di Jago Malteni
Per chi se l’è perse, ecco di seguito il riassunto delle puntate precedenti: Giobi è uno studente calabrese che vive da anni a Bologna. Appassionato di street art, è da tempo sulle tracce di improbabili connessioni tra i graffiti che tappezzano i muri del centro. Una notte, mentre è in stato di allucinazione, s’imbatte in qualcosa che impegna da un po’ (ma senza esito) le sue ricerche: un coniglio nero dipinto alla base di un muro, uguale ad altri due che, secondo i suoi calcoli strampalati, starebbero lì a tracciare percorsi segreti. La mattina dopo si rende conto che era solo un’allucinazione, ma trova uno strano biglietto in tasca, con sopra un indirizzo: Via dell’Inferno, 10. Ci va e, con sua grande sorpresa, scopre un altro nero-coniglio, stavolta reale, all’interno del palazzo. Nota anche, prima di allontanarsene in punta di piedi, degli strani movimenti attorno a una porta blindata nel dismesso cortile interno. Incontra poi Luca, un amico che gli viene in aiuto mostrandogli una porta USB incastonata in un muro, dove Giobi rintraccia dei file che parlano di droghe “enteogene” e di una misteriosa Bologna sotterranea. Il giorno dopo, sfuggito a una carica degli sbirri durante un corteo per il diritto alla casa, incappa per caso in un suo vecchio amico, Mimmo, e con lui ripara in uno studentato occupato. Qui, al termine di una concitata assemblea, riesce a convincere Rachid, ragazzo palestinese, a scendere con lui nei sotterranei della città. Anche Mimmo è dei loro, e il mattino seguente, scesi di soppiatto nei bassifondi, i tre si trovano a spiare dei loschi armeggi con pacchetti di roba pescati dall’acqua e riposti in una cassaforte, all’altezza di quello che a Giobi pare proprio il palazzo al 10 di Via dell’Inferno. I tre, allibiti, proseguono al buio lungo il canale, fino a uscire, dopo un po’, di nuovo all’aperto…
Capitolo 4b
– Cioè, Gio’, fammi capire: tu domani vorresti tornare là sotto, scassinare la cassaforte sotto il naso di quelli là e filare via col malloppo senza che nessuno si faccia male?
– Esattamente!
– E lo dici così, come se niente fosse?
– Sì, figlioli, e vi dico pure che sarà più facile di quello che pensate. Fate conto: con tutto il casino che abbiamo combinato poco fa, quelli non si sono neppure accorti di noi… Figuratevi se ci andiamo tanticchia più organizzati… facciamo il colpaccio, figlioli!
– Però se ci chiappano quelli ci strappano scroto con un morso!
– È vero, Rachid, quelli fanno paura per quanto so’ grossi, ma io dico che di cervello ne hanno poco e che li possiamo fregare. Già prima, impanicati e tutto, siamo arrivati a un passo dal mettere le mani su quella robba…
– A proposito, Gio’, sai per caso di che si tratta?
– No, di preciso no… Però qualcosa mi dice che è robba buona. Sostanze enteogene…
– Enteoché?
– Niente, Mi’, lascia perdere…
– Mh… A me invece qualcosa mi dice che tu non ce la conti giusta! E poi, scusa, laggiù non c’eravamo scesi per un altro motivo?
– Vero questo, noi abbiamo andato giù per cercare un maniera di occupare casa. Ora cosa è questo di nuovo? Mimmo ragione, Jo’, tu non ci conti giusto…
– Ma se non vi conto giusto come facevo a sapere le cose che v’ho appena detto? E poi, in capo a voi, se veramente era così pericoloso, io Giovanni Biglia mi andavo a infognare con voi dentro ‘sta storia?
– Va buo’, d’accordo. Ma una volta là, mi spieghi come facciamo a forzare la cassaforte senza farci sgamare?
– Il piano è semplice, figlioli, sentite: al primo cambio di guardia ci avviciniamo, attendiamo il loro segnale e
– Il loro? Come il loro? Vuoi dire il nostro…
– No no, hai capito bene: il loro segnale. Fidatevi: se restiamo in silenzio e facciamo attenzione, i loro uno-due-tre arriveranno chiari e forti. Fate conto che la porta che devono aprire di sopra non si smuove manco a spintonarla con un carrarmato: per forza che devono spingere sincronizzati. Al che noi non dobbiamo fare altro che concentrare le forze e, ai loro tre, fare leva tutti assieme sopra al piede di porco, in maniera che il fracasso nostro sarà coperto da quello che nel frattempo preciso faranno loro di sopra. Funzionerà, sentite a me. Avremo in tutto almeno quattro o cinque minuti di tempo: apriamo il forziere, arraffiamo il possibile e ce la svigniamo!
