di Rinaldo Capra

giandante 1Roberto Farina, 
Giandante X, Milieu Edizioni 2015, pp.272,
 € 14,90
Alessandro Capozza (a cura di), Giandante X artista della libertà, edito da AICVAS 2015, pp.141, € 14,00
Roberto Farina (a cura di), Giandante X l’eterno viandante, edito da Associazione Memoria Storica Giovanni Pesce 2013, pp. 79, € 22,00

Giandante X (1899-1984): prima di trovarmi tra le mani i volumi di Roberto Farina e di Alessandro Capozza, non lo avevo mai sentito nominare, non lo conoscevo. Mai visto un’opera, mai sentita una storia o incocciato in qualcuno che lo citasse o lo avesse conosciuto. Pittore, scultore, architetto, poeta, ma soprattutto militante ostinato, deciso e solitario, che ha messo al centro della sua ricerca artistica l’impegno politico senza riserva alcuna. I soggetti del suo lavoro sono archetipi epici legati alla sua visione mitologica delle grandi questioni del ‘900. I titoli sono inequivocabili ed esemplari: “Eroe”, “Verso la città futura”, “Combattente”, “Il grido del ribelle”, ecc.

Ha incarnato, di volta in volta, tutte le pulsioni di cambiamento del suo tempo, misurandosi con il rischio di cadere nella retorica, che inevitabilmente i movimenti proponevano, e nelle strumentalizzazioni politiche. Ha usato gli stilemi del Decò, del Futurismo, dell’Espressionismo tedesco, del Razionalismo italiano, ma senza mai deviare dalla sua concezione di arte militante. Anarchico per alcuni, comunista per altri, certamente è stato Ardito del Popolo, miliziano delle Brigate internazionali in Spagna e partigiano in Italia. Sempre con tutti, dove serviva, ma sempre da solo.

giandante 3Eppure quest’uomo è sconosciuto ai più. Pur citato e ammirato da Sironi, Sassu, Lajolo, de Grada, Giolli, Carrà, Formaggio, Treccani, è rimasto nell’ombra.
Si è autoescluso dal mercato regalando quadri o vendendoli sottocosto quando le quotazioni aumentavano.
Unica biografia pubblicata fu “Giandante artista poeta combattente” di Silvio Biscàro (1963) e solo ora, dopo più di cinquant’anni, ecco due pubblicazioni uscite in contemporanea, che si aggiungono a “Giandante X l’eterno viandante”, ancora a cura di Roberto Farina, del 2013.

Giandante , nato Dante Pescò, è figlio dell’agiata borghesia milanese; cresce tra
l’anaffettività della madre e la severità del padre, che non vuole artisti in famiglia. Nel 1916 fugge di casa e rompe ogni relazione con la famiglia, studia architettura e filosofia e come scrive lui stesso: si butta sulla terribile strada fatta di fame, miseria e fango alla ricerca del Mito artistico. Nel 1919 si diploma Architetto Professore e assume il nome di Giandante X.
Giandante non è un refuso di viandante, come alcuni sostengono, ma Già-Andante, già in cammino nella vita di tutti, come un mistico che percorre la terra per costruire la sua piramide di coscienza, che in un suo scritto definisce costruita su “un’enorme zatterone di dolore”. Un cammino, per capire e lottare, fatto di semplici e umanissime cose. La X è l’incognita dell’eterno divenire, la croce della passione ideale e della compassione per gli oppressi, che non hanno cognome che li qualifichi e che in quella X sono tutti rappresentati. L’impressione è di trovarmi di fronte a un uomo con una biografia esemplare, una vita molto più rappresentativa della sua produzione artistica.

giandanteXOra Giandante mi guarda dalla bella foto di copertina del libro di Farina ed io guardo lui: è un ritratto, un bel ritratto. Ha in sé tutti i crismi del ritratto ufficiale, apologetico. La luce disegna il volto da sinistra verso destra, ne mette in risalto la tridimensionalità, la forza del naso e le mascelle serrate. L’espressione è molto intensa, ieratica, come quella che hanno i grandi mistici nell’iconografia classica. L’occhio sinistro è in penombra e il destro, appena più illuminato, non guardano nel centro ottico dell’immagine, ma poco più in alto, come per scrutare orizzonti lontani, ben oltre il fotografo che lo ritrae. Ignora la fotocamera, è totalmente assorto nei suoi pensieri e nelle sue visioni.

C’è in Giandante l’assoluta consapevolezza del proprio essere e dell’immagine che ne vuole dare. Quando si fa un ritratto fotografico, s‘instaura una relazione tra il soggetto, il fotografo e lo strumento di ripresa. Si ricerca una complicità tra l’immagine di sé che vuole dare il soggetto e quella che vuole ottenere il fotografo. L’obiettivo della fotocamera diventa l’ideale punto d’incontro e mediazione delle due esigenze: da questo nasce il ritratto. Invece Giandante guarda oltre, è già in viaggio, si percepisce la tensione ideale e l’assoluta certezza della propria identità. Il fotografo e la fotocamera è come non ci fossero, e lui non sta mettendo in scena la rappresentazione di se stesso, lui è se stesso.

