Un’analisi “in situ” di quello che potrebbe portare al declino terminale dell’ultima superpotenza

di Alan D. Altieribomb_vietnam.gif

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Gli Stati Uniti d’America — ultima superpotenza democratica, gendarme del mondo libero – sono una nazione determinata a usare la guerra solo e solamente quale estrema risorsa per difendere le vite dei propri cittadini e l’integrità del proprio territorio.
Giusto?
Sbagliato.
In realtà, da lungo, lunghissimo tempo, la guerra (leggi: “continuazione della politica con altri mezzi”, von Clausewitz) È parte integrante della politica estera americana.

In questa direzione, anche la teoria e pratica della “guerra preventiva” – famoso e famigerato asse portante della “guerra al terrore”, tuttora fondamento propagandistico, economico e strategico dell’amministrazione Bush II – È parte integrante della politica estera americana attuale. Di conseguenza è parimenti parte integrante degli equilibri attuali (leggi: squilibri in crescita esponenziale) del consorzio mondiale. O qualsivoglia imitazione del medesimo.

Proposed federal Budget.jpgMolti storici datano l’inizio dell’uso politico della guerra, o della minaccia della guerra, da parte degli Stati Uniti alla data del 14 luglio, A.D. 1853. In quella fausta occasione, il Commodoro Matthew C. Perry minacciò di aprire il fuoco contro la città di Tokyo, capitale dell’Impero del Sol Levante, qualora l’Imperatore si fosse rifiutato di concedere il permesso di approdo e/o sbarco alla flotta degli Stati Uniti. L’Imperatore cedette e gli americani sbarcarono, barbari gai-jin con il loro sbracato atteggiamento da cow-boys del mare, il loro bieco tanfo corporeo occidentale e le loro superarmi che fanno bum. You got it, man: the ugly Americans are coming.

Quel fatidico evento del 1853 segnò la fine degli oltre due secoli e mezzo di ferreo isolamento nipponico dal mondo esterno, isolamento iniziato con la Battaglia di Sekigahara (ottobre 1600), il fondamentale scontro che concluse secoli di guerre feudali, consolidando il potere della monarchia imperiale che tuttora regge il Giappone. Se per il Giappone l’evento del 1853 significò una nuova apertura al mondo, per gli Stati Uniti significò la chiara apertura della celeberrima Gunboats Politics. Nota anche come: Politica delle Cannoniere.
In sostanza: Do what I say, sucker, and do it NOW. Otherwise I’m gonna blow your stinking brains out (fa’ quello che ti dico, scemo, e fallo ADESSO. O io ti faccio saltare le tue fetenti cervella). Non esattamente un manifesto di eccelse pubbliche relazioni, ma comunque una metodologia di una certa efficacia.

Ma non bisogna trascurare quanto potrebbe essere grosso il cannone della controparte. Difficilmente la Politica delle Cannoniere funzionerebbe oggi con la Russia attuale, o con la Cina attuale, o con l’India attuale, o anche con il Pakistan attuale. Perché i cannoni (leggi: testate nucleari) adesso le hanno anche loro.

Tornando al passato, la Politica delle Cannoniere finisce però con il trascurare inevitabili effetti collaterali, molti dei quali generalmente imprevedibili a lungo termine. Nel caso specifico dell’inaugurazione nipponica da parte del Commodoro Perry, la Politica delle Cannoniere finisce con il produrre svariati effetti collaterali quanto meno sgradevoli:
– il massiccio riarmo del Giappone per l’intera durata secolo successivo;
– il crescere del Giappone a primaria potenza egemonica asiatica. Potenza culminata con:
– l’attacco dal Giappone a Pearl Harbor, 6 dicembre 1941 (4.000 caduti militari americani);
– l’intero fronte del Pacifico della Seconda Guerra Mondiale (106.000 caduti americani, 1.700.000 caduti giapponesi);
quanto sopra risolto con la versione riveduta e corretta della Politica delle Cannoniere medesima:
– i bombardamenti nucleari americani su Hiroshima e Nagasaki, 6 & 9 agosto, 1945 (300.000 caduti civili giapponesi).
Quindi, Ammiraglio Perry, in retrospettiva, valeva proprio la pena di puntarli, i tuoi cannoni su Tokyo?
Look, man, let’s just not get so damn picky here, oKKKeY?

Un secolo e mezzo dopo quel teso luglio 1853 – e a dispetto di quanto paradossalmente anti-storico possa suonare – la Politica delle Cannoniere rimane ancora la ruota dentata primaria dell’uso politico della guerra da parte degli Stati Uniti.
Per inevitabili ragioni di compressione espositiva – e considerando che sull’argomento esistono molte centinaia di dotti testi di storia e di saggistica – lo scrivente si limiterà a esplorare in che termini la Politica delle Cannoniere è stata condotta degli Stati Uniti dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti.

In tempi recenti, la suddetta politica e’ stata a sua volta informata da due principi/dottrine ascrivibili a due importanti Presidenti.
1. Principio del Domino
Presidente in carica: Dwight D. Eisenhower
Anno di enunciazione: 1954.
In un’estesa intervista, il Presidente Eisenhower dichiara che: «il flagello del Comunismo [guidato da Unione Sovietica e Repubblica Popolare Cinese, N.d.A.] dilagherà fatalmente sul mondo libero. Tale dilagare sarà orchestrato da parte comunista prima destabilizzando e poi invadendo una democrazia dopo l’altra in una progressione simile al collasso delle tessere di un domino. Tale dilagante progressione va quindi combattuta in ogni luogo e con ogni mezzo.»

