di Enzo Fileno Carabba
[Illustrazione di Liza Schiavi – cliccare per ingrandire]
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16. La lotta col demone
Se ripenso al maniaco che mi attese alla base della scalinata, giovedì alle 12, solo soletto, mi si stringe il cuore. Come vittima sono stato insensibile.
Ma mi pongo anche un interrogativo: perché dialogavo così tanto coi maniaci? Il motivo è che cercavo di dare ascolto a tutti. E lo facevo per contrastare la mia riottosa natura, che andava in direzione contraria.
Terminata l’infanzia, la maggior parte delle persone mi apparvero stupide o terribili. Ma non stupide in modo normale, no: stupide in modo prodigioso, soprannaturale. Tanto che mi dicevo: ma esistono scuole apposta per diventare così? Oppure fingono? Parlano in base a un codice segreto che li accomuna e da cui sono escluso e di cui in ogni cosa non mi frega nulla?
Questo mi accadeva quasi sempre quando stavo in mezzo a folti gruppi di persone che dicevano convinte la loro, e quasi mai quando ero a tu per tu con un singolo.
Il maniaco ha dalla sua il fatto che abitualmente si presenta solo, e forse per tale motivo la persona introversa riesce a dialogare con questa particolare categoria, almeno fino al momento atletico: quello di darsela a gambe.
Anche negli anni successivi, dopo il definitivo tramonto dei maniaci molestatori nella mia vita, ho sempre mantenuto una certa capacità di dialogo — e vorrei dire di attrazione — nei confronti degli squilibrati. Per dire: continuo a preferire una persona che mi si presenti dicendo “Piacere, sono un maniaco schizofrenico” , come mi è successo veramente l’altro giorno, rispetto a un’altra che esordisca dicendo “Ciaoo!! Benvenuto alla festa danzante!” (per quanto possa sembrare orribile, mi è successo anche questo).
Comunque, mi rendevo conto che non potevano essere tutti idioti come pareva a me. Non potevo disinteressarmi di loro. Mio nonno ripeteva sempre il motto: “Me ne importa!” che è il contrario del “Me ne frego!” fascista. E allora cercavo di applicarlo, di interessarmi agli altri, con scrupolo, con gentilezza ma anche con sottile repulsione.
Mio nonno diceva che il male trova la punizione in se stesso.
Mia nonna obiettava: Erano altri tempi. Oppure: è un altro paio di maniche, frasi abbastanza misteriose, dette solo per contrastare mio nonno.
Io dò ragione al nonno: in effetti penso che il disagio che provavo nei confronti di molti esseri umani fosse già un castigo.
Però non era colpa mia. Era colpa del demone. Un’entità che alla fine dell’infanzia era penetrata nella mia testa e mi faceva notare di continuo che erano tutti idioti o terribili.
Sarebbe sbagliato confondere questo demone con la vocina delle premonizioni di cui ho parlato precedentemente. Il demone era talmente potente che irrideva lo shining. Non guardava mai nel futuro. Era convinto di captare le più piccole sfumature nel comportamento delle persone e questo gli bastava.
Vi so moderatamente svegli (me lo ha detto il demone): per cui ci tengo a chiarire che né il demone né lo shining erano la mia anima. Si tratta di tre cose diverse, anche se non posso escludere che abbiano avuto dei contatti.
Non ho mai capito bene perché la gente si interessa tanto al momento in cui l’anima esce dal corpo e così a poco a quello in cui entra dal corpo: perché se esce dovrà pure entrare, mi pare.
Sono convinto che dentro di me ci sia una traccia di quando l’anima prese possesso del mio corpo. E’ una cosa a metà tra un sogno e un ricordo. Visto che quanto sto scrivendo è il tentativo di rintracciare gli elementi fondanti di una personalità, la mia, voglio riferirlo. Nel sogno-ricordo mi trovo in uno spazio chiuso: una stanza, diciamo. E attorno a me ci sono delle figure umane che non distinguo. Solo che tutto — stanza, persone — è come congelato. E muto: non si sentono suoni. Poi all’improvviso c’è una crepa in questo congelamento, proprio una crepa visibile che attraversa la stanza. A quel punto tutto “si scioglie”, le persone cominciano a muoversi e sento le voci.
