Massimiliano Di Giorgio è giornalista della Reuters, sul cui sito ha pubblicato questa recensione “parallela”, che volentieri riprendiamo.
Due storie nere, entrambe ambientate nel Sud, in cui compaiono i tentacoli di una mafia tanto rispettabile quanto crudele e dove l’unica fragile speranza resta
affidata a una giovane donna. Sono quelle raccontate in due romanzi noir apparsi da poche settimane, uno italiano, l’altro francese – Vittima facile, di Luigi Bernardi (Zona) e La breve estate dei colchici di Serge Quadruppani (Gialli Mondadori) – che sembrano condividere uno stesso punto di vista, impietoso forse, nel raccontare il crimine.
Una storia criminale, si intitola il romanzo di Bernardi, 49 anni, bolognese, che di mestiere fa tante cose – il critico, il traduttore, l’editor, lo scrittore, il giornalista – e che ha una passione, appunto, per i fatti criminali. Sociologica, politica, letteraria certamente, ma non morbosa, da
“Cronaca vera”. E se è vero che più di una volta i giornalisti che scrivono di cronaca nera invadono e fanno proprio lo spazio della letteratura, Bernardi sembra il paladino di una narrativa essenziale, diretta, fredda (non a caso, Vittima facile è il primo titolo di una trilogia chiamata appunto Atlante freddo).
NON EROI MA EXECUTIVE
La storia è quella di un giovanissimo malvivente, Vincenzino, solo al mondo, abituato a vivere di espedienti, che non ha amici ma solo sottoposti, che aspira a entrare nel giro grande della criminalità in una città come Bari, attraverso un rapimento. Ma sbaglia tutto, perché sbaglia vittima – che non è niente affatto “facile” – e soprattutto perché non ha capito che la mafia, la ‘Ndrangheta nei cui ranghi aspira a entrare, non è più la Grande Famiglia, se mai lo è stata, ma una Grande azienda, che non vuole eroi, per quanto negativi, ma executive.
Più articolata la narrazione di Quadruppani, 50 anni, scrittore e traduttore, in particolare di Andrea Camilleri e in passato di Valerio Evangelisti, il titolo originale del cui romanzo riprende una popolare canzone “Colchiques dans le Prés”.
Il protagonista è Simon, un ex detenuto, uscito dalla galera dopo 17 anni per una rapina finita in tragedia, rapina che ha commesso coi suoi amici ventenni imbevuti di ideali rivoluzionari e anarchici (l’azione comincia nel 1975), da cui si sente, giustamente, tradito. E di cui vuole vendicarsi ricorrendo all’aiuto di un boss della mala del sud-est francese.
Una rivelazione scombinerà i suoi piani, e Simon andrà incontro al suo destino da sfigato – quello a cui voleva sfuggire a vent’anni – per mano di una banda di mafiosi. Ma lo stesso succederà ai suoi ex amici, tornati nei ranghi della rispettabile classe media seppur con le loro perversioni (“impudicizie”,
è il termine che ricorre più spesso) debitamente celate.
SIMILITUDINI
I punti in comune tra i due libri sono numerosi, a partire dalla scelta del presente per la narrazione, che dà al racconto il peso e la velocità di una cronaca. Due romanzi del sud, dicevamo, due mafie potenti e perbene, che non esitano però alla violenza totale quando i loro interessi sono in gioco, che intrattengono un rapporto diretto, in certi momenti sussidario con la politica e la polizia.
Protagonista, in entrambi i libri, un perdente che cerca il riscatto, sia pure criminale – e per quanto riguarda il Simon di Quadruppani, a un certo punto non esclusivamente – anche se intuiamo subito che non lo troverà. Due giovani sottoproletari (Vincenzino anagraficamente, Simon perché non ha sufficiente esperienza, nonostante la prigione) condannati dal loro destino. Ingenui, che non capiscono il mondo e che si scontrano con le logiche di appartenenza di classe, che pure si erano illusi di superare (Vincenzino con il coraggio criminale, Simon con la vocazione rivoluzionaria). E in entrambi i romanzi, la regola che sembra prevalere é quella è che i seguono le orme dei padri, se non per tradizione, per condanna.
Nero totale, il finale di entrambi. Se non fosse, però, che uno spiraglio di luce lo portano due giovani donne, due adolescenti, che non solo sopravvivono, ma che hanno imparato qualcosa dalla storia che hanno vissuto. Nausicaa, giovanissima “filosofa” anoressica, e Chiara, cresciuta in strada e con le
botte, ma più intelligente, capace di strategie, del suo fidanzato-capo. Entrambe non disarmate di fronte ai sentimenti, come succede ai loro uomini, entrambe capaci di ricominciare altrove.