– E se una cosa va di storto?
– Se una cosa va di storto vuol dire che la svigniamo a mani vuote, come abbiamo fatto poco fa. L’abbiamo scampata una volta, perché non dovremmo farcela di nuovo? Poi, al limite, si può temporeggiare e riprovare al cambio di guardia successivo…
– Sì, Jo’, io ci sta.
– Io invece no, ragà, non me la sento.
– Come vuoi, Mi’, qua nessuno ti costringe. Rachid, allora intesi io e te? Ci vediamo domani mattina, stesso posto e stessa ora.
– Capito, come di oggi, alla sette tra vita e morte?
– Esattamente, alle sette tra la Vita e la Morte. Mi raccomando, eh…
– Tu raccomando, non ritarda altra volta!
– Sì, sì, tranquillo. A domani.
– Oh, ma mo ve n’andate tutt’e due? E a me mi lasciate qua da solo? Aspettate un momento, oh… Ma tu ‘uarda ‘sti due chini de merda!
È sera fatta.
Giobi se ne torna a casa, dopo un giorno all’inferno. Pesano i passi e rimbombano sotto la volta dei portici, stranamente deserti, di via Zamboni. Un campo di battaglia evacuato, derelitto, ancora in macerie dopo gli scontri di ieri.
Ma, oltre al ciarpame e ai cocci sparsi, c’è qualcos’altro che stona nel quadro d’insieme. Qualcosa che Giobi non tarda a notare: una scritta nuova, mai vista prima, una domanda posta a ripetizione lungo i colonnati, in caratteri piccoli e ricavati da una stessa matrice, a ridosso dei due conigli neri e per l’intero tratto che li separa: Giochi o non giochi?
Un invito, un’esortazione. Come a dire: allora, che fai? Cosa aspetti? Accetti la sfida o te la stai facendo sotto?
Ciò che più lo colpisce, però, è quello che scorge qualche passo più avanti, appena dietro l’angolo, su uno dei battenti del portone d’ingresso del Museo di Mineralogia (di fianco al dipartimento di Geologia, all’incrocio con via Irnerio), dove Giobi non può non notare uno scoiattolo fresco di stampa, appena una spanna più in alto degli scalini d’ingresso.
Trasale, s’incuriosisce, s’avvicina.
La colla è recente, non asciugata del tutto, e lo scoiattolo ha una somiglianza spiccatissima con quell’altro. Peccato solo che si trovi giusto a metà tra i due conigli, per cui la scoperta non dice nulla più di quanto già sapesse. C’è un roditore in più, certo, ma il tragitto rimane lo stesso. Eppure quella domanda, giochi o non giochi?, continua a echeggiargli per la testa. Che qualcuno gli stia giocando un brutto scherzo?
Assorto in ‘sti pensieri, Giobi non s’è accorto che c’è un uomo appostato all’ombra di un pilastro che lo sta osservando e che, per via del suo palese interessamento al graffito, ha appena capito essere lui, lui e nessun altro, la persona che sta cercando. E nemmeno s’accorge, dopo aver ripreso a camminare, che l’uomo lo sta tallonando da vicino, da molto vicino, da sempre più vicino, finché, nel tratto più buio del portico, non lo agguanta da dietro afferrandolo per la collottola.
Giobi non ha il tempo di urlare fuori lo spavento che si ritrova una manaccia a tappargli il muso. Tenta di divincolarsi ma è come paralizzato, la gola stretta tra le borchie puntute di un lungo bracciale di pelle…
Cazzo, è lui! – pondera con occhi sbarrati di terrore. – Non può essere che lui! L’energumeno di via dell’Inferno, il bestio palestrato dell’Esteuropa, l’Incredibile Hulk dei Balcani! Ma come ha fatto a beccarmi? Che cazzo vuole da me? Oddio no, non voglio morire giovane!
– Tu ascolta me bene, piccolo squizzo di merda: tu stare lontano, tu non mischiare più dentro questa storia. Capito? Tu no fare furbo con me. Io guarda te altra sera quando tu scrivere indirizzo; io guarda te altro giorno quando bussare in partamento; io guarda te scappare in locale di Kazzìm, qua vicino, e anche prima con amichi di tuo in sotterraneo. Io sa tutto, capito? Io guarda tutto, io capisce tutto…
Ha un alito pestifero, il colosso di Madre Russia.