2. Dottrina della Pisciata
Presidente in carica: Lyndon B. Johnson
Anno di enunciazione: 1964 (circa)
Al giornalista che pone la seguente scomoda domanda: «Signor Presidente, per quale motivo gli Stati Uniti – che si suppone dovrebbero dare al mondo ogni esempio di pace, libertà, democrazia, diritti umani, etc. etc. etc. – sostengono e finanziano i più infami e sanguinari dittatori dell’America Latina, dell’Africa Sub-Sahariana e dell’Asia?», il Presidente Johnson risponde (quasi testualmente): «Noi lo sappiamo benissimo che quelli sono dei figli di puttana, ma il comunismo è e resterà una minaccia agli interessi americani. Quei figli di puttana sono pronti a vendersi al miglior offerente. Lei cosa preferirebbe: averli dentro la nostra tenda che pisciano fuori, o tenerli fuori la nostra tenda che pisciano dentro?”
Man, does THAT sound putrid, or what?

Per quanto ormai vecchi rispettivamente di cinquantaquattro e quarantaquattro anni, Principio del Domino e Dottrina della Pisciata rimangono ancora il fulcro dell’egemonia americana ottenuta attraverso la Politica delle Cannoniere.
Si può contro-argomentare la parzialità e faziosità della prospettiva di cui sopra. Si può infatti contro-argomentare che “tutte le nazioni con pretese egemoniche si comportano come gli Stati Uniti”, cioè minacciando, ingerendo, provocando, bombardando, attaccando, invadendo, assassinando, imprigionando, torturando, stuprando, etc. etc. etc.
Entrambi questi contro-argomenti hanno validità.
A tutti gli effetti, l’Unione Sovietica (almeno fino al collasso del 1991) ha una lunga storia di guerre, ingerenze, destabilizzazioni, invasioni, repressioni, etc. etc. etc. Lo stesso vale per la Francia nel continente africano, per la Cina nel quadrante centro-asiatico, per il Giappone nel settore estremo-asiatico, per l’India nel circuito Deccan/Bengala, per il Pakistan nei confronti del Medio Oriente, per il… Okay, pal, we got it.

Tornando quindi agli Stati Uniti, il problema non e’ il metodo. Il problema e’ la dimensione del metodo stesso.
In termini strettamente numerici e/o statistici, dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti, nessun’altra nazione al mondo è stata coinvolta così spesso in così tanti conflitti in così tanti luoghi lontani dai propri confini nazionali come gli Stati Uniti. La ragione? La più semplice, basilare e ancestrale:
Direttiva del Profitto
In sostanza, le guerre americane si combattono – e continuano a essere combattute – per la ricchezza iperbolica di pochi, pochissimi, costruita sul premeditato sterminio di molti, moltissimi.
Come on, dude, that sounds pretty damn deliberate!
Di nuovo in termini strettamente numerici e/o statistici:
– in nessun’altra nazione al mondo il “bilancio della difesa” (leggi: soldi spesi per gli armamenti dal contribuente) ha la dimensione pantagruelica che ha negli Stati Uniti d’America;
– in nessun’altra nazione al mondo l’interconnessione tra industria bellica e politica bellica è così stretta come per gli Stati Uniti d’America;
– in nessun’altra nazione al mondo, i weaponry special interest groups (leggi: fabbricanti di cannoni) esercitano verso la politica un potere e un’ingerenza così profonda come negli Stati Uniti d’America.
Lo stesso Presidente Einsehower – addirittura in controtendenza rispetto del suo Principio del Domino – denunciò questa perversa penetrazione, stigmatizzando come, all’indomani di un conflitto come la Seconda Guerra Mondiale, si sarebbe dovuto impedire che «troppi soldati americani venissero mandati a morire per riempire i portafogli di troppo pochi civili americani.» Appello, c’insegna la storia degli ultimi sessant’anni, caduto miseramente nel vuoto.
Il grafico seguente illustra l’andamento e la vastità del bilancio della difesa degli Stati Uniti dal 1946 a 2009:

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In generale, il bilancio della difesa degli Stati Uniti rimane pari a 2,5 volte il bilancio della difesa di tutte le altre nazioni del mondo COMBINATE.
Hey, what’s the big deal, anyway? It’s only money…

Ciò specificato, e seguendo il basilare trittico Domino/Pisciata/Profitto, lo scrivente si limiterà a citare alcune delle nazioni in cui – sia prima che dopo il collasso dell’Unione Sovietica – gli Stati Uniti sono e/o sono stati coinvolti sotto forma di azioni militari vere e proprie e/o forme di destabilizzazione politica e/o economica etc. etc. etc.
Nel novero di tali nazioni (ma non limitatamente alla lista seguente) possono essere citate:
Afghanistan, Albania, Arabia Saudita, Argentina, Bolivia, Cambogia, Cecoslovacchia, Cile, Colombia, Congo, Costa d’Avorio, Costa Rica, Dubai, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Equador, Eritrea, Estonia, Finlandia, Georgia, Germania Ovest, Guatemala, Filippine, Finlandia, Honduras, Indonesia, Iraq, Iran, Israele, Italia, Kazakhstan, Kenya, Kuwait, Laos, Lettonia, Libano, Lituania, Libia, Messico, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Panama, Paraguay, Polonia, Salvador, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Sierra Leone, Somalia, Sud Africa, Sudan, Tajikistan, Thailandia, Turchia, Turkmenistan, Uruguay, Vietnam (Sud & Nord), Yemen (Sud & Nord), Zimbawbe.

