di Lorenza Ghinelli
Sabato scenderò in piazza perché i nostri diritti di cittadini non dovrebbero neppure essere oggetto di contrattazione. Non siamo oggetti, non siamo opinioni, non siamo solo numeri. Siamo persone, tantissime, e ciò che chiediamo è già previsto e sostenuto dalla Costituzione e dalla Convenzione ONU sui diritti dei fanciulli. A chi urla contro la “teoria gender” con lo stesso accanimento con cui si urlava “al rogo”, ricordo che la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia ha stabilito che uno dei quattro principi fondamentali riguarda la non discriminazione (art.2: i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere garantiti a tutti i minori, senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinione del bambino/adolescente o dei genitori). Il quarto principio riguarda l’ascolto delle opinioni del minore, contenuto nell’articolo 12 (prevede il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano, e il corrispondente dovere, per gli adulti, di tenerne in adeguata considerazione le opinioni). Di che stiamo parlando, dunque? Esiste già l’incondizionato via libera alla stepchild adoption e alle unioni civili, mentre non si fa alcun riferimento a considerare comportamenti fascisti come valori da difendere, proprio perché non sono valori: costituiscono reato.
Di mestiere scrivo libri, e ho imparato che quando si racconta una storia lo scrittore deve essere informato sui fatti, in modo da potere costruire un mondo dotato di coerenza interna. È lo stesso principio che dovrebbe guidare le persone a costruire la società. Invece vedo tanta gente che parla a vanvera di argomenti che non conosce mettendo a rischio il benessere di tanti bambini, volendo continuare a privarli del diritto inalienabile di essere tutelati dallo Stato. E lo Stato? Latita, tentenna, temporeggia e mente, proprio come i senatori del PD, improvvisamente contrari alla stepchild adoption pur avendo promesso agli elettori di fare carte false per renderla possibile. Gli stessi senatori si sono poi offesi perché il sito Gay.it ha reso noti i loro nomi. La politica dovrebbe essere una cosa seria, proprio come le rivoluzioni, entrambe non si fanno giocando a nascondino, ma mettendoci la faccia. E la gente ha diritto di sapere come agiscono i politici che vota. Così magari la prossima volta non li vota più.
Le persone gay, etero, bisex e trans che questo sabato scenderanno in piazza per pretendere uguaglianza sanno sulla loro pelle cosa significhi vivere in un Paese che discrimina e istiga all’odio per poi nascondersi dietro a un dito. Le persone che scenderanno in piazza per scrivere un nuovo e bellissimo capitolo della Storia del nostro Paese, di domande se ne sono già fatte tantissime e sono giunte alla più logica delle conclusioni: esistono tanti modi differenti di essere normali. Chi invece il 23 se ne starà in piedi, in silenzio, facendo finta di leggere un libro, non si è ancora fatto le stesse domande di chi invece è pronto al dialogo e al confronto. Chi si oppone al cambiamento nascondendosi dietro a un muro di silenzio è soltanto privo di argomentazioni concrete e di paura. Ho visto persone tenere in mano “1984”, di Orwell, o “Fahrenheit 451”, di Bradbury. Quelli sono libri importanti, coraggiosi che insegnano a temere il pensiero unico. Sono così inappropriati nelle mani di chi coltiva rancore limitandosi a difendere la propria ignoranza. A queste persone dico: avete scelto gli strumenti sbagliati, perché il compito della narrativa è quello di costruire ponti fra le persone e non di ergere muri. E so quel che dico. È così ridicolo fare la guerra all’amore.
C’è però una cosa che accomuna i reazionari e i conservatori alle persone che questo sabato manifesteranno per vedere riconosciuti i propri diritti: la famiglia. Tutti hanno una famiglia, o almeno i più fortunati. La famiglia è un dono meraviglioso, un punto di riferimento in mezzo al caos dell’esistenza. Ciò che le differenzia non è l’orientamento sessuale, ma il fatto che alcune lottano per fare in modo che la propria venga riconosciuta, mentre altre scelgono di spendere malissimo il loro tempo lottando per fare sì che le prime continuino a venire discriminate in nome di una “famiglia tradizionale” che non esiste neppure nella Bibbia. Impedire agli altri di essere felici non solo è stupido, ma è anche crudele e triste.
Non è più tempo di aspettare. Vogliamo diritti, non parole e neppure silenzi.
Ho detto che bisogna metterci la faccia. La mia la sto mettendo, e sabato ci sarò di sicuro.