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Tutti i capitoli di “Cattedrale”

Ho raccontato che Marani ha violentato una ragazza dell’impresa esterna delle pulizie. Il giochino gli si è rotto tra le mani. Poi l’ha fatta sparire con la complicità di uomini fidati della Manutenzione. Una giovane magrebina con cui avevo scambiato poche parole impacciate. Quelli come me si sentono sempre in dovere di allacciare rapporti umani con le minoranze etniche. La reciprocità nella confidenza non è affatto scontata. Specie se la minoranza in oggetto potrebbe concorrere a Miss Maghreb, manifestazione di cui ignoro l’esistenza e che susciterebbe l’interesse degli integralisti islamici e dei servizi segreti occidentali.

fotodonne_01.jpgLe operaie che provengono dall’est Europa o dal nord Africa sono molto sensibili al potere, cercano di capire subito chi ha qualche forma di responsabilità, hanno imparato prima delle colleghe indigene a farsi largo per la sopravvivenza. Le africane sono troppo timide per prendere iniziative sfrontate. Le ucraine vanno pazze per il trash della riviera romagnola, tutto quello che è colore e luce, sovraesposizione, le rende euforiche. Il loro colore preferito è il fucsia, sembra incredibile. Con i colleghi italiani fanno discorsi in cui l’aspetto sessuale e quello economico collimano pericolosamente. I bamboccioni sono spiazzati da questa concretezza così maschia, non sanno come reagire, i grassi della cucina padana stanno già intasando le lo loro arterie. Il disincanto di queste ragazze è amaro, la loro allegria è artificiale, quel surrogato di serenità è stato pagato a un prezzo che conoscono solo loro. Una volta ho evocato il comunismo. Yrina mi ha sputato in faccia. Senza una parola. Non c’erano testimoni. A volte rideva delle mie mani. Mani piccole, cazzo piccolo. Rideva. E sputava se provocata. Parlare di comunismo a livello dialettico è un lusso che Yrina non ha potuto permettersi. Cerco di spiegarle quanto sia malata la nostra democrazia, dei malanni del consumismo, di che razza di mafioso sia il nostro presidente del consiglio. Ma lei non ascolta, si distrae, non capisce, veste come le femmine degli Abba. Berlusconi mani grandi. Cazzo grande. Deve farsi confermare il contratto, anche se cerca di meglio, la catena di montaggio gli sta stretta, non si rassegna come le indigene. La sua esuberanza è oggetto di maldicenze, lei non fa nulla per smorzarle, si diverte ad alimentare il fuoco de gossip. Deve trovare un posto da traduttrice o da standista al Motor Show di Bologna. Vuole continuare a combattere. Il giorno che mi aveva sputato in faccia le avevo detto che a Cavriago, un comune emiliano, c’era una statua di Lenin. Ho provato a masturbarmi in bagno. Il mio immaginario saltellava tra la Piazza Rossa e la discoteca Pineta di Milano Marittima. Non sono riuscito a venire mi si è ammosciato quasi subito. Sono uscito dal bagno, volevo dirle che a Carpi via Marx a un certo punto diventa via Lenin. Yrina era sparita. Prima dalla fabbrica. Poi dal marito.