So what? We like touring the world, don’t you?
Lo scrivente lascia al lettore i vari ed eventuali approfondimenti del coinvolgimento diretto e/o indiretto degli Stati Uniti in ciascuna delle succitate nazioni.
È essenziale rilevare che – in caso di impegno bellico diretto – neppure la strategia degli Stati Uniti è mai cambiata dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti. Detta strategia può essere articolata nei seguenti punti fondamentali, non necessariamente in quest’ordine e non necessariamente attuati tutti:Lyndon_johnson.jpg
– in applicazione al Principio del Domino, invio di “consiglieri politici” (leggi: agenti della CIA) e di “consiglieri militari” (leggi: addestratori delle Forze Speciali) volto al contenimento della minaccia alla “struttura democratica”, o qualsivoglia imitazione della medesima, della nazione in oggetto;
– in applicazione alla Teoria della Pisciata, istituzione di un “nuovo governo” (leggi: governo fantoccio composto dalla peggiore feccia criminale della nazione medesima) che garantisca pace, libertà, democrazia, diritti umani, etc. etc. etc.;
– in una quantità di casi, il suddetto “nuovo governo” fallisce e la nazione sprofonda in una situazione di guerra civile. In questo scenario, gli Stati Uniti provvedono a fornire:
– in applicazione alla Dottrina del Profitto, ulteriore appoggio logistico e militare al “nuovo governo” (leggi: finanziamenti e armi per squadroni della morte, esecuzioni sommarie, sequestro, stupro, assassinio, etc. etc. etc.), tutto questo volto alla repressione della guerra civile medesima;
– in una quantità di casi, il suddetto appoggio parimenti fallisce e la guerra civile non solo continua ma si inasprisce. La prossima fase è quindi una:
– massiccia campagna di bombardamenti aerei e/o missilistici, sulla parte avversaria. Si inizia con l’annientamento di “obbiettivi militari”, volti alla distruzione della “struttura di comando & controllo” dell’avversario. Progressivamente, si procede poi all’annientamento di tutto il resto (leggi: escalation dei bombardamenti): ponti, strade, dighe, stazioni radio/TV, ospedali, città, etc. etc. etc.

fog_war.jpgÈ importante osservare che – rimanendo in materia di immutabilità di strategie – quanto sopra non è nulla di diverso da quello che gli Stati Uniti fecero alle città di Germania e Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale. Altamente chiarificatore su questo punto è il documentario/ intervista The Fog of War (La Nebbia della Guerra), diretto da Errol Morris focalizzato sulle esperienze di Robert McNamara, Segretario alla Difesa degli Stati Uniti all’epoca della Guerra del Vietnam [un estratto del documentario qui].

Dal momento però che “nessuna guerra viene mai vinta dall’aria” la fase successiva è:
– invasione e occupazione della nazione in oggetto, con tutti gli annessi e connessi del caso. La storia ci insegna che le occupazioni: a) non possono durare in eterno, b) si risolvono nei più osceni bagni di sangue. Invasioni e occupazioni da parte degli Stati Uniti – dal Sud-Vietnam all’Iraq – non sono mai sfuggite a questa logica.

Continuando quindi a seguire il trittico Domino/Pisciata/Profitto, le motivazioni primarie di tutti i coinvolgimenti e/o conflitti unitamente alla “difesa degli interessi degli Stati Uniti” (leggi: sterminio a scopo di rapina volto all’appropriazione di risorse e/o materie prime), lo scrivente ritiene inoltre opportuno elencare i principali impegni diretti bellici americani dalla Seconda Guerra Mondiale fino al settembre dell’A.D. 2001, data in cui ebbe luogo una ormai ben nota quanto brusca svolta storica.
In retrospettiva, l’esito di molti di questi conflitti e/od operazioni militari è ambiguo o incerto, i loro effetti a breve, medio e lungo termine sono tuttora oggetto di analisi e/o discussione, i contraccolpi sull’economia e sulla società americana coprono pressoché l’intero spettro delle reazioni umane, dal giubilo alla disperazione, dalla soddisfazione all’orrore.

