di Gioacchino Toni
Naji al-Ali, Filastin. L’arte di resistenza del vignettista palestinese Naji al-Ali, Eris, Torino, 2015, 224 pagine, € 17,00
«Ho cominciato a usare il disegno come forma di espressione politica mentre mi trovavo nelle prigioni libanesi […] disegnavo sui muri» Naji al-Ali (p. 10)
È da poco disponibile la ristampa di Filastin, la prima raccolta pubblicata in Italia dei lavori di Naji al-Ali, vignettista palestinese assassinato per le sue idee politiche a Londra da un colpo di pistola esploso nell’estate del 1987 da un assassino restato sconosciuto.
Naji al-Ali è nato nel 1936 nel villaggio di Asciagrana in Galilea, fra Tiberiade e Nazareth, nella Palestina settentrionale ma, come tanti suoi conterranei, in seguito alla proclamazione dello Stato d’Israele, ha dovuto lasciare, da profugo, undicenne, la sua terra. Il personaggio principale delle sue vignette, Handala, conosciuto in tutto il mondo, è diventato una vera e propria icona tra i palestinesi e, più in generale, in tutto il mondo arabo. La pubblicazione, data alle stampe da Eris Edizioni, raccoglie 175 vignette restaurate originariamente uscite su diverse testate giornalistiche. Oltre alle vignette il volume pubblica un’intervista in cui il celebre vignettista palestinese racconta la propria vita.
A partire dal 1961 le vignette di Naji al-Ali, iniziano ad essere pubblicate sul periodico “al-Hurriyya”, organo del movimento panarabo, e, pochi anni dopo, trasferitosi in Kuwait, il disegnatore inizia a pubblicare sul settimanale “al-Tali’a”, sempre legato al movimento panarabo, e su “as-Siyast”. A seguito del conflitto arabo-israeleiano del 1973, Naji al-Ali rientra in Libano ove inizia a collaborare con testate come “al-Saifr”, “al-Khalij” ed “al-Watan”, esortando i suoi lettori a non farsi ingannare dai regimi arabi “falsi amici” e dai burocrati dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Dopo le vicende relative alla guerra civile libanese, all’invasione israeliana nel 1982, ed al massacro di Sabra e Chatila, Naji al-Ali abbandona nuovamente il Libano per tornare in Kuwait nel 1983, iniziando a collaborare con il quotidiano “al-Qabs Newspaper” sul quale pubblica vignette fortemente critiche nei confronti di quei regimi arabi che si sono piegati agli Stati Uniti. L’insistenza con cui accusa i regimi arabi filostatunitensi comporta la sua espulsione, nel 1985, dal Kuwait ed il suo trasferimento a Londra ove pubblica su “al-Qabas International”, “al-Khalij” e “al-Ittihad”, giornale del Partito Comunista Israeliano. La vita di Naji al-Ali termina proprio a Londra nel 1987 quando muore, dopo cinque settimane di coma, colpito alla testa da una pallottola esplosa da mano restata ignota. Pochi mesi dopo sarebbe scoppiata la Prima Intifada palestinese.
«L’arte di Naji al-Ali testimonia la sua volontà di schierarsi sempre e apertamente […] le sue vignette sono messaggi cifrati di facile comprensione che raccontano la Resistenza Palestinese e la condizione politica e sociale del mondo arabo» (p. 15).
Il personaggio più celebre creato dal cartoonist arabo è Handala, un ragazzino undicenne come lui al momento dell’abbandono della terra natia. «Io sono Handala, vengo dal Campo Profughi di Ain al-Hilwa, e giuro che rimarrò fedele alla mia causa e al mio popolo» (p. 15). Il nome dato al personaggio deriva da un’erba selvatica amarissima ed allude all’amarezza provata dal bambino nel vedere la sofferenza del suo popolo ed il tradimento di ha voltato le spalle alla sua gente.
«Il “popolo” è centrale nel lavoro dell’artista. È raffigurato quasi sempre come un contadino dai vestiti logori. È stato costretto ad abbandonare la propria terra per diventare profugo come la maggioranza dei palestinesi […] La miseria e la dignità che lo contraddistinguono, lo rendono universale e cosmopolita, trasformandolo in simbolo dell’arabo medio oppresso, dal sudanese al magrebino all’abitante di tutto il Medioriente» (pp. 15-16).
Tra le figure ricorrenti nelle vignette del palestinese c’è quella del fedayn con la kefiyah e quella di una figura femminile dai tratti tristi e determinati che finisce per diventare simbolo della Palestina stessa. Altro elemento ricorrente nei disegni è la chiave che allude all’abitudine dei profughi palestinesi di conservare le chiavi della casa abbandonata nella speranza di potervi fare prima o poi ritorno.
Per quanto riguarda le figure dei nemici, il singolo indica la totalità; il soldato con la stella di David o quello con la Bandiera americana sull’elmetto indicano rispettivamente lo Stato di Israele e l’Occidente. Non mancano nelle vignette i nemici interni al mondo arabo e questi sono individuati nella ricca borghesia, nelle burocrazie dei diversi regimi arabi e nella leadership palestinese stessa. Solitamente i nemici interni sono tratteggiati come personaggi grassi trasudanti opulenza.
«Attraverso questi semplici simboli, l’arte di denuncia di Naji al-Ali racconta la repressione e l’occupazione, l’oppressione e l’indifferenza, l’ingiustizia. Le sue opere sono universali, superano i luoghi e il tempo in cui sono nate, per aiutarci a vedere e comprendere le ingiustizie del presente» (p. 17).
Nell’intervista pubblicata sul volume, rilasciata nel 1984, Naji al-Ali dichiara che nelle sue vignette non ama inserire troppi dialoghi, preferendo ricorrere ad una serie di simboli presentati in maniera ricorrente in modo da instaurare una sorta di linguaggio comune tra disegnatore e lettore. Nella medesima intervista, nel ricordare come la sua permanenza in Kuwait sia stata dura, Naji al-Ali con grande amarezza sottolinea come la società consumistica ed individualistica sia in grado di cambiare le persone: «In Libano avevo tanti amici, insieme si lottava, insieme siamo stati in prigione, ma è bastato un solo anno in Kuwait perché molti venissero assorbiti da questa società. Sono diventati insensibili, hanno dimenticato il loro dovere nei confronti della loro gente e dei propri Campi Profughi» (p. 22). Sempre nel corso dell’intervista, l’autore, riferendosi al suo personaggio Handala, spiega come questo rappresenti non solo la sua Palestina ma ogni giusta causa ovunque questa si trovi. «Personalmente sono a fianco della mia classe sociale, sono dalla parte dei poveri e non posso entrare in contraddizione con me stesso o fare l’ipocrita. Per me la questione è chiara e non ho dubbi: sono loro, i poveri, quelli che muoiono, che vengono arrestati e incarcerati, sono quelli che soffrono veramente» (p. 23).