali in quell’epoca, la Costituzione per come viene smantellata oggi, segue parimenti le dinamiche politiche della lotta di classe nella fase presente, dei rapporti di forza dati nella società tra classi sociali.
Quindi il primo punto, sbaraglia il campo interpretativo di questa manomissione costituzionale che ha chi pensa di vivere in una repubblica parlamentare in cui tutto è immutabile perché abbiamo la nostra cara e bella Costituzione e c’è qualcuno che per pura cattiveria vuole stravolgerla, come se sinora le cose fossero andate bene.
La Costituzione è di cagionevole costituzione perché dipende da rapporti di forza tra classi
Sono decenni, praticamente sin dal dopoguerra che le forze reazionarie del capitale, italiane e straniere, condizionano la vita politica del paese. Hanno da sempre cercato di modificare i rapporti forza che consentivano alle classi popolari di avere condizioni salariali e di vita, diritti sociali decisamente migliori che nel passato fascista e ancor prima nei secoli precedenti. Condizioni che erano il prodotto di una vittoria sul campo nella guerra di liberazione dal nazifascismo. A est c’era una parte dell’emisfero che vedeva affermarsi il socialismo, dall’URSS alla Cina. Le classi dominanti dell’occidente e le loro forze hanno adottato la ricetta keynesiana in una fase espansiva dell’accumulazione capitalistica. In questo contesto di contrapposizione con l’ascesa del socialismo e delle sinistre in numerosi paesi europei, lo stato piano, il welfare sono state una strada obbligata. Ma questo ovviamente non ha impedito alle forze del grande capitale multinazionale, di prepararsi a una controffensiva nei decenni successivi, che è divenuta sempre più obbligata nel momento in cui la crisi generale di sovraproduzione di capitali imponeva scelte neoliberiste e il crollo del socialismo reale dell’URSS apriva a nuove opportunità di espansione strategica.
Possiamo descrivere dagli anni ’50 a oggi una lunga parabola dei rapporti di forza tra classi che ha portato di fase in fase alla situazione attuale di estrema debolezza contrattuale da parte delle classi subalterne. La forza sociale conquistata nel conflitto di classe è stata via via erosa. Una forza che non è mai stata forza di potere ma d’opposizione in un sistema capitalista occidentale che si reggeva sin da allora sull’Alleanza atlantica, la NATO. E questo è il primo aspetto che mi porta ad affermare che in realtà la nostra Costituzione non si è mai dispiegata in una autentica sovranità nazionale.
Dentro questo contesto, che non sarebbe mai potuto essere messo in discussione per realizzare un sistema sociale differente dal capitalismo, abbiamo avuto una pletora di tentativi, più o meno diretti, di modificare i rapporti di forza, di restringere quei diritti e quelle conquiste che hanno le loro le basi su una visione di giustizia sociale sulla quale poggia la carta costituzionale. Hanno sempre fatto di tutto per attaccare quella rigidità della classe, quella coscienza antifascista e in larga parte comunista che era alla base delle conquiste sociali raggiunte.
La legge truffa del 1953, le repressioni di Scelba e Tambroni sul movimento operaio, Gladio, il rumor di sciabole, le bombe nelle piazze, dunque lo stragismo di stato, la repressione del movimenti negli anni ’70, ma soprattutto l’essere dentro senza se e senza ma a un’alleanza atlantica che non si poteva mettere in discussione ieri come oggi, con o senza socialismo sovietico, rappresentano la storia di un paese privo di una reale democrazia, a democrazia condizionata. Il che rende storicamente corretta l’analisi marxiana dello stato borghese come espressione del dominio di classe, sia nella sua configurazione autoritaria, vedi il fascismo, sia in quella della democrazia parlamentare borghese.
Vediamo bene allora, come la Costituzione sia il prodotto nel tempo, fase dopo fase, di rapporti di forza, così come la legislazione economica, vediamo per esempio lo statuto dei lavoratori e le scelte che vengono fatte dalle forze politiche e sociali in determinati contesti, il come essere e fare sindacato per esempio. Se non si comprende questo, la battaglia per la difesa dei valori emancipativi di cui la Costituzione è comunque portatrice, al netto delle mediazioni con le quali è nata, è una lotta priva di alcun scopo politico.
Le premesse dell’attacco alla Costituzione
Nei vari snodi della politica italiana, in certa sinistra concertativa, è passato il punto di vista dei ceti dominati attraverso una sorta di ineluttabilità delle misure prese per “l’interesse nazionale”, “il bene del paese”. La crisi economica, l’emergenza permanente, le trattattive al ribasso… chiediamoci quali sono state le premesse politiche di questo attacco finale, alla carta costituzionale: nell’alzare sempre più l’asticella degli interessi delle classi dominanti, alla fine la stipula costituente dei rapporti di dominio vigenti, per come si cofigurano oggi è inevitabile. Renzi o non Renzi.