Pertanto, tornando alle “guerre dell’America” in forma di schede, ya really gonna luv this! :

GUERRA DI COREA
Presidente US in carica: Harry S. Truman
Motivazione: Contenimento dell’egemonia comunista cinese e/o sovietica
Durata: 25 giugno 1950 — 27 luglio 1953
Nome codice: N/D – parte della Guerra Fredda
Esito: Vittoria mai riconosciuta da una parte o dall’altra.
Situazione attuale: regime comunista nord-coreano tuttora al potere, tregua armata, nessun trattato di pace, DMZ De-Militarized Zone (Zona De-Militarizzata) al 38° Parallelo
Perdite americane (militari): 35.000
Perdite americane (civili): 2.500
Feriti americani: 92.000
Dispersi americani: 16.000
Perdite sud-coreane (militari): 58.000
Perdite sud-coreane (civili): 1.200.000 (stima non-ufficiale)
Feriti sud-coreani: 175.000
Dispersi sud-coreani: 80.000
Perdite nord coreane (militari): 215.000
Perdite nord-coreane: (civili): 3.000.000 (stima non-ufficiale)
Feriti nord-coreani: 300.000
Dispersi nord-coreani: 120.000
Perdite altre nazioni (militari & civili): 1.600.000.
Commento: agli inizi della Guerra Fredda, la Guerra di Corea è il primo confronto diretto tra Stati Uniti e blocco comunista, con la Cina coinvolta in prima linea al prezzo di oltre trecentomila caduti.
Il Generale Douglas MacArthur, comandante in capo delle forze americane in Corea, preme per il bombardamento nucleare delle forze cinesi a nord del fiume Yalu. Viene immediatamente rimosso per ordine del Persidente Truman.

INVASIONE DELLA BAIA DEI PORCI (CUBA)
Presidente US in carica: John F. Kennedy
Motivazione: rovesciamento del regime comunista di Fidel Castro
Durata: 17/19 aprile 1961
Nome codice: N/D — Parte della Guerra Fredda
Esito: vittoria cubana
Situazione attuale: Regime cubano tuttora al potere, embargo commerciale contro Cuba americano tuttora in vigore
Perdite americane (militari & civili): sotto le 10 unità
Perdite cubane (militari & civili): 5.000
Commento: classica “stronzata” della CIA. Sulla base di informazioni incomplete e/o fasulle, si ritenne che l’opposizione interna al regime di Fidel Castro fosse molto più consistente di quanto non era in realtà.
Il disastro della Baia dei Porci (un nome una garanzia) rimane a tutt’oggi una delle macchie più infamanti dello spionaggio americano e della strategia bellica americana in generale.
Non è quindi un caso che il suo contraccolpo più diretto sia stato la crisi dei missili dell’ottobre di quel medesimo anno, che portò il mondo sul limite estremo dell’olocausto nucleare

GUERRA DEL VIETNAM
Presidente US in carica: John F. Kennedy, Lyndon B. Johnson, Richard M. Nixon
Motivazione: contenimento del comunismo nel Sud-Est Asiatico
Durata: 1956 — 30 aprile 1975 (caduta di Saigon)
Nome codice: N/D — Parte della Guerra Fredda
Esito: Vittoria del Nord-Vietnam
Situazione attuale: trattato di pace di Parigi, Vietnam unificato sotto il regime comunista
Perdite americane (militari): 58.000
Perdite americane (civili): 10.500
Feriti americani: 300.000
Dispersi americani: 2.400
Perdite altre nazioni (militari): 5.000
Perdite sud-vietnamite (militari): 250.000
Perdite sud-vietnamite (civili, incluse perdite laotiane e cambogiane): 1.740.000
Feriti sud-vietnamiti: 1.170.000
Dispersi sud-vietnamiti: N/D
Perdite nord vietnamite (militari): 560.000
Perdite nord-vietnamite (civili): 1.000.000
Feriti nord-vietnamiti: 600.000
Dispersi nord-vietnamiti: N/D
Commento: per definizione, la Guerra del Vietnam rimane LA “sporca guerra” dell’America”. È anche la guerra in cui “l’eroe americano” diviene il “cattivo”, il “mostro”.
E rimane (almeno per ora) anche la più grande sconfitta dell’America dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti.
Ben tre diversi presidenti, due democratici e uno repubblicano – Kennedy, Johnson, Nixon – tentano di gestirla, uno in modo più fallimentare dell’altro.
In diciannove anni di guerra sempre più feroce, sempre più insensata, ben 2 milioni di militari americani prestano servizio nel remoto stato asiatico. Sia il Nord che il Sud dello stato medesimo ne escono rasi al suolo, inquinati, dilaniati.
Nella Guerra del Vietnam ogni crimine è perpetrato, ogni atrocità è commessa, ogni disastro è compiuto. Per gli Stati Uniti è la discesa al fondo del baratro di ogni infamia.
Passati trentatre anni dalla fine del conflitto – e a dispetto di altre “vittorie” dell’America – si parla ancora di “Sindrome del Vietnam” e/o di “Spettro del Vietnam”.
Uno degli effetti primari dello “Spettro del Vietnam” sulla politica interna americana è che ogni singolo caduto americano in una qualsiasi guerra estera diventa automaticamente un’insopportabile incudine politica (elettorale) per l’amministrazione in carica.

