di Valerio Evangelisti
[Prosegue, presso Bompiani, la pubblicazione dell’imponente antologia Le grandi storie della fantascienza, a cura di Isaac Asimov. I testi del risvolto di copertina, di Valerio Evangelisti, costituiscono l’organica giustificazione di un genere letterario che ha avuto un’importanza decisiva nella cultura e nel costume. Qui le introduzioni ai volumi 1-5. Ecco ora quelle ai voll. 6-10.]
6.
Il sesto volume de Le grandi storie della fantascienza, a cura di Isaac Asimov, comprende racconti scritti nel 1944, quando la seconda guerra mondiale volgeva al termine e già si intuiva chi ne sarebbe uscito vincitore. Include un racconto che fece scalpore, e contribuì ad attirare l’attenzione sul più eclettico dei generi letterari: Termine ultimo, di Cleve Cartmill.
Non un grande autore, né un grande racconto. Tuttavia vi era descritta molto in dettaglio una bomba potentissima assai simile alla bomba atomica che gli scienziati del Progetto Manhattan, a Los Alamos, stavano elaborando in segreto. Cartmill si trovò alle prese con l’FBI, sospettato di collaborare con il nemico. Poi l’accusa cadde, e restò alla fantascienza l’aura leggendaria di essere narrativa profetica.
Alcuni vi si crogiolarono, eppure mai nomea fu tanto falsa. Lo dimostrano altri testi dell’antologia, come quelli firmati da Clifford D. Simak. Soprattutto City sarà l’incipit di un romanzo memorabile, trasognato e malinconico, che tratta del lento prevalere delle formiche sugli umani, fino al costituirsi di una società ibrida.
Una fantasia poetica, una fuga da una realtà sanguinosa e bestiale? No, per niente. Il conflitto che si stava combattendo in Europa era proprio contro chi intendeva disciplinare gli uomini come formiche. Simak, pur usando la metafora, era in fondo più realistico di Cartmill. Non descriveva bombe future, bensì scenari presenti trasfigurati. La solita operazione condotta dalla migliore fantascienza e dalle sue “grandi storie”.
7.
E’ il 1945 e il secondo conflitto mondiale volge al termine. Scrittori di fantascienza tornano dal fronte; altri, esentati dall’ecatombe, continuano a scrivere come se nulla fosse; altri ancora si preparano a una fase ulteriore, la “guerra fredda”, che scoppierà di lì a poco.
Nessuno di loro forse immagina che la catastrofe più grande nella storia dell’umanità — stermini basati sull’appartenenza a una presunta “razza”, mezzi terrificanti di massacro, armate in lotta su ogni quadrante del mondo — rilancerà la fantascienza. Genere trascurato, e tuttavia capace di descrivere, sia pure in via metaforica, grandi sistemi in lotta. Cosa che la letteratura mainstream non riesce a fare se non di rado.
Il settimo volume de Le grandi storie della fantascienza, a cura di Isaac Asimov, riflette bene la transizione in corso. C’è il recupero insistito di un caposcuola della sf degli anni Venti, Murray Leinster. Generazioni hanno sognato sulle sue forse ingenue fantasie, zeppe di scienziati brillanti, di astronavi misteriose, di messaggi enigmatici provenienti dallo spazio, di energia positivista. Ma ci sono anche, molto più problematici, Fredric Brown, Lewis Padgett, Fritz Leiber e molti altri. Quasi un’antitesi a Leinster. Quale futuro luminoso, dopo una guerra che aveva imbruttito e fatto sanguinare il mondo intero?
8.
Il discrimine è la bomba atomica. Nel 1945 la si subiva, nel 1946 la si riconsidera. Una previsione della fantascienza si è avverata: esiste un’arma capace, si suppone, di distruggere il mondo conosciuto. E, spenta la guerra aperta, sta per aprirsi l’era della guerra fredda.
L’ottavo volume de Le grandi storie della fantascienza, curato da Isaac Asimov, riflette il momento di transizione. Il testo fondamentale è il racconto Monumento, di Theodore Sturgeon, dedicato alla bomba definitiva e allo sviluppo logico del suo uso. Non si troveranno molti riferimenti a quel cambiamento epocale, nella narrativa corrente dello stesso periodo. Solo la science fiction, attenta alla tecnologia, intuisce che si sta entrando in un periodo storico totalmente inedito.