Nel campo di quella che dovrebbe essere opposizione (e non lo è) da una parte abbiamo i residui di una sinistra che si è fatta assorbire dal pensiero unico egemone, che impone la visione di una democrazia amorfa che è divenuta organica al campo capitalista, ai suoi valori culturali, sin dalla dichiarazione di Berlinguer sulla fine della spinta propulsiva della rivoluzione d’ottobre e dell’adesione alla NATO, una sinistra che confonde il governo con il potere, che parla di interessi generali del paese, ieri l’Italia, oggi l’Europa. La CGIL per esempio, o per lo meno alcune sue componenti, parlano di difesa della Costituzione, criticano il jobs act, ma questo tutto ciò, come per gli altri sindacati concertativi, non ha una funzione politica di crescita nel conflitto sociale di una forza materiale di classe, delle lavoratrici e dei lavoratori, di incidenza nei rapporti di forza tra capitale e lavoro. Ed è per questo che senza forza materiale e con la necessità di ipostatizzare la Costituzione, questa visione antistorica è strettamente legata alla sua identità concertativa, di gestione dell’esistente in rapporto al punto di vista dominante, che è quello del capitalismo, non della socializzazione dei mezzi del lavoro, nei profitti e non nella costruzione di un sistema economico centrato sui bisogni sociali e della persona come elementi inalienabili. Dall’altra però abbiamo chi staticizza il pensiero marxiano, parla di lotta di classe in senso astratto e magari rinuncia alla battaglia sulla Costituzione perché ritenuta Costituzione borghese.
Gli uni la sacralizzano, gli altri la riducono a pura espressione del dominio di classe, magari in attesa di mitiche rivoluzione proletarie che nasceranno, c’è da chiedersi, da chissà quale processo politico.
Checché ne dicano gli aedi del pensiero unico, si può scegliere da che parte stare. Ma se si sceglie il conflitto anticapitalista e un percorso di trasformazione sociale rivoluzionaria, occorre fare politica e attrezzarsi sul piano dell’analisi, sviluppare una strategia poitica, ripensare alle forme di organizzazione politica all’altezza dei tempi e in una fase di assenza di un’identità sociale condivisa. La Costituzione è un terreno di contesa, non è un mito buono per liturgie o uno strumento secco di chi mena le danze nella società.
Allora intanto iniziamo col dire che l’attacco alla Costituzione, che il partito della nazione e i poteri delle élite eurocratiche e finanziarie stanno conducendo, è un attacco ai residui spazi di democrazia sociale e politica che sono il retaggio di passati rapporti di forza tra classi. Incominciamo col dire che la direzione dell’attacco è verso i valori sociali di cui la Costituzione è portatrice: il diritto al lavoro, al reddito, alle limitazioni che l’iniziativa privata dovrebbe avere, perché centrale è la collettività, la comunità nazionale. Quindi è una battaglia che va accettata e portata avanti come occasione di ricomposizione politica e di riaffermazione di diritti e bisogni sociali, di inversione del trasferimento di ricchezza sociale dall’alto verso il basso, di costruzione di identità di classe e solidarietà sociale. Di affermazione di un’interpretazione socialista della carta.
Penso che la prima chiave di lettura corretta per l’ingresso nella battaglia referendaria contro la “riforma” Boschi, sia proprio quella di legare questa battaglia ai valori più necessari che questa Costituzione porta in dote dal secolo breve dei forti movimenti antifascisti e operai. Necessari perché sono valori che insieme ai livelli di democrazia parlamentare che esprime, certo inadeguati (ma qui ci torno poi), pone soprattutto come forti i valori della giustizia sociale che i padri fondatori gli hanno infuso.
Dunque in questo ci sta non certo una visione iperlegalitaria e antidialettica delle relazioni tra capitale e lavoro, tra autonomia di classe stato e dei rapporti tra settori di società più in generale come ha (CGIL-SINISTRAITALIANA-SINISTRAPD-SEL e compagnia cantante, quella compagine variegata alla sinistra del PD che è rimasta al centrosinistra, che non vede il PD come asse centrale di queste forze reazionarie e delle loro politiche) certa sinistra concertativa, visione che intende imporre a questa battaglia. Bensì ci sta una visione del conflitto sociale e di classe, del suo sviluppo come strada obbligata, proprio considerando come il nostro paese non sia mai stato una repubblica sovrana e considerando come oggi il grande capitale chieda il conto dopo decenni di neoliberismo e politiche antipopolari inaugurate dal tatcherismo nei primi anni ’70 su scala internazionale.