GUERRA DELLO YOM-KIPPUR
Presidente US in carica: Richard M. Nixon
Motivazione: intimidazione strategica verso l’Unione Sovietica, progetto di controllo delle risorse petrolifere del Medio Oriente
Durata: 19 ottobre 1973
Evento cruciale: DEF-CON 1, Stato di Massima Allerta Steategica Nucleare
Situazione attuale: belligeranza nella regione continua
Commento: al culmine dello Scandalo Watergate, con il Presidente Richard M. Nixon ormai prossimo all’impeachment, le sorti della nuova guerra arabo-israeliana sono estremamente incerte.
Per quanto gli Stati Uniti non fossero direttamente coinvolti nelle operazioni belliche, il loro appoggio a Israele rimane (tuttora) indiscutibile.
Israele perde il 90% della sua aviazione nella Valle della Bekaa (Libano), e le forze dei paesi arabi (Egitto, Siria, Giordania) premono da tutti i fronti. La sorte stessa di Israele sembra segnata.
Alla data del 19 ottobre 1973, il Presidente Nixon da ordine di mettere l’intero sistema strategico nucleare americano in condizione di massima allerta: DEF-CON 1 (Defense Condition 1, livello massimo di 5).
Le spiegazioni ufficiali di una decisione di simile gravità rimangono a tutt’oggi fumose.
Si parlò di contrastare un possibile intervento diretto dell’Unione Sovietica nel conflitto arabo-israeliano, ovviamente dalla parte degli arabi.
Si ipotizzò che la mossa fosse in realtà un deterrente CONTRO Israele stesso, le cui armi nucleari stavano già venendo collocate sui bombardieri.
A margine della decisione di passare in DEF-CON 1, un documento di 22 pagine della Intelligence britannica cita un piano americano per prendere il militarmente controllo dei giacimenti petroliferi dell’Arabia Saudita e dell’Iraq.
Ciò, alla fine, non accadde. L’allerta strategica venne annullata. Ma per 48 ore il mondo fu sul baratro di un conflitto termonucleare totale.

GUERRA CIVILE DEL LIBANO
Presidente US in carica: Ronald W. Reagan
Motivazione: forza di interposizione tra Israele ed Hezbollah
Durata: 23 ottobre 1983
Nome codice: N/D – parte del conflitto medio-orientale
Esito: ritiro americano
Situazione attuale: belligeranza nella regione continua
Perdite americane (militari): 241 marines
Feriti americani: 60
Perdite francesi (militari): 58
Feriti francesi: 15
Perdite libanesi (attentatori suicidi): 2
Commento: La giornata più nera per il corpo dei Marines dalla battaglia di Iwo-Jima. 241 caduti in un attentato suicida eseguito con un camion carico di 5,4 tonnellate di alto esplosivo, gas metano come innesco.
Simultaneamente, un secondo attentato suicida di identica metodologia colpisce il distaccamento francese del 1 battaglione Paracadutato della Legione Straniera causando 58 morti.
È uno dei colpi più duri e spettacolari inferti dal terrorismo islamico a una forza militare occidentale.
Il Presidente Reagan – che stava cercando di servirsi del Libano come piattaforma di penetrazione diretta nell’infinito conflitto mediorientale – definisce l’attentato un «despicable act», atto riprovevole.
Due settimane dopo gli attentati, gli Stati Uniti abbandonano il Libano.

INVASIONE DELL’ISOLA DI GRENADA
Presidente US in carica: Ronald W. Reagan
Motivazione: espulsione dei cubani dopo un colpo di stato (cubano) e l’assassinio di Maurice Bishop, governatore della piccola isola caraibica
Durata: 25 ottobre/15 dicembre, 1983
Nome codice: Operazione Urgent Fury (Furia Urgente)
Esito: vittoria americana
Situazione attuale: Isola di Grenada sotto controllo americano
Perdite americane (militari): 19
Feriti americani (militari): 116
Dispersi americani: 0 (zero)
Perdite altre nazioni (militari & civili): 69
Perdite cubane (militari & civili): 24
Feriti cubani (militari & civili): 59
Commento: Non e’ un caso che Urgent Fury abbia luogo in contemporanea al ritiro americano del Libano (vedi sopra).
E certamente non e’ un caso che – a confronto delle infime dimensioni dell’operazione stessa – la sua risonanza propagandistica sia enorme.
L’idea di Mr. Reagan è infatti: a) ridare fiducia al cittadino americano riguardo alle sue forze armate; b) tentare di esorcizzare lo “Spettro del Vietnam”.
Per certi versi, l’intento riesce. Dopo Urgent Fury, l’interventismo americano è in continua ascesa.

ATTACCO AEREO CONTRO LA LIBIA
Presidente US in carica: Ronald W. Reagan
Motivazione: risposta contro un attentato terroristico a Berlino avvenuto in data 5 aprile 1986
Durata: 15 aprile 1986
Nome codice: Operazione El Dorado Canyon
Esito: tutti gli obbiettivi in Libia colpiti & distrutti
Situazione attuale: calma apparente
Perdite americane (militari & civili): 0 (zero)
Perdite libiche (militari & civili): 31
Feriti libici (militari & civili): 226
Commento: per quanto di trascurabile entità dal punto di vista militare, anche El Dorado Canyon ha una sua importante valenza politica.
È infatti la prima risposta “bellica” di una nazione occidentale a un atto terroristico perpetrato da una nazione “islamica”.
Negli anni a seguire, El Dorado Canyon comporta tutta una serie di strascichi nelle corti di giustizia internazionali, in cui la Libia cerca (senza risultato) di ottenere risarcimenti dagli Stati Uniti.
Per converso, El Dorado Canyon ferma in alcun modo il terrorismo islamico.
Nell’estate del 1988, il volo PanAM 108 viene distrutto in volo nel cielo di Lockerbie, Scozia, a opera di un attentato sponsorizzato appunto dalla Libia, e per il quale (a distanza di molti altri anni) sarà la Libia a risarcire.
Solo un nuovo episodio verso ben altre stragi.

