di Luca Cangianti
Gaia Giuliani, Zombie, alieni e mutanti. Le paure dall’11 settembre a oggi, Le Monnier, 2016, pp. 202, € 15,00.
Spesso il mostro si presenta come revenant, entità che ritorna: spettro prodotto da un crimine occultato, vampiro proveniente dal passato feudale, creatura deforme che si rivolta al suo folle e malvagio creatore. Le figure di cui ci parla Gaia Giuliani nel saggio Zombie, alieni e mutanti sono il prodotto della violenza coloniale che l’immaginario collettivo proietta in forma capovolta in un futuro distopico e apocalittico: la creatura spaventosa che abita gli schermi “sembra essere oggi lo stesso cannibale barbaro e senza regole o il mostro dalle fattezze orrende che per cinquecento anni di espansione coloniale e imperialismo occidentale è stato combattuto dall’uomo ‘del Progresso’.” Con questa chiave di lettura e con una vasta strumentazione interdisciplinare che spazia dall’antropologia culturale agli studi di genere, queer e postcoloniali, Giuliani esamina la produzione cinematografica e televisiva fantahorror seguita agli eventi dell’11 settembre 2001 per indagare le paure e le forme politiche contemporanee che si celano dietro le narrazioni della fine del mondo.
Già George Romero aveva rappresentato i non morti come reietti della società capitalistica che tornano per chiederci il conto; nella Terra dei morti viventi lo zombie Big Daddy acquista perfino una coscienza antagonista e una soggettività politica. In serie televisive come Les revenants e In the flesh quest’aspetto è approfondito e accompagnato da un fattore mutuato dalle nuove guerre globali: la difficoltà di confinare territorialmente il nemico. In questi esempi “democratici” s’ingenera una dialettica di conflitto e convivenza tra vivi e non morti, mentre in altre narrazioni “reazionarie” come REC o WWZ la “cattiva coscienza coloniale” ritorna per contaminare mortalmente la vita quotidiana di un condominio metropolitano o per assediare le mura delle città umane. In questi casi il rapporto tra umani e morti viventi può essere unicamente di reciproco sterminio.
Gli zombie, insomma, sono il colpo di frusta dell’accumulazione originaria descritta da Karl Marx nel Capitale. Si tratta di quella fase di genocidi, violenze efferate ed espropri di beni comuni, necessaria a creare le condizioni d’avvio del modo di produzione capitalistico. Da questo punto di vista la natura di tale violenza può ben definirsi colonialista, indipendentemente dal suo verificarsi durante la conquista delle Americhe o in un contesto nazionale come quello delle enclosures inglesi. Illustrare questo snodo teorico con la figura dello zombie è un’operazione molto riuscita di modellistica concettuale, che ricorda per potenza euristica l’uso marxiano del vampiro come metafora sostanziale del plusvalore.
La figura dell’alieno è utilizzata dall’autrice per indagare il rapporto tra le società occidentali e l’alterità migrante. Il tentativo di far convivere gruppi culturalmente diversi di persone, senza contatto e reciproca dialettica, entra in crisi con gli anni sessanta e settanta del secolo scorso, perché normalmente i gruppi sociali sono gerarchicamente ordinati e in competizione tra loro. In questo modo, la pari dignità dei gruppi sociali, come per tutte le forme astratte di uguaglianza, si rivela essere un modo per ribadire le forme esistenti di dominio. Il multiculturalismo così “non sarebbe stato per anni che un nuovo dispositivo ideologico in grado di democratizzare e ribadire, sotto nuove spoglie e per mezzo di inediti meccanismi, i vecchi metodi di gestione delle differenze”. Dalla crisi di tale politica nascono varie alternative di relazione con l’Altro: quella della segregazione descritta in District 9, quella dell’eliminazione illustrata nella Guerra dei mondi e in The Mist, quella dell’assimilazione per l’utilizzo dell’Altro nei lavori usuranti come in Moon e quello della convivenza, rappresentata nella scena finale di Monsters. Qui assistiamo a un’effusione affettiva tra piovre extraterrestri, che se non molestate possono vivere pacificamente accanto agli insediamenti umani.
Infine Giuliani passa in rassegna alcuni film come E venne il giorno, Cecità, The Impossible, Melancholia, Codice 46 e Upside down illustrando l’immaginario reazionario che si nasconde dietro lo scenario di “disastro permanente” inaugurato con l’11 settembre. Le fantasie dominanti che emergono sono quelle della restaurazione del soggetto mainstream, dell’eliminazione eugenetica degli elementi “inferiori” e della ricostruzione della comunità a partire dalla situazione emergenziale – tutti elementi, questi, che ritroviamo nella pratica politica contemporanea.
Zombie, alieni e mutanti è un saggio di spessore accademico che attraverso le figure orrifiche della recente produzione cinematografica indaga con profondità i legami sociali, valoriali e affettivi delle comunità umane. Da questo punto di vista s’inserisce nel dibattito degli studi culturali e postcoloniali, fornendo al contempo al più vasto pubblico degli appassionati di fantahorror nuovi e inaspettati spunti di riflessione.