Penso che questo sia il ricordo di quando il tempo per me ha cominciato a scorrere. Non è che prima l’anima non vedesse le cose, solo che le vedeva ferme, dal punto di vista di un tempo fermo. Oppure è il corpo senza l’anima che vede le cose ferme, non saprei. Di sicuro, entrando nel corpo, realizzata questa fusione, ecco che il tempo ha cominciato a fluire.
Lo so che trovate difficoltà a seguirmi, me l’ha detto il demone, preferite qualche bella storia di sangue e passione. Eppure anche questa è una storia di sangue e passione. Non si parla spesso del tempo come di un fiume? Vedevo il fiume congelato, il tempo congelato. Può anche darsi che sia il tempo dell’eternità, ma non voglio spararla grossa e spingermi a dire cose che non so. Mi limito a dire — perché questo lo so — che è il tempo di quando l’anima sta per entrare nel corpo. Di quando sta entrando. Di quando è sul bordo, diciamo. Come quando uno sta per fare il bagno e mette un piede in mare per sentire com’è l’acqua.
Ancora oggi, ogni tanto, faccio sogni di scongelamento. Sogni in cui le cose sono ferme e mute, poi sono attraversate da una crepa e si animano. Di sicuro feci un sogno così anche alla fine dell’infanzia, quando debellai i miei incubi ricorrenti. Sognai il solito scenario di un mio incubo ricorrente, solo che era congelato. Gli tiravo un pugno, allo scenario (per la prima volta avevo la forza di farlo, nelle puntate precedenti mi mancava il respiro) e quello si sgretolava, andava proprio in mille pezzi, come fosse di vetro friabile, e le cose si ricomponevano in un ordine diverso, per niente spaventoso.
Fui molto fiero perché avevo capito che il pugno andava tirato non ai mostri ma allo scenario.
Invece non ricordo bene quando entrò in me il demone. Probabilmente fu quando cercavo goffamente di guardare le stelle col telescopio, mi piovve dentro da qualche altra galassia. Oppure fu per colpa di tutte quelle ore passate al microscopio, poteva ben trattarsi di un demone assai minuto.
Però bisogna dare al demone quel che è demone. E’ vero che mi ha procurato tante sofferenze, ma al tempo stesso donava forza alla mia mente. Deve essere per questo che – pur avendogli dato una bella calmata – non sono mai riuscito a scrollarmelo del tutto di dosso, tuttora me lo sento appollaiato sulla spalla. Per esempio, l’altro giorno c’è stata una grossa manifestazione a favore delle donne. Nobile causa. Una manifestante ha scritto: Un uomo morto non stupra.
Ecco che subito subito mi viene in mente che è inesatto. Potremmo prendere un cadavere congelato e, messo l’attrezzo in posizione, stuprare l’autrice dell’aforisma con quello. Così, per vedere la faccia che fa.
Io sono una persona delicata: chi, se non il demone, può avermi suggerito una cosa simile?
I momenti più bui della mia vita sono stati quando ho annichilito il demone. Per esempio il periodo peggiore dal punto di vista professionale è stato quando ho lavorato per la Disney, non so se l’ho già detto. Un’esperienza che auguro al mio peggior nemico.
C’era una editor che nel lavoro metteva tutta se stessa. Cosa che si rivelò pericolosa. Io però avendo di deciso di annichilire il demone la ascoltavo sempre.
C’era un altro che scriveva storie per la Disney con me, eravamo soci, e lì ho imparato che scrivere storie, apparentemente la stessa cosa per tutti, può consistere in realtà di esperienze diametralmente opposte. Ma io ero lì che porgevo di continuo l’altro orecchio, per così dire, atteggiamento che si è rivelato paralizzante.