Questa foto però non è un ritratto, ma una foto segnaletica del 1942, scattata in occasione della consegna degli internati dei campi di concentramento in Francia alle autorità italiane.
Ecco ancora più forte la certezza che Giandante aveva l’assoluta consapevolezza del proprio essere, al punto da dare nobiltà estetica allo scatto di un secondino. Riesce in un’opera mirabile: rende ritratto orgoglioso e deciso la foto segnaletica che è di sua natura umiliante e violenta e viene imposta sempre come atto di sopraffazione psichica. Per un attimo il secondino è un autore.

giandanteoscuroUn’altra foto mi ha colpito. Giandante è sfuocato, la grana molto pronunciata e la luce ancor più tenebrosa e drammatica. Le mascelle serrate, le protuberanze sulla fronte, il naso deciso. Gli occhi sono completamente in ombra e solo vagamente si intuisce la pupilla destra, ma una cosa è certa, anche nell’indeterminatezza delle forme, lo sguardo comunica esattamente la stessa determinazione della foto segnaletica. Nulla è cambiato tra le due foto, il carattere monolitico e irriducibile è uguale, la spinta emotiva grande. Farina la associa a una bella poesia:
Desertica
Sull’arcuata sforme faccia
baracollava l’ombra grigia e lunare dell’errante
sue svuotate pupille viaggiavano oltremare…
…nel suo tascapane teneva chiuso il suo gran cuore
.

Aderisce agli Arditi del Popolo, fonda la setta delle Cappe Nere e alla morte del padre rifiuta l’eredità e si libera dei soldi ricevuti dandone parte a Leonida Repaci per la pubblicazione del romanzo L’ultimo Cireneo e comprando libri e armi.
Di scottante attualità il romanzo di Repaci, infatti Giandante vi compare come alter ego del protagonista Nullo Viandante, un pittore che si fa saltare in aria ad una festa danzante dell’alta società milanese. Evidente il riferimento dell’attentato del teatro Diana. Nel romanzo c’è un dialogo tra il pittore e l’amico scrittore poco prima dell’esplosione che racconta bene il pensiero di Giandante e dice: “La mia arte è una fontana senz’acqua… quando il mondo è fango, …è menzogna anch’essa”.

Nel 1923 viene arrestato e rasenta la follia per le torture subite, tuttavia Wildt lo invita alla prima Biennale di Monza, dove presenta un lavoro di 25.000 disegni. Collabora con l’Unità, ha un aspro contraddittorio con Marinetti e nel 1933 lascia clandestinamente l’Italia per la Francia. Come da suo stile, allo scoppio della guerra di Spagna, carica tutte le sue opere su un carretto, le getta nella Senna e parte per la Spagna. Colonna Rosselli, poi 134° Brigata mista, su incarico di Longo diviene responsabile della propaganda delle Brigate internazionali e illustra manifesti e volantini.

giandante 4Preziosa e ampia la ricerca iconografica dell’attività di illustratore in Spagna nel volume di Capozza, che mostra la grande mole di lavoro fatto e in cui lo slogan più usato da Giandante è: Unità. Alla fine della guerra è tra gli ultimi a lasciare la Spagna, ripara in Francia, dove è successivamente consegnato agli italiani che lo mandano al confino. Dopo l’armistizio torna a Milano come ufficiale di collegamento nella formazione Matteotti 33 Fogagnolo vicina agli anarchici. Alla fine della guerra riprende a dipingere, stavolta con tratti meno ideologici, con più colori e coltiva una stretta amicizia con lo stalinista Pesce, quello che aveva difeso Vidali, e sua moglie Onorina, che acquistano molti suoi dipinti e si prendono cura di lui.

Chi è Giandante? Un mistico del comunismo che ha voluto esserci sempre, senza sottilizzare troppo. L’importante era l’azione, l’esempio per far fronte a un nemico comune. Ha gestito gli aspetti contradditori delle sue scelte, non aderendo integralmente al Partito Comunista, ma sempre in bilico per sfruttare tutte le possibilità d’intervento che si presentavano, privilegiando scelta delle persone prima che le posizioni ideologiche. Fedele a se stesso, solo e schivo, fuori dal mercato, nel 1984 ha un attacco di peritonite e muore in ospedale.

Farina mi ha raccontato che la storia della sua morte nel libro è fantasiosa, romanzata, ma ha avuto in seguito l’occasione di conoscere una persona che ha vissuto l’evento. Giandante è rimasto esamine sul selciato del giardino del palazzo dove abitava ed è stato soccorso solo dopo parecchie ore. Pare che all’ospedale , mentre lo stavano portando in sala operatoria, abbia esortato il chirurgo a “fare un bel lavoro”, come del resto lui aveva sempre cercato di fare proprio con la sua vita oltre che con le sue opere.