di Mauro Baldrati
Un tempo c’erano i blog. Fu una piccola rivoluzione, siti liberi e gratuiti, individuali o collettivi, che permettevano una comunicazione immediata e transnazionale, una sorta di editoria di base autogestita. Alcuni ci hanno scritto su dei saggi impegnativi, evidenziando, per esempio, il fatto che se nell’era precedente, quella delle fanzines ciclostilate e della new wave, fossero stati disponibili i blog, davvero certe istanze affermative ultrarealiste del ’68 sarebbero esplose in forma compiuta. I blog erano definiti interattivi, orizzontali, perché si basavano su un rapporto democratico tra autore e lettore, che comunicavano, si scambiavano informazioni e linguaggi.
Sì, è il caso di dirlo, una rivoluzione c’è effettivamente stata, ma poi tutti ci siamo resi conto che il dannato mondo continuava a non cambiare. A non migliorare. Per cui i conti non tornavano. E nella sezione dei commenti sono spuntati i personaggi che usavano i blog per esprimere certe dinamiche aggressive e negative, che qualcuno ha avuto la brillante idea di definire “Troll”.
I Troll erano erranti, ma più spesso stanziali. Talvolta autori loro stessi di un blog, si insediavano in un sito più autorevole, con molti lettori e commentatori, e scatenavano tutta l’aggressività di cui erano pervasi. Tentavano di stroncare qualunque articolo, di qualunque genere e scritto da chiunque. Attaccavano anche l’autore, cercando di farlo apparire come un ignorante rimbambito, indegno di scrivere anche solo una lista della spesa. Erano piuttosto bravi, scaltri, subdoli e a loro modo studiosi. Infatti, non appena riuscivano a individuare un errore, un riferimento sbagliato, un dato incompleto, si avventavano sul malcapitato coprendolo di epiteti del tipo “sei un insulto alla letteratura” e similari. I Troll per alcuni erano diventati un incubo, e sappiamo per certo che per causa loro qualche scrittore ha smesso di intervenire in un determinato sito.
Nel retro sportello di qualche blog si discuteva animatamente su quale atteggiamento tenere coi Troll. Alcuni redattori sostenevano che i commenti andavano chiusi, o quanto meno moderati con mano ferma, perché, oltre al danno creato dalla violenza verbale, non era giusto offrire uno spazio agli sproloqui di psicopatici. Altri invece sostenevano che i Troll erano a modo loro un prodotto deviato di quella rivoluzione, e che occorreva affrontare il rischio e il disagio, perché sarebbe stata contraria all’ispirazione del sito qualsiasi forma di censura.
Poi i blog sono diventati obsoleti, perché sono spuntati i social, che hanno travolto in poco tempo quasi tutti i siti, molti dei quali hanno chiuso, mentre altri resistono, dopo avere adottato riforme strutturali per renderli sempre più simili a vere e proprie riviste.
Facebook, il principe dei social, ha fagocitato quasi tutto lo spazio dei blog, aspirando i commentatori e i lettori, che sono diventati dei nuovi bloggers rifondati, alimentandosi a vicenda col sistema dei “mi piace”, che ricevono dopo averli dati alle pagine di altri “amici”. La rete si è allargata, globalizzata, fino a raccogliere milioni di utenti.
Ma i Troll non sono scomparsi. Anzi, sono mutati, si sono per così dire incattiviti, liberando senza freni forme di aggressività violenta, di razzismo, di fascismo, di misoginia e omofobia che nella precedente versione in fondo erano tenute sotto controllo, pena l’eliminazione dei commenti e la radiazione dalla lista dei commentatori. Insomma, tutti i sentimenti più bassi, in una sorta di esplosione di demenza e negatività. Il problema etico dello spazio ai deliri di psicopatici non si pone, perché il sistema si sostiene e cresce sugli “utenti”, aumentando la propria forza contrattuale nella raccolta di pubblicità con la potenza di un parco utenti poderoso. Al massimo a qualcuno tra i più estremi può capitare di ritrovarsi la pagine bloccata per un mese, quando la violenza e la qualità degli insulti può diventare pericolosa, per le denunce. Ma quando tornano sono più inferociti di prima.