INVASIONE DI PANAMA
Presidente US in carica: George H.W. Bush (Bush I)
Motivazione: Rimozione di Manuel Noriega, presidente golpista di Panama, ex-agente CIA, noto gangster internazionale
Durata: 20 dicembre 1989 / 31 gennaio 1990
Nome codice: Operazione Just Cause (Giusta Causa)
Esito: vittoria americana
Situazione attuale: governo legittimo tuttora al potere a Panama
Perdite americane (militari): 100/1.000 (dato non ufficiale)
Feriti americani (militari): N/D
Perdite panamensi (militari): 24
Feriti panamensi (militari): 325
Perdite panamensi (civili): 300/4.000 (dato non ufficiale)
Commento: Guillermo Endara Noriega è un classico prodotto della Teoria della Pisciata, vale a dire un corvo che finisce con il mangiare gli occhi di chi lo ha nutrito.
Agente della CIA contro i sandinisti del Salvador, agente della DEA (Drug Enforcement Agency) contro (pro?) i trafficanti di droga colombiani, Noriega decide di mantenere il potere con la forza dopo la sconfitta elettorale del 1989.
Mr. Bush I definisce quattro ragioni per l’invasione:1) proteggere le vite dei cittadini US a Panama; 2) restaurare democrazia & diritti umani; 3) combattere il traffico di droga; 4) mantenere l’integrità del Trattato Torrijos-Carter sulla neutralità del Canale. Al lettore eventuali valutazioni di quanto sopra.
Non tutto è rose fiori, né durante l’invasione, né tantomeno dopo: Panama City diventa teatro di assassinii proditori e saccheggi indiscriminati; la crisi economica panamense dura fino a tutto il 1993; si verificano contraccolpi negativi nelle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e svariati paesi latino-americani.
Manuel Noriega sta tuttora scontando svariati ergastoli in un carcere di massima sicurezza degli Stati Uniti.

GUERRA DEL GOLFO (PRIMA GUERRA DELL’IRAQ)
Presidente in carica: George H.W. Bush
Motivazione: liberazione del Kuwait invaso dall’Iraq, difesa dei giacimenti petroliferi dell’Arabia Saudita
Durata: 2 agosto 1990 / 28 febbraio 1991
Nome codice: Desert Shield (Scudo del deserto), Desert Storm (Tempesta del deserto)
Esito: vittoria della coalizione ONU guidata dagli Stati Uniti
Situazione attuale: invasione US dell’Iraq dopo Seconda Guerra dell’Iraq
Perdite americane (militari): 358
Perdite americane (civili): N/D
Dispersi/prigionieri americani: 41
Feriti americani (in azione): 776
Feriti americani (dopoguerra): 90.000
Perdite altre nazioni (militari): N/D
Perdite irachene (militari & civili): 200.000 (dato non-ufficiale)
Feriti iracheni: 75.000
Dispersi/prigionieri iracheni: 80.000
Commento: questo conflitto rappresenta il trionfo assoluto della diplomazia bellica americana e della tecnologia bellica americana.
Con l’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein – che gli Stati Uniti avevano ampiamente rifornito di ogni tipo di armi durante la guerra Iraq/Iran (1980, 1 milione di caduti) – gli Stati Uniti stessi si ritrovano a confronto con un ennesimo prodotto tossico della Teoria della Pisciata.
Mr. Bush I – ex-direttore della CIA, vice-Presidente di Mr. Reagan – riesce a coinvolgere l’ONU contro l’Iraq e ad allestire una coalizione di decine di nazioni (ItaGLia inclusa) volta alla “liberazione del Kuwait”.
Le cifre di cui sopra danno un’idea di che cosa sia stata, militarmente parlando, la “Guerra del Golfo”.
Citando solo un dato addizionale, la campagna di bombardamenti che precede le operazioni militari terrestri – strategic softening (ammorbidimento strategico) – dura 55 giorni, con un scarico sul territorio iracheno pari al doppio del tonnellaggio esplosivo dell’intera Seconda Guerra Mondiale.
Da un punto di vista propagandistico, alla fine della Guerra del Golfo, gli Stati Uniti hanno lavato (per un po’) la “Sindrome del Vietnam”, ristabilendo (per un po’) il mito della invincibilità americana basata sull’alta tecnologia militare.
Per contro – da un lato a causa dell’inquinamento da idrocarburi alifatici proveniente dai roghi di centinaia di pozzi di petrolio, all’altro lato per effetto delle emanazioni radioattive dai famigerati “proiettili all’uranio impoverito” – ben 90.000 reduci americani soffriranno di un insieme di orride patologie chiamate “Sindrome del Golfo”.
La Prima Guerra del Golfo è anche l’ultima guerra americana “dalla parte dei buoni e dei giusti”. Ciò che verrà dopo, porterà solo e solamente il marchio dell’infamia.