Attacco alla Costituzione e Unione Europea
Non a caso queste forze cosiddette riformiste non intendono far uscire la battaglia referendaria dagli ambiti angusti della Costituzione in quanto mera contabilità degli articoli messi in discussione. Un po’ come tentare di lucidare il tavolo mentre la casa crolla. Secondo loro non deve esserci alcun legame con la questione sociale, non deve esserci alcun obiettivo politico di caduta del governo Renzi, di alternativa politica sociale. Figuriamoci poi se si legasse questa battaglia alle cause vere che determinano questo attacco: ossia alla troika, a quegli organismi che come Commissione Europea e Banca Centrale Europea, che esercitano la nuova architettura antidemocratica e irriformabile dell’Unione Europea sui popoli del continente, a partire da quelli del sud Europa.
C’è una forte correlazione tra attacco alla Costituzione del ’48 e configurazione autoritaria dell’Unione Europea. E anche questo è un aspetto che viene eluso, se non mistificato sostenendo l’opposto con la scusa che occorre più Europa.
La Costituzione è già stata manomessa
Con il governo Monti, il primo dei tre governi non eletti dai cittadini in regolari elezioni, si è iniziato a manomettere la Costituzione a partire dalle necessità più immediate per le tecnocrazie europee, si è partiti dall’art. 81, con l’introduzione del pareggio di bilancio: mettere al centro i parametri con i quali è possibile imporre politiche economiche e di bilancio a vantaggio della finanza mondiale, della grande privatizzazione dei servizi e a detrimento dei diritti del lavoro, delle pensioni, diritto alla sanità, all’istruzione. Al centro i profitti, le rendite, secondo i trattati europei imposti dalla Troika, in secondo ordine i diritti e i bisogni sociali, il reddito della popolazione.
2. Si può tornare indietro?
E qui vengo al secondo punto. È indubbio che gli attuali rapporti di forza tra classi, l’egemonia sul piano politico e culturale delle classi dominanti e delle loro forze politiche nel paese e in generale nel continente ci faccia partire con questa battaglia sulla Costituzione da una condizione di debolezza. Questo ovviamente vale per tutti gli altri fronti sociali e politici, sindacali e culturali.
Non entro nel merito della situazione politica, dell’assenza di un soggetto politico di opposizione che rappresenti il punto vista delle classi popolari. Ma questa situazione appena descritta mi porta a fare una domanda provocatoria: davvero pensiamo che la mera difesa della Costituzione, ossia il ripristino delle condizioni precedenti al 2011, sia possibile? Che la battaglia sia tutta qua, è una questione che ho già sviscerato prima. Ma la domanda è del tutto pertinente.
C’è da chiedersi se in un processo conflittuale di affermazione di diritti sociali e di democrazia realmente partecipata, nei luoghi di lavoro, sul territorio, di rafforzamento di uno schieramento sociale anche solo antiliberista, rientri la configurazione precedente della nostra carta costituzionale.
È la stessa domanda che ci si pone sul fronte della lotta contro i trattati e la moneta unica. Io penso che la risposta sia no. È no perché nell’uno e nell’altro caso ci sono due fattori importanti da tenere considerazione:
– il primo è il cambiamento che è avvenuto nell’Unione Europea, stanti le condizioni di crisi sistemica e di adozione di un’architettura economica, politica e sociale della costituzione materiale europea che non è solo esercizio di rapporti di dominio di classe in una fase nuova, di concentrazione dei poteri in organismi sovranazionali, sostanzialmente non eletti dai cittadini europei, quindi antidemocratici, deputati a governare secondo questa configurazione, il pilota automatico di Draghi, tanto per capirci. Ma che è anche un cambiamento nelle relazioni tra paesi stessi, in condizioni non certo paritetiche. Dunque c’è un problema di sovranità, economica, politica, costituzionale. In questa Europa di oggi parlare di ritorno alla lira e alla Costituzione del ’48, è anacronistico perché non tiene conto che l’avvento dell’Euro, dei trattati economici e dei dispositivi costituzionali come il trattato di Lisbona hanno avuto delle ricadute nell’intero continente che hanno modificato strutture sociali, economiche, la geopolitica dell’intera UE. Dietro di noi i ponti sono rotti. E davanti a noi c’è un mondo da conquistare, operando rotture ben più radicali di quelle reazionarie del capitale monopolistico ordoliberale, che hanno puntato a far divorziare la democrazia rappresentativa dal capitalismo, i bisogni sociali dal mercato, dunque a stabilizzare un dominio che in parte era stato eroso da un post dopoguerra riformatore.
Oggi si può essere solo rivoluzionari e…
– il secondo fattore è proprio pertinente alle condizioni di una crescita del conflitto sociale e di classe nella direzione di una rottura e di un’alternativa a questa UE e alle sue politiche di austerity e neoliberali, una messa in discussione sistemica del costituito che ci faccia entrare in un processo rivoluzionario perché costituente e non di mera stabilizzazione del dominio capitalista e di una sua impossibile riforma.