Marani ha approfittato della sua posizione. Quando il rapporto risultava evidente la ragazza oggetto delle sue attenzioni spariva. Marani tiene collant e mutandine nei cassetti chiusi a chiave del suo ufficio. Biancheria intima femminile e topi disidratati dal veleno della derattizzazione. Gli piace il rumore delle bestie morenti che sbattono contro le pareti metalliche, aspetta l’ultimo colpo e l’odore dolciastro che impesta l’aria se il veleno ha agito male. Marani alleva topi che circolano indisturbati nel suo ufficio, è possibile sentire piccoli rumori raccapriccianti da dietro la porta, per lo più quello delle zampette su legno. Una volta all’anno vengono gli uomini della deratizzazione, lui li chiama in ufficio e si fa lasciare centinaia di bustine di veleno. Gestisce da solo la questione. Li avvelena lentamente, con metodo. Le bestiacce che si annidano negli angoli e sotto gli scaffali sono più o meno vivaci a seconda del livello di intossicazione.
Capita che i topi più in salute si accaniscano contro quelli più deboli. Si formano tribù, clan, a volte due topi deboli si alleano per reagire. Raramente. Di norma, una volta individuato l’esemplare più indifeso, proprio quello che non reca minaccia o disturbo alla comunità, questo viene attaccato dal branco. Dopo la sua morte segue un periodo di fibrillazione anarchica, si cerca la nuova vittima, una volta condivisa la scelta tra almeno due topi forti, il gioco al massacro può ricominciare.Operaio1.jpg
Marani segue il loro comportamento per avere conferma di alcune sue teorie. Ci sono analogie tra il comportamento dei topi e quello degli uomini.
L’ufficio di Marani è sempre molto disordinato e sporco, un paio di volte sono riuscito a metterci il naso. Tiene lui le uniche chiavi, nessuno donna delle pulizie ha accesso al suo loculo. Marani mi teme perché sono l’unico a essere a conoscenza del fatto che non è l’ultimo a lasciare l’azienda. In realtà non lascia mai l’azienda, dorme nel loculo. Anche lui ha il savescreen mendace. Non ha nessuna famiglia o l’ha persa. Una mattina alle cinque è uscito a sgranchirsi le gambe. Io ero nel parcheggio con gli occhi già sbarrati sul tornello. Ha capito tutto. Ho capito tutto. Lo tengo in pugno per questo segreto condiviso. Forse dovrei temerlo. Lui ha molto da perdere, un atteggiamento così bizzarro non sarebbe perdonato a un dirigente.
Quando racconto queste cose qualche segretaria dal culo delicato non manca di uscire dalla mensa con il palmo che le schiaccia la bocca, per la faccenda dell’odore dei topi morenti. Non so più cosa inventare per delegittimare il Sacerdote che seduce il gregge. L’ammirazione e la fede della marmaglia verso Marani è incrollabile. Usa ancora termini dialettali, non ha timore di rendere note le sue perplessità sulle teorie imposte dopo la fusione.