CONTROLLO DEI CIELI DEL MEDIO ORIENTE POST GUERRA DEL GOLFO
Presidente in carica: George H.W. Bush (Bush I), William J. Clinton, George W. Bush (Bush II)
Motivazione dell’intervento: Contenimento di Saddam Hussein post-Prima Guerra dell’Iraq
Durata: dicembre 1990/settembre 2003
Nome codice: Provide Comfort/Southern Focus/Northern Watch/Southern Watch (Provvedere all’Aiuto, Focale Sud, Guardia Nord, Guardia Sud)
Esito: continuo controllo dei cieli da parte di US, GB, FRA
Situazione attuale: invasione US dell’Iraq dopo la Seconda Guerra dell’Iraq
Perdite americane (militari & civili): 0 (zero)
Perdite irachene (militari & civili): 800.000 – 1.200.000 (dati non ufficiali)
Commento: Per tre diverse amministrazioni (due repubblicane e una democratica, due mandati di quest’ultima) e per tredici anni (1990/2003) dalla fine di Desert Storm al settembre 2003 (inizio Seconda Guerra dell’Iraq), gli Stati Uniti mantengono il controllo assoluto dei cieli iracheni.
Qualsiasi velivolo iracheno (aereo e/o elicottero) violi le zone di interdizione a sud e a nord del paese viene abbattuto. Sono condotti anche svariati attacchi aerei contro installazioni militari irachene al suolo.
Il dibattito sulla legalità internazionale o meno di queste zone di interdizione aerea continua a tutt’oggi, per quanto ormai tramutato dalla Seconda Guerra dell’Iraq in una ridicola, grottesca disquisizione accademica.
Le zone d’interdizione aerea vanno di pari passo con il duro embargo imposto all’Iraq post-Desert Storm. Embargo comunque ampiamente e illegalmente violato da Saddam Hussein nell’acquisizione di armi convenzionali.
ONG di svariate nazioni, incluse ONG degli Stati Uniti, stimano che le zone d’interdizione aerea associate all’embargo di cibo e medicinali siano costate al popolo iracheno tra 800.000 e 1,2 milioni di decessi per malattia, denutrizione, inedia, etc. etc. etc.
A una domanda se un simile “disastro umanitario” fosse eticamente accettabile per gli Stati Uniti, l’allora Segretario di Stato Madeline Albright risponde senza esitazione: «indubbiamente accettabile nel nome del contenimento di un dittatore sanguinario quale Saddam Hussein.»

BATTAGLIA DI MOGADISHU / GUERRA DI SOMALIA
Presidente in carica: William J. Clinton
Motivazione dell’intervento: ripristino della demoKrazia e dei diritti umani nella Somalia dei signori della guerra
Durata: 3-4 ottobre 1993
Nome codice: Operazione Restore Hope (Ritrovata Speranza)
Esito: ritiro degli Stati Uniti
Situazione attuale: guerra civile somala + guerra Somalia/Eritrea tuttora in corso
Perdite americane (militari & civili): 18
Feriti americani (militari & civili): 73
Perdite altre nazioni (militari & civili): 1
Feriti altre nazioni (militari & civili): 9
Perdite somale (militari & civili): 1.500/2.000 (dato US), 4.000 (dato non ufficiale)
Feriti somali (militari & civili): 3.000/4.000 (dato US); 15.000/20.000 (dato non ufficiale)
Commento: con il coinvolgimento americano (sotto egida ONU) in Somalia, la guerra (in senso lato) passa tra tragedia a tragedia grottesca. L’intervento americano inaugura infatti il turpe ossimoro di “guerra umanitaria”.
Deciso a riproporre una ridicola immagine “buonista” degli Stati Uniti dopo l’ecatombe della Prima Guerra dell’Iraq, Mr. Clinton organizza uno sbarco a Mogadishu che si tramuta in un’orgia di propaganda.
La Battaglia di Mogadishu del 3 e 4 ottobre è l’esito disastroso del tentativo (fallito) da parte americana di catturare il più importante dei signori della guerra somali, tale Mohamed Farrah Aidid.
Tutto quello che c’è sapere su questo evento è ampiamente e dettagliatamente illustrato nel libro Black Hawk Down, di Mark Bowden, e nell’omonimo film (già citato in un precedente articolo) diretto da Ridley Scott.
I dati numerici di cui sopra definiscono l’estremo umanitarismo del coinvolgimento americano in Somalia.
Due settimane dopo la Battaglia di Magadishu, i trentamila uomini del contingente americano vengono ritirati. La CNN non era là a riprenderli.