La editor mi ripeteva cose del tipo:
Questo capitolo che stai scrivendo invano da una settimana Carlo Lucarelli lo butterebbe giù in mezza giornata. LUI si chiuderebbe in casa e lo scriverebbe come nulla.
Voglio precisare che non era Lucarelli quello che mi era stato assegnato come socio in questo lavoro per la Disney.
E sempre per essere preciso la editor non diceva mai “Carlo Lucarelli”. Diceva sempre “Carlo”. Tanto che i primi tempi non riuscivo a capire chi fosse questo Carlo. Poteva anche essere Carlo Magno, Carlo Marx, chiunque. Notai poi che era una sua abitudine generale quella di usare i nomi propri di personaggi famosi e aggiungere: un amico. Tipo: Benedetto XVI, un amico (questo in verità non lo disse, è solo un esempio, anche perché il Papa all’epoca era un altro). La virgola tra il nome e la definizione di amico, quella piccola pausa sospesa, riusciva a esprimerla molto bene e a caricarla di significato detonante. Non era una pausa, era una miccia.
Risultò che era piena di amici.
Comunque, questa cosa di Carlo Unamico che si chiude in casa giunse a ossessionarmi. Ormai lo odiavo. Non quello vero, che invece apprezzo, ma quell’altro. Quello che secondo la editor si chiude in casa e fa qualsiasi cosa senza problemi. Ridendo satanicamente, presumo.
Non so come, ma giuro solennemente che una volta con la editor parlammo al telefono di una ricetta di cucina (probabilmente ero tappato in casa pure io, cercando di eseguire ordini insensati e al tempo stesso banali) e lei mi assicurò che Carlo Unamico l’avrebbe realizzata senza problemi. Perfino la ricetta. Chiudendosi in casa, va da sé. Perché, a occhio, fuori di casa Carlo Unamico perdeva – per fortuna – parte dei suoi poteri prodigiosi. Se mai incontrerò Carlo Lucarelli (un amico!), cosa che mi auguro, spero che l’incontro avvenga rigorosamente fuori casa. Magari a metà di un ponte, come le spie.
Comunque. La prima fase del lavoro con la Disney consisteva nel proporre scalette. Una volta ho proposto una scaletta che iniziava così: ci sono dei ragazzini che si perdono nel bosco o in un parco cittadino, non ricordo, inseguendo animali magici.
Mi chiama questa editor, una persona così iperattiva che alla fine combinava pochissimo. Con tutti quegli amici!
Parlò con un tono di voce grave, quasi a lutto.
Non capivo. Che la scaletta non le piacesse era un suo diritto, ma non mi sembrava una catastrofe.
Alla fine mi spiegò la gravità della cosa con una formula chiarificatrice:
Ragazzini che si perdono inseguendo animali magici = storia pedofila.
Ero fuori di me. Citai il pifferaio magico e un sacco di altre storie classiche.
Appena pronunciata la parola “pifferaio” capii il mio errore: dove c’è un pifferaio c’è il piffero.
Lei ribattè che il pifferaio magico era stato notoriamente scritto da un pedofilo, come anche Cappuccetto rosso. Disse — lo giuro — che la maggior parte delle storie per bambini del passato erano state scritte da pedofili.
Successivamente ho appurato che non è per niente vero che il Pifferaio magico è stato scritto da un pedofilo. Ma sul momento non dissi nulla.
Ero troppo impegnato a tenere a bada il demone.
Inoltre mi dicevo: forse nella mia giovinezza mi sono troppo spesso confrontato dialetticamente con i maniaci (molto più delicati della editor, in ogni caso) e ho perso il senso della misura.
E poi lei sembrava così sicura di sé che una parte di me fu assalita dal dubbio che avesse ragione.
Il demone però è coriaceo e non si lasciava ingannare. Ripeteva:
Stai zitta scema.
Io lo tenni imbrigliato, non lo lasciai parlare.
Lo faccio ora.
…
E anche…
Devo riconoscere che il demone è capace di darmi grosse soddisfazioni.