Difficile applicare i dettami biblici della new age economica alle rogne della realtà quotidiana. I consulenti americani arrivarono in elicottero sul piazzale antistante l’entrata. Parlavano l’italiano meglio di noi. Sembravano usciti da una pubblicità Armani. Entità celesti, angeli sconsacrati che non mangiavano, non sudavano e non scambiavano parole con i partecipanti del Team di Aggregazione Dirigenti. L’élite che avrebbe gestito la mutazione della Cattedrale. Gli angeli interagivano solo nel corso delle lezioni. Gli interventi dei vecchi scolari erano sempre della stessa natura. Come far coincidere fatti concreti a regole teoriche. Lo spirito con la misera carne. Le argomentazioni degli angeli scivolavano leggere e robuste al tempo stesso. Vantavano esperienze sul campo, facevano riferimento ad aneddoti di lavoro, dimostrando che qualunque anomalia di qualità o di processo poteva essere gestita secondo poche linee standard. Anomalie&non-conformità. Cellule impazzite da trattare come il cancro. Fuori dal tempo bombardare di chemio. Prevenzione. Lavorare sullo sviluppo fornitori e sulle linee produttive interne. Formazione del personale. Responsabilizzazione. Anche a bassi livelli. Coinvolgere anche gli operai nell’apertura di Probem Solving. I dirigenti devono staccarsi dagli schermi del pc, allontanarsi dalle aree condizionate, devono presidiare e monitorare le linee. Devono aggredire la cellula malata della non-conformità all’insorgere, devono aprire i Probem Solving coordinando le attività delle varie figure secondo responsabilità e competenze.
Alle lezioni legate agli aspetti della gestione aziendale, seguiva un secondo step di attività in apparenza molto gaie e ricreative. I dirigenti venivano accorpati in squadre disomogenee, sembrava avessero scelto appositamente persone che non avevano mai avuto contatti professionali diretti. Si sondavano capacità relazionali, l’attitudine a risolvere piccoli problemi nel minor tempo possibile, si trattava di fare emergere i Leader Naturali. Le prove erano in apparenza ludiche, appena assegnati i compiti, venivano commentati con ilarità da tutti i partecipanti, poi via che i giochini si svolgevano, evidenziano difficoltà inattese e tratti umilianti. I consulenti erano poco inclini a sottolineare i lati ridicoli, accennavano sorrisi che si smorzavano in pochi secondi per lasciare posto a una severità scioccante. Dopo poche decine di minuti e qualche prova, a tutti era chiaro che c’era poco da scherzare. I partecipanti che non riuscivano a spogliarsi della propria identità pre-corso erano fatti oggetto di scherno. Bisognava rimettersi in gioco, dimenticare le mansioni e il potere consolidato, spogliarsi di buona parte delle sovrastrutture culturali. Per questo era necessario regredire a bambino. Poi bambino cattivo. Animale. Animale feroce. Animale che lotta per la sopravvivenza. La fase fanciullesca era quella più insidiosa. Rigurgitavano improvvisi traumi seppelliti in qualche zona del cervello non più in uso. Lasciare la stanza in lacrime era segno di resa incondizionata.
Un fallimento. Questo fece la Rebecchi dell’Ente Ricerche e Sviluppo. Di lei rimane un foglio affisso in bacheca, foto e curriculum maturato in Cattedrale, e gli auguri per le attività future. Da svolgere in altre realtà lavorative. La Rebecchi è nata il 23 Maggio 1964, segno zodiacale gemelli. Il settimanale Astra così recita: in condizioni normali riuscirai simpatico alle persone care, ma dovrai stare attenta alle tue reazioni davanti a situazioni inaspettate. Dovrai dominare la tua personalità. Non dovrei sottovalutare questo tipo di pubblicazioni.

Anch’io da piccolo caporale del Controllo Qualità stavo assorbendo nozioni inutili e profondamente spirituali, ma che allora mi sembravano così concrete e vitali. Prendevo appunti, a casa leggevo manuali malamente tradotti dall’inglese all’italiano. In biblioteca avevo trovato un libricino di Taiichi Ohno sul modello produttivo e logistico della Toyota. Volevo stupire i miei responsabili buttando lì frasi a effetto estrapolate a caso. Creavo solo sospetto e antipatia, non capivano dove volessi arrivare con quella ostentazione di sapere inutile. La Cattedrale era ancora profondamente Fordista e io andavo oltre, assorbivo filosofie di un popolo bombardato da radiazioni nucleari. Eppure io volevo essere attivo e propositivo. Non facevo battute scontate sulla dirigenza, le lasciavo a colleghi più prevedibili, dediti a mollezze parastatali. Non era un problema politico, né di leccaculismo, attorno a me c’erano solo persone di destra, gente che in faccia ai capi non avrebbe mai esibito ostilità. La mia non era una recita per avere in cambio avanzamenti di livello e adeguamenti economici. Non chiedevo nulla ed ero incapace di strategie sul lungo termine. Ero puro come il sudario di una vergine. Ero la vittima perfetta. Cercavo motivazioni, teorizzavo l’abbattimento degli steccati di conflittualità tra le diverse caste, il bene comune. Confusione. Imbarazzo. Perdita di punti fermi. Perdita di identità. Oblio. Volemosebbene. Volevo uscire dalla metà oscura del mio pianeta senza vita.
Ho ritrovato un vecchio post-it che avevo scribacchiato durante un corso laterale al Team per dirigenti. Ero un’altra persona. Commovente. La calligrafia è tonda, quella di un bambino.

Nessuna critica è mai costruttiva. È sempre frutto di chiusura mentale. Evidenziare solo le difettosità di un sistema organizzativo è sintomo di debolezza. Troppo facile, si giustifica l’impotenza, la propria incapacità.