Da una ricognizione, che non ha la pretesa di essere una vera e propria ricerca sociologica con una ipotesi, una tesi e una sintesi, emergono comunque dei dati sbalorditivi, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra i social-blogger e gli “amici”.
Per esempio, un certo “personaggio pubblico” posta una frase composta di 5 parole: “Cosa farò a Natale? Rinascerò”. Il lettore si chiede: Ma crede di essere Gesù Cristo? Uno che scrive un simile aforisma è un Troll? Ma non è questo il dato più eclatante: La frase ha totalizzato 21.207 “mi piace”, 1.289 commenti, 1.270 condivisioni. Tra i commenti leggiamo ringraziamenti alla “musa ispiratrice”, e aggettivi superlativi di lettori entusiasti. Il ricercatore strabuzza gli occhi, fatica a credere a ciò che legge.
Ma qui siamo comunque nel campo “soft” del mainstream, il problema è costituito dagli aggressivi violenti. Ci sono post costituiti esclusivamente da dichiarazioni di odio, con auguri di incidenti e malattie mortali. Sono lì, liberi, trionfanti, senza freni. Senza riprodurli, perché siamo dell’idea che sia eticamente riprovevole offrire uno spazio ai deliri di psicopatici (non solo per il pubblico ma anche per loro stessi), abbiamo letto insulti, infarciti di bestemmie, ai musulmani (molto diffusi), con invocazione di prosciutto e salame introdotti in vari orifizi, agli “hippies” rincoglioniti che contestano Salvini, con incitamenti alla polizia di massacrarli tutti, ai gay (con altre invocazioni di tipo sessuale sadiche), agli ebrei, ai “negracci”, agli “zingari di merda”, e alle donne, molto popolari: minacce di stupri/omicidio alla Presidente della Camera, ad alcune esponenti della politica, e sembra di avvertire anche fisicamente la violenza di queste parole contundenti, delle delle minacce.
Ma quanti sono? Difficile stabilirlo, anche perché la maggioranze delle pagine è consultabile solo con gli account degli amici, o degli amici degli amici. Una sorta di rete simil-sotterranea della follia. Dalla nostra ricognizione emerge con prepotenza un dato: tutti i violenti sono maschi, in maggioranza giovani, under-trenta, mentre le donne sembrano partecipare al gioco da una strana posizione di complicità. Per esempio, sotto alcuni post particolarmente sessuofobi, con affermazioni del tipo “Puttana, puttana” seguite da invocazione di stupri con seguito di snuff-movie, spuntano dei commenti di lettrici che apostrofano il titolare del post con “fantastico”, “sei sempre un grande” e così via. E anche qui il ricercatore non riesce a credere a ciò che legge.
In definitiva cosa si può fare? Nessuno lo sa con precisione. E tanto meno il reporter-ricercatore, la cui missione è fornire un rendiconto dei fatti, e una indagine dei retroscena. Di sicuro si ha l’impressione di assistere al macabro spettacolo di individui che hanno fatto la scelta (coatta fino a un certo punto) di uscire dalla specie, per diventare dei “walkers”, attraverso il gate del fascismo, del razzismo, dell’omofobia e della misoginia. Tutti i sentimenti più “bassi” della specie insomma, che vengono scatenati in un gioco fatale di auto alimentazione, che costituiscono una sorta di plusvalore per le destre e per i detentori dei “parchi utenti”. In definitiva è un’uscita dal reale, e un’entrata nel nulla, del quale si nutrono tutte le metafisiche di questo mondo.
L’unica possibilità per arginare la moltiplicazione dei Troll, almeno nel medio periodo, è cercare di riflettere sulle cause di queste mutazioni, comprenderle, anche alla luce del vippismo ossessivo propagandato dai media, uno spettacolo di fronte al quale sentirsi anonimo, sentirsi niente e nessuno, scatena odio e violenza. E di fronte a questa continua, nevrotica negazione, recuperare la vocazione affermativa e anti-metafisica dei movimenti, per i quali la vera rivoluzione era “essere ciò che si è”. E al centro di ogni filosofia non c’erano realtà superiori, disgiunte dal mondo reale, divinità da adorare per “riscattare” noi stessi, ma questa vita, la nostra, in tutte le sue forme.
Insomma, trasformare il “era” in “è”; e il “c’era” in “c’è”.