Questa seconda condizione è presente in modo ancora inadeguato in paesi come la Grecia e il Portogallo, probabilmente in Francia, dove c’è ancora una capacità di risposta di massa alle misure antipopolari del governo socialimperialista, come la copia carbone italiana del jobs act che qui è passata praticamente senza colpo ferire, pertanto e certamente condizione oggi assente in Italia. Dobbiamo a imparare dai francesi: il conflitto paga e una sollevazione, una rivolta sociale permanente è tutt’altro che fattore di populismo antidemocratico, è al contrario l’epressione più alta della partecipazione politica e della democrazia da parte di masse di cittadini e lavoratori che tornano a essere soggetti protagonisti, con i loro corpi e la loro intelligenza collettiva. Si veda l’intervista a Frédéric Lordon ripresa su rossa.red. Un processo politico e sociale di tale portata non può che essere un processo costituente verso nuove e differenti relazioni sociali, che presuppone una carta relata a queste nuove condizioni economiche e sociali.
Una sollevazione, una rivolta sociale è l’unica strada nell’epoca in cui il capitalismo ha definitivamente divorziato con qualsiasi forma di democrazia reale, amche parlamentare borghese
Questi due fattori portano a un cambiamento strutturale e di sistema, non a un ripristino del vecchio. Ma ciò solo se cresce un’organizazione di massa antagonista, un’autonomia di classe organizzata con un progetto politico forte e radicale, e solo se il conflitto si internazionalizza a un’area di paesi. Dunque, la battaglia contro le controriforme costituzionali, va letta dentro questo nuovo contesto, e in relazione ai rapporti di forza attuali, considerando questa battaglia come, un momento importante, ma non certo il solo, come una tappa iniziale di un processo molto più ampio, con una prospettiva strategica che trascende la lucidatura del tavolo nel crollo della casa che ha ospitato settant’anni di welfare, di lira, di Costituzione.
I valori sociali e gli elementi di giustizia ed equità solidale dell’intera comunità di cittadini presenti nella Costituzione, si possono solo ridefinire, ricostituire con la democrazia diretta, di base, con il potere costituente dal basso, che nel conflitto sociale modifica i rapporti di forza a suo favore e ridisegna un sistema sociale che supera l’intera epoca storica e politica della gabbia dell’Unione Europea
Dunque, in caso di affermazione di un blocco sociale proletario e popolare, non sarà in ogni caso la stessa Costituzione a esserne la carta essenziale.
Dovremmo iniziare a pensarla questa transizione: la struttura economica, i poteri del nuovo stato in relazione tra loro, le alleanze sociali, le scelte di campo a livello internazionale. Ho parlato di transizione perché lo sviluppo della società è fatto di processi sociali e perché ogni transizione porta a qualcosa d’altro. Sarebbe ora di ricominciare a discutere di tutto questo riproponendo ciò che è sempre più attuale in un sistema mondo in crisi sistemica: un percorso verso il socialismo.
Nella battaglia per la difesa della Costituzione occorre esserci perché è un momento e un’opportunità di crescita dell’opposizione sociale e politica a questo governo e al governo centrale dei despoti della UE. Senza dinieghi di principio. Ma con tutta l’intenzione di rafforzare una presenza del punto di vista rivoluzionario, di alternativa politica e sociale in ogni momento di politica attiva e dal basso, di orientarlo alla riappropriazione di spazi e di iniziativa politica conflittuale, di riaffermazione di diritti sanciti dalla carta, riaffermazione che può solo avvenire sul campo, nelle lotte sociali. Con lo scopo di costruire quel soggetto politico anticapitalista che manca ormai da troppi anni nel nostro paese, necessario, anzi: indispensabile in questa fase.
Vincere, bloccare l’attacco autoritario e mandare a casa Renzi è possibile
Più in generale, su questa battaglia stanno convergendo molte forze politiche, sindacali, realtà sociali con sensibilità e posizioni molto differenziate. Sono soggettività che, nonostante una massa persistente di popolazione impermeabile a qualsiasi impegno politico, aggregazione identitaria e ragionamento critico, possono tradursi in forza di voto referendario. Lo si è visto il 17 aprile con il referendumo contro le trivelle. Anche senza raggiungere il quorum, abbiamo potuto ravvisare un voto di protesta al governo e al suo mantra del disimpegno a favore delle minoranze governanti, dei pochi che decidono per tutti. A ottobre nel referendum costituzionale confermativo il limite del quorum non ci sarà e la possibilità di far vincere il NO e mutare il quadro politico del paese è più che concreta. E anche se dall’opposizione non c’è ancora nulla che assomigli a una possibilità di alternativa politica e sociale, il crollo di questo governo e del suo piano autoritario potrà aprire nuovi scenari.