“Cos’è, il capoccia ti tiene a digiuno e tu rimedi con una dieta a base di scarafaggi e carogne di pantegane infoiate? Almeno tappami pure il naso, bastardo di un cinghiale mutante, così mi risparmi i miasmi di quella chiavica che ti ritrovi al posto della bocca!”
È quello che Giobi vorrebbe gridare, ma con la bocca sigillata non riesce ad emettere più d’un mugolio indistinto.
La morsa si stringe. Le borchie del bracciale sono acuminate e pungono forte sul gozzo.
E tuttavia, all’apice dello scoramento, il gigante molla la presa e spinge Giobi in avanti con impeto tale da scaraventarlo a terra. Poi fa dietrofront e, inaspettatamente, s’allontana.
Giobi, ancora scosso, si ricompone come può. Raccoglie il fiato e, quando Hulk è ormai a distanza di sicurezza, gli spolmona contro furibondo, accecato dalla rabbia:
– Cos’è, te ne vai mo? Mi sei venuto alle spalle e non hai avuto neppure il coraggio di guardarmi negli occhi. Vigliacco! Grande e grosso come sei, non capisco perché ti fai comandare a bacchetta da quel nanerottolo! Perché tu e i tuoi pari non lo buttate una buona volta nel fiume, a quello? Perché non ti ribelli, eh? Te lo dico io: perché sei solo un cacasotto, ecco perché! Un fascistoide del cazzo, ecco che cose sei!
Alle urla azzardate di Giobi, il bestione sembra avere un sussulto. Sta lì lì per voltarsi, e a Giobi pare di leggere un briciolo di debolezza nel modo in cui reclina il capo. Ma poi riaccelera il passo e in un niente sparisce dietro l’angolo.
Un avvertimento, un’intimazione. Non doveva fargli male, solo intimorirlo. Ha eseguito degli ordini. E forse la provocazione finale ha veramente colpito nel segno, andando dritta a toccare un nervo scoperto.
Giobi si passa una mano sul collo: ancora gli brucia, per via degli aculei che per poco non glielo riducevano a scolapasta. Al ritrarla, si scopre il palmo imbrattato d’un filo di sangue. Scosso e indolenzito, piglia a calci una lattina, come a scacciare fuori i rimasugli d’incazzatura che dopo la sfuriata gli sono rimasti in corpo. Poi, a capo chino e spalle incassate, si rimette sulla via di casa.
“Cos’è che diceva quel porco? Io ti guarda, io ti guarda… Ma non era Dio, quello? Io ti guarda scrivere indirizzo… Ma di che va blaterando, se l’indirizzo me lo sono ritrovato in tasca? …E se invece avesse ragione lui? Mah… Cos’altro ha detto più? Io ti guarda bussare in partamento… Era lui allora dietro lo spioncino… Però c’è qualcosa che non mi torna, qualcosa che sfugge… ‘rcoggiuda, che confusione!… e poi, cos’ha detto più quel trippone? Ah, sì: Io ti guarda con tui amichi in sotterraneo… Ecco, questo mi suona piuttosto strano. Se veramente ci ha visti, prima là sotto, allora perché non ha cercato di fermarci? Mh… non può essere… avrà al massimo sentito dei rumori e, insospettito, ha pensato bene di bleffare. Ma come ha fatto a risalire fino a me e a essere così sicuro di aver acciuffato la persona giusta?
Lo scoiattolo! È vero, cazzo, lo scoiattolo! Gli è servito da esca! Come pure quella domanda, posta lì a più riprese: Giochi o non giochi? È andato prima di stencil e di colla, il bestione, e poi si è messo nascosto, in attesa, finché io interessandomene non sono cascato come un fesso nella sua trappola. Questo però vuol dire che Hulk e la sua gang sanno dei graffiti. E magari credono pure che io sia giunto a loro seguendone le tracce. Il che, in parte, sarebbe anche vero…
Comunque sia, ‘sta storia puzza più dell’alito di quel cinghiale bastardo! Ma se pensa d’avermi impaurito si sbaglia di grosso: l’appuntamento per domattina è preso e dietrofront io non faccio. Rachid sarà certamente là, puntualissimo. Non è uno che si fa attendere e pregare, lui…
Io ti guarda, io ti guarda… A ripetermele, queste parole, non mi suonano poi tante nuove… Dov’è che l’ho già incontrate, sentite, lette? Forse in un cesso dell’università, al trenta-e-qualcosa di via Zamboni? Sì, può essere… Ma anche no!
Io sa tutto, io capisce tutto… diceva poi il gorilla.
Beato lui! – pensa Giobi mentre pesca le chiavi di casa dalla tasca del giubbotto. – Io non sa e non capisce proprio un cazzo di niente!