di Wolf Bukowski
Daniela Ranieri, Mille esempi di cani smarriti, Ponte alle Grazie, Milano 2015, 540 pagine, € 19,50
1831. Il cadavere è ancora caldo e già i discepoli si dividono. A destra del feretro si proclama che il Maestro ha posto la Trinità a fondamento del suo sistema filosofico, e che questo legittima lo Stato assoluto prussiano: amen. Quelli che siedono a sinistra, sguardi accesi e aria di sfida, scomposti sulle sedie e più rumorosi del dovuto, rispondono: no, nella trinità egli aveva visto la prefigurazione della dialettica tripartita, altro che assolutismo! È la dialettica a mandare avanti la storia, non i chiodi della croce! Sono, questi discoli, i giovani hegeliani. Giovani perché di sinistra, e di sinistra perché giovani: come al tempo del beat. Dio è coi vecchi; Marx, quello vero in carne, ossa e barba, qualche anno dopo sarà coi giovani.
Oppure: rewind. 1831: il cadavere di Hegel è caldo come appena sfornato dall’ultimo giorno di vita, o almeno tiepidino. Tento un esperimento e accosto al letto di morte un personaggio (contemporaneissimo) da Mille esempi di cani smarriti di Daniela Ranieri (Ponte alle Grazie, 2015), Erasmo Costamagna:
“cinquantasei anni, portati bene […] una pancia grossa e soda che nasconde con camicie di lino beige o cannella lasciate fuori dai pantaloni, che porta senza cinta. Nella comunità scientifica Erasmo è conosciuto come «il Genio», nomignolo che lui non sa essere antifrastico […]. Da quando è entrato in politica, poi, negli attici del centro e sui terrazzi di Roma nord la sera fanno a gara per aggiudicarselo alle cenette più esclusive.”
Che c’entra Costamagna con l’eccellente salma? Beh, l’ultima passione dell’onorevole scienziato, la linea del fronte dove intercetta seicentomila all’anno, tra iscritti al corso e finanziamenti della Regione, si trova lungo la via della tanatoprassi. Che non è solo cosmesi del cadavere:
«A parte [i] vantaggi diciamo anche civili, igienici. Ma poi, oh, io parlo da medico, c’è una possibilità, teorica, per carità, ma pur sempre possibilità, che tra una cinquantina d’anni si trovi il modo di far tornare in vita i morti». […]
«E… come funziona?» Teresa intende, principalmente: «quanto costa?»
«È semplicissimo. Tu svuoti il corpo di tutti i suoi liquidi, e poi…» […]
«Orribile […] ma scusa… quindi fate come gli egizi, in pratica?»
«Sì, esatto, brava!»
Luciana ha a cuore la questione del corpo: «Il problema è quando uno arriva alla morte in stato di deperimento. Consumato dalla nicotina, devastato dal cancro».
«Giusto» spiega serio il dottore, il vestito Caraceni leggermente sgualcito nella furia divulgativa. «L’ideale sarebbe morire sani». Sorridono abbastanza tutti. […]
«Ma non tanto per rinascere» fa Luciana