ELEMENTI IMPORTANTI

– formazione:dalle nozioni alla conoscenza
– lavoro ed affiatamento del gruppo
– ricerca ed uso dei dati
– metodo/processo
– l’importanza del punto di vista

Ho tirato una riga di eroina arrotolando il post-it poi l’ho buttato nel cesso. E ho colto l’importanza del punto di vista. L’eroina ti pone alla giusta distanza per capire le cose. Né troppo vicino. Né troppo lontano. Ti regala il distacco necessario all’analisi, non ti senti coinvolto da nulla e capisci tutto, la parte cognitiva ed emotiva dialogano correttamente.
Quando ero caporale del Controllo Qualità, il periodo di massima espansione della Cattedrale, non ne facevo uso. Volevo sentire il calore delle cose, della gente, sentire l’odore dell’umanità, volevo vivere nell’entusiasmo, parlare con le persone, ero una miserabile eruzione di sentimenti umani. Ero caldo come una puttana, ma una che lo fa per passione, una vagina pulsante sempre collosa. Partecipavo al Plan Tour delle 14, rispondevo delle anomalie di processo e di fornitura al Direttore di Stabilimento, cercando di essere esaustivo ed efficiente. Non era mai abbastanza. I direttori cambiavano come trottole, arrivavano dal Portogallo, dal New Mexico o da altri luoghi immaginari. Erano preoccupati degli aspetti visual, l’ordine e la pulizia, erano concentrati su fatti secondari. Non avevano alcuna competenza tecnica specifica e non avrebbero potuto fare osservazioni più concrete e mirate alla sostanza dei problemi. Il potere vero era nelle mani dei vecchi porporati, gente senza scrupoli come Marani e Lupi, o come Mandracchia, l’uomo della rete distributiva per i prodotti After Market, Il Vampiro. Egli era condannato all’immortalità, in quanto unico depositario di contatti commerciali vitali per la sopravvivenza della Cattedrale. Mandracchia spesso fingeva malori. Almeno una volta alla settimana veniva portato al pronto soccorso dagli uomini della Manutenzione. Durante la sua essenza gli altri porporati riuniti in seduta plenaria pestavano il pavimento dell’Ufficio del Value Strem, mani dietro la schiena e sguardo basso, mentre i tecnici del C.E.D. smanettavano il pc del Vampiro per carpirne i segreti della rete distributiva. Impossibile intuire le password escogitate da un essere così imprevedibile. A quel tempo i rapporti umani erano ancora fondamentali, Mandracchia vantava amicizia quasi intima con un numero infinito di meccanici ed elettrauti esclusivisti del nostro marchio. Era bene non perderli, non lasciarli nelle mani della concorrenza e lui se li coccolava con interminabili telefonate. In realtà le sue capacità erano sopravvalutate, esaltate contro ogni logica, in quegli anni non esisteva concorrenza europea nella nostra fascia di mercato.
Era opinione comune che i suoi disturbi fossero simulati, gli aneddoti su di lui erano sempre beffardi e benevoli al tempo stesso. Nessuno metteva in dubbio la sua figura professionale. In realtà l’ulcera era vera, gli procurava fitte che lo piegavano a metà, io stesso ero stato testimone di un attacco che gli aveva stropicciato i lineamenti del viso. Eravamo soli, a metà del corridoio degli uffici, mi aveva guardato e si era portato l’indice al naso, poi si era ricomposto e aveva raggiunto la portineria. Qualche anno fa ero penetrato nel suo ufficio mentre la ragazza magrebina faceva le pulizie. I cassetti della scrivania non avevano serratura. Sapevo cosa cercare. Sapevo cosa avrei trovato. La busta con l’intestazione dell’USL. I risultati di un esame istologico facili da decifrare. La ragazza magrebina diceva che Marani portava sempre il caffé sulla scrivania di Mandracchia e si sedeva sulla scrivania, dovevano essere molto amici. Diceva anche che Marani lo zuccherava in corridoio, tirando fuori una bustina dalla tasca della giacca. Pensavo che le macchinette zuccherassero le bevande selezionando l’apposito tasto. Luciano Mandracchia è classe 1948, fine marzo, Ariete. Il settimanale Astra dà le seguenti indicazioni: impara a sentire le sensazioni del tuo corpo, non sottovalutare le malattie. Dà la giusta importanza alle amicizie e attento a chi amico non lo è davvero. Sarei oggetto di invidia.