BOMBARDAMENTO MISSILISTICO DI SUDAN & AFGHANISTAN
Presidente in carica: William J. Clinton
Motivazione dell’intervento: Risposta agli attentati terroristici contro le ambasciate US a Nairobi, Kenia, e Dar-el-Salaam, Tanzania
Durata: 20 agosto 1998
Nome codice: Operazione Infinite Reach (Distanza Infinita)
Esito: tuttora controverso
Situazione attuale: regime sudanese tuttora al potere, regime afghano dei taliban abbattuto dalla guerra contro l’Afghanistan iniziata nel novembre 2001
Perdite americane (militari & civili, attentati): 12
Feriti americani (militari & civili, attentati): N/D
Perdite altre nazioni (militari & civili, attentati): 212
Feriti altre nazioni (militari & civili, attentati): 5.000
Perdite americane (militari & civili, bombardamento US): 0 (zero)
Perdite altre nazioni (militari & civili, bombardamento US): 35 (dato ufficiale), svariate migliaia (dato non ufficiale):
Commento: classico tiro al bersaglio a lungo raggio e nessun coinvolgimento sul campo tipico dell’era clintoniana.
Dopo la indecente, patetica esperienza di Mogadishu, Mr. Clinton diviene in qualche modo ossessionato dall’idea insensata e contradditoria di “no casualty war” (guerra senza caduti, americani è ovvio).
Infinite Reach è però anche un nuovo passo di quella che ormai è la “Guerra al Terrore Globale”, suggellata dal (primo) attentato al World Trade Center del dicembre 1993 e sancita dai due attentati di Nairobi e Dar-el-Salaam del luglio 1998.
Obbiettivi di Infinite Reach sono “strutture di fabbricazione di armi chimiche” in Sudan e “campi di addestramento di terroristi” in Afghanistan. Svariate coordinate in entrambe le “nazioni” sono colpite da circa 75 missili da crociera lanciati da navi e sottomarini americani.
Il governo di Khartoum mostra distruzioni che dichiara appartenere a una fabbrica di medicinali. I taliban di Kabul accusano a loro volta gli Stati Uniti di terrorismo.
All’indomani dei bombardamenti, le polemiche si sprecano. Lo stesso congresso americano non è tenero con l’amministrazione, valutando l’operazione troppo limitata e del tutto “inefficace”. L’eufemismo del secolo.

GUERRA DEL KOSOVO
Presidente in carica: William J. Clinton / George W. Bush (Bush II)
Motivazione dell’intervento: fine della polizia etnica serba ai danni della minoranza (musulmana) del Kosovo
Durata: 1996/11 giugno 1999
Nome codice: N/D parte della guerre slave, egida NATO
Esito: vittoria US/NATO
Situazione attuale: instabilità balcanica continua, presenza NATO nell’aera continua
Perdite americane/NATO (militari & civili): 2
Dispersi e/o feriti americani: 0 (zero)
Perdite serbe (militari): 576
Perdite serbe & kosovare (civili, pulizia etnica incrociata): 7.500 / 14.700 (dati non ufficiali)
Commento: di nuovo dietro il paravento della “guerra umanitaria”, sotto egida NATO (legalità dell’intervento tuttora in discussione), gli Stati Uniti continuano l’ancestrale politica dell’accerchiamento della Russia.
Una politica che conduce a un passo dal confronto diretto dei due eserciti quando le forze russe – in un imprevedibile colpo di mano – invadono l’aeroporto di Pristina nel giugno del 1999.
L’aviazione NATO – di cui fa parte anche l’aviazione itaGLiana, governo del compagnomassimodalema – compie 38.000 missioni di bombardamento sulla Serbia e sulla capitale Belgrado, sul Kosovo e sulla capitale Pristina, usando come basi aeree di partenza le basi in tutta ItaGLia.
La Guerra del Kosovo non ha risolto in alcun modo le tensioni etniche nella regione. Se possibile, le ha amplificate. Il Kosovo, maggioranza musulmana, ha di recente dichiarato unilateralmente la propria indipendenza. Il Kosovo resta anche la piu’ consistente piattaforma criminale dei Balcani.
La Guerra del Kosovo segna il tramonto delle “guerre umanitarie”. Oltre la Guerra del Kosovo la guerra ritorna quello che e’ sempre stata: sterminio di massa a scopo di rapina.

Deve essere sottolineato che le schede di cui sopra NON sono comprensive di TUTTI gli interventi e/o coinvolgimenti delle forze armate degli Stati Uniti dalla Seconda Guerra in avanti. Deve anche essere precisato che
NESSUNO DEGLI INTERVENTI DIRETTI DELLE FORZE ARMATE DEGLI STATI UNITI E’ MAI STATO PRECEDUTO DA UNA DICHIARAZIONE DI GUERRA
In realtà, nessuna delle oltre duecentocinquanta guerre scoppiate a tutte le latitudini del Pianeta Terra dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in avanti — né nessuna delle oltre ottanta guerre tuttora in corso sul Pianeta Terra — è MAI stata dichiarata.
Si tratta di un problema squisitamente costituzionale.
Una nazione che “dichiara guerra” a un’altra nazione, DEVE commutare tutti i propri codici da quelli di pace a quelli di guerra. Un codice di guerra è una versione appena leggermente edulcorata di una legge marziale. Vale a dire: arresti indiscriminati, detenzioni di massa sine-die, interrogatori sottoposti all’unica pastoia chiamata Convenzione di Ginevra, Hey, man, that’s a REAL laugh! , campi di internamento, etc. etc. etc.
Al di là di tutti i problemi politici, costituzionali, umanitari, strategici, economici, etc. etc. etc. esposti nelle schede di cui sopra gli equilibri (leggi: squilibri) degli Stati Uniti e del mondo sono stati definitivamente alterati da un già citato evento ormai universalmente noto come 9/11.

Questo evento e le sue conseguenze saranno oggetto dell’ultimo articolo di questa serie. Di nuovo ringrazio il lettore per la pazienza nell’avere voluto seguirmi fino a questo punto.