di Filippo Casaccia
Metti un sabato sera, al rave
La serata s’è subito messa bene. Vecchi amici, un buon rosso e cibo eritreo. Raffa e io siamo gli unici fessi che, da veri ghiottoni, ingoiano il peperone verde piccante intero. Saporito sì, ma fortino e la lingua diventa un altoforno. Le lacrime agli occhi e la sudorazione da sauna non c’impediscono di apprezzare il compagno Pier che tiene banco durante la cena e sfoggia il suo ethos. Sembra una convention elettorale perché espone, in 100 punti, il suo programma, con una parola buona per tutti: il frignone Leoluca Orlando, Di Pietro, Occhetto, Formentini, gli orridi Ragazzi del muretto, Castagna, Venditti, Alba Parietti, Minghi, Costanzo, Mino Damato, Mara Venier, Pannella, Sgarbi, Fede, Ferrara e Berlinguer padre, figlia e fratello. E di Andreotti ha una certezza: “Altro che un bacetto a Riina, ci ha messo 5 centimetri di lingua”. E ancora Santoro, Guglielmi, Curzi, Donatella Raffai, Dandini e Augias: “E questa è la cultura di Rai3: tutti gli animali della savana che ciulano”.
Lo accuso d’intolleranza e mi ricorda che più di una volta ho detto che se vado al potere, come niente faccio due milioni di morti, ispirato proponimento polpottista che abbraccia in pieno. M’arrendo all’evidenza della mia confusione mentale. Si parla d’altro ma è sempre Pier a fare lo show con bislacche teorie sul rapporto intimo di coppia, teorie che non lo hanno ancora, incredibilmente, reso padre. Si parla anche di politica, di questo governo delegittimato e delle probabili elezioni in primavera. Dichiaro che questa volta si vince facile, a man bassa: altro che Patroclooo, Achilleeeee! Raffa dice che non vinceremo mai. Mi fa presente che sono di sinistra e pure genoano: ho mai vinto qualcosa in vita mia? M’incupisco. Poi Matteo tira fuori Berlusconi e la sua uscita su Fini, per le comunali di Roma. Si dice che voglia entrare in politica. Sì, e mette su un partito così, dal nulla? Ma dài, Matteo… Pacche sulle spalle che si riservano allo scemo del villaggio. E alle undici, satolli, sudati e bevuti, che si fa?
Raffa, sempre in vena di originali iniziative, propone di andare ad un rave che si tiene alla “Cascina detta di pulci” di Vaiano Valle: si esibiranno i Mutoid, anarco-transmutanti inglesi svernati a Santarcangelo di Romagna. E come dire di no a questa botta di vita intellettuale, a quest’occasione di frugifero confronto sociale ed artistico? Faccio presente che non vorrei far troppo tardi, se no la Uno di Barbara si trasforma in una zucca e le scarpine di cristallo non mi entrano più. Sì, sì, mi rispondono, e si parte giulivi verso l’area del dissenso.
L’arrivo è avventuroso e l’atmosfera nella cascina è strana. È cadente e ci vive dentro una comunità di punkabbestia con i loro cani: bisogna stare molto attenti alla marea di stronzi per terra e dallo stato del pelo delle bestie si comprende il soprannome della cascina. I punkabbestia tanto sono truci nell’aspetto quanto gentili nel comportamento. Vengono addirittura a prenderci: ci viene incontro una macrognocca con la testa da gorgona rasta. La cascina è in mezzo ai campi e per evitare ingorghi fanno parcheggiare lì vicino, poi ti portano loro con un furgone. Guida un’altra bellona, dalla testa che sembra la coda di un pavone in amore. Nel Centro Sociale musica techno-punk a volume assordante: siamo decisamente i primi e infatti non è neanche mezzanotte. Facciamo i disinvolti ma è impossibile non notarci: siamo lì (scopriremo) con 4 ore d’anticipo sull’avvenimento. A piercing vari, dreadlock, giarrettiere smagliate e tagli da ultimo incazzato dei mohicani oppongo desert boots e giacchetta di velluto da futuro architetto, che indosso con la classe di un modello sgonfio. Qualcuno intuisce che ho delle sigarette: inizia una processione per chiedermele. Mi adeguo e dopo un po’ cerco anch’io gente da cui farmele offrire perché le mie le ho finite, solo che io sembro un infiltrato della Digos e me le danno mal volentieri. Un tizio più barcollante degli altri mi offre una pasticca e io declino molto urbanamente facendo presente che ho già le Mentos da sballo. Non ride.
Verso l’una ci illudiamo che il rave stia iniziando perché arriva un po’ di gente. In realtà anche i punkabbestia hanno i loro Fantozzi, mica come noi che, equivocando simpaticamente, possiamo sempre far finta di esser venuti per cena. Infine ecco i nomadi Mutoid che cominciano a predisporre il luogo per l’esibizione con le loro bellissime macchine customizzate alla Mad Max. L’abbigliamento aderisce a quello del film: il più sobrio indossa una maglia di cotta metallica che neanche re Artù in acido. La birra scorre a fiumi, i cani scagazzano, la musica pompa ossessiva, gli autoveicoli modificati degli artisti sgasano tra fuoco e fiamme. Quando gli altoparlanti sputano i Clash tento di fare cenni d’assenso ai convenuti. I miei sorrisini d’intesa non producono nessun effetto. Cazzo gliene frega a loro se i Clash li conosco anch’io? Niente, infatti. Allora, faccio il compagnone e m’introduco in una delle stanze in cui, presumibilmente, ad un certo punto si danzerà. Mi rendo conto che ho una concezione del ballo e dell’espressione corporea che forse potrebbe condividere giusto Visconti, tipo valzer finale de Il gattopardo. Nella stanza ci sono luci fluorescenti e le casse vomitano un riff ottuso e ripetitivo. Tutti dondolano, qualcuno si avvicina e mi guarda strano: sicuro che son della Questura. Verso le due l’orchite e la scarsa interrelazione con i frequentatori del centro sociale ci inducono fuggire alla chetichella. Spariamo balle ad alta voce, tipo: “andiamo a fare due passi, ma torniamo” oppure “là dentro si soffoca”. Non ci crede nessuno; siamo entrati per primi e stiamo miseramente scappando. C’incamminiamo per i campi, dandoci alla macchia complice il buio, ma il furgone della Cascina guidato dall’implacabile macrognocca gorgona ci scova e ci offre un passaggio: vergogna da ladri, ma non esitiamo, tanto ormai abbiamo già fatto tutte le peggio figure possibili. Durante il percorso mi appoggio al portellone che scoprirò non essere chiuso: alla prima curva, scivola lateralmente portandomi con sé. Resisto strenuamente appeso al portello aperto, con le gambe che ondeggiano fuori dal veicolo, sotto gli occhi severi delle bellissime rasta. Arriviamo alle macchine, ringraziamo e salutiamo con gli occhi bassi. Del rave leggeremo su Decoder. Siamo uomini d’azione, e letterati pure.
(3 — CONTINUA)