Quando militavo all’Ufficio Qualità ero un’autentica troietta, disponibile alle bizzarrie sempre più degradanti imposte dai superiori, pronta a lavorare oltre l’orario standard senza retribuzione, dovevo mettere in pari le mie cose, i miei carteggi inutili. Come se ci fosse qualcosa di davvero mio in Cattedrale. Nelle discussioni tra colleghi e superiori cercavo la mediazione, cercavo di interpretare le esigenze della dirigenza senza posizioni preconcette e fuori dal tempo. Non mi lamentavo mai dello stipendio inadeguato alle responsabilità. Ero conscio di non aver alcun talento, lavoravo sulla fascia, correvo tutta la partita, portavo palla a colleghi più scaltri. Un borghese piccolo piccolo che sembrava possedere il distacco della nobiltà nata nell’agio, senza le palle e le malizie del disperato cresciuto nei quartieri pericolosi. Avevo anche partecipato all’attività di Suggestion Plan, proposte migliorative riportate ai propri capi reparto e sottoposte settimanalmente a un team di saggi che ne valutavano l’applicabilità e l’efficacia. Tutto regolato da punteggi, classifica e premiazioni finali alla presenza delle più alte cariche aziendali e dei familiari dei dipendenti premiati. Attraverso piccoli suggerimenti puoi migliorare la tua vita nell’ambiente di lavoro rendendolo vivo e palpitante, senza subirlo, neutralizzando passività e resistenze. Devi chiederti cosa puoi fare tu per la tua azienda, parafrasando indegnamente un maniaco sessuale di belle speranza&presenza cui spararono in testa. Lei, l’Azienda, già si occupa del tuo mutuo e del mantenimento di alcuni altri vizi.
Avevo presentato una proposta tesa a migliorare il just in time, il numero di pezzi di fornitura esatti nei tempi precisi, senza accumuli di magazzino, le giacenze di magazzino sono denaro fermo, denaro quasi perso. La mia trovata, scopiazzata in modo ignobile da qualche libercolo, era rischiosa, si giocava su un equilibrio esposto a ogni pericolo. Un ritardo nei trasporti, un qualunque imprevisto avrebbe potuto prosciugare le scorte e fermare la produzione. I tempi non erano ancora maturi e la solidità economica della Cattedrale non richiedeva il fuoco dell’innovazione.
Invece fu istituito il Bimbi Day, un brulichio di marmocchi, i figli dei dipendenti, che si aggiravano tra le linee produttive accompagnati da nonni, clown, animatori e funzionari. Ricordo il loro penoso straniamento. Non riconoscevano i genitori estrapolati dal contesto domestico, alcuni tra i più piccini piangevano.
Mi ero sottoposto a un’operazione volontaria che mi aveva reso sterile da pochi mesi e questo tipo di celebrazione risultava insopportabile. Disgustosamente fantozziano, andavo dicendo in giro, ma nessuno coglieva l’assurdo della situazione. Qualche ora dopo li avevo visti tutti in fila nel corridoio degli uffici, un carnevale colorato e chiassoso. Il mio cinismo, la mia presunta superiorità a queste grottesche manifestazioni aveva fatto i conti con quei faccini sorridenti, i volti pasticciati di colori e i nonni felici. Mi ero ritrovato solo, sterile, e malato. La direzione in fondo aveva solo tentato di umanizzare il posto di lavoro e le persone spoglie di condizionamenti culturali oppressivi come i miei, avevano gradito. Ero già in angolo. Sconfitto e sempre più isolato.