Lo testimoniano anche gli altri racconti antologizzati, di Ray Bradbury (una nuova stella destinata a future glorie), dello stesso Asimov, di Arthur C. Clarke, di Henry Kuttner, che morirà pochi anni dopo, di altri ancora.
Si è alle soglie di un revival della fantascienza. Non perché, in un mondo in rovine, ci si distragga a pensare futuri remoti. E’ vero il contrario. La fantascienza è, più di ogni altra forma narrativa, ancorata al presente. Guarda lontano in quanto le contingenze storiche impongono di farlo. La visione non è molto ottimistica, ma ciò non dipende dagli scrittori.
Non sono stati loro a fare del fungo atomico il simbolo degli anni a venire.
9.
Nel nono volume de Le grandi storie della fantascienza, Isaac Asimov comincia a raccogliere le inquietudini che, nel dopoguerra, serpeggiano nella società americana, come in ogni altra società. E’ il 1947, l’euforia per la guerra vinta dalle potenze antifasciste si sta attenuando. Sorgono altri problemi, che dividono gli stessi vincitori: politici, geopolitici, sociali.
La fantascienza di stampo avventuroso resta appannaggio di un Jack Williamson, che aggiorna le formule degli anni ’20, mentre quella che pare occuparsi di pura tecnologia ha in Arthur C. Clarke il più illustre esponente.
Accanto a questi nomi ne emergono altri, e nuove tendenze ancora embrionali. Sturgeon e Bradbury paiono interessarsi più all’uomo che agli “effetti speciali”. Il quasi esordiente William Tenn, con il suo caustico umorismo, mette in luce i difetti della società che lo circonda, e anticipa la science fiction che verrà.
E’ un disagio collettivo, quello che mettono in luce, a volte trasfigurato in ironia, gli scrittori che Asimov chiama a raccolta: da un veterano come Lewis Padgett (pseudonimo di Henry Kuttner, quando scrive con la moglie Catherine L. Moore) all’inglese Eric Frank Russell.
Rispetto alla fantascienza delle origini, quella del secondo dopoguerra è profondamente diversa. Niente positivismo, piuttosto smarrimento. Carenza di finali lieti. E, se c’è da divertirsi, sarà un ghigno, più che una risata.
10.
Nel 1948 la fantascienza americana è in piena forma, anche perché gli Stati Uniti sono emersi dalla guerra come la maggiore potenza mondiale, grazie a una tecnologia rimasta intatta e incentivata dal conflitto. Pare aprirsi una fase di espansione senza limiti, si respira ottimismo. Nessuno dubita che l’esplorazione degli spazi, cui stanno già lavorando scienziati nazisti passati al nemico, possa tardare.
Naturalmente il progresso ha come sempre un lato oscuro. L’Unione Sovietica, da alleata che era, si è trasformata in rivale (per fortuna non ha ancora la bomba atomica), il comunismo si espande e lambisce l’Europa occidentale, il maccartismo fa la sua apparizione, limitata per il momento al mondo del cinema. L’uccisione, all’inizio dell’anno, del mahatma Gandhi, che Asimov ricorda nella prefazione, sembra preannunciare la fine di un periodo di pace durato solo due anni.
La fantascienza, narrativa intrinsecamente ambigua, da un lato vive di ottimismo, dall’altro si alimenta di tensioni. Prevale il gusto dolceamaro, nel decimo volume de Le grandi storie della fantascienza. Gli autori antologizzati da Asimov, dal Ray Bradbury di Marte è il paradiso!, che colpirà profondamente un giovane Stephen King, al caustico Fredric Brown, all’epico Van Vogt, a molti altri, tra esordienti e veterani, non adottano l’uno o l’altro registro, ma spesso li fondono tra loro. Perché dolceamara è la società occidentale che, fuori delle camere in affitto in cui lavorano, sta prendendo forma.
(2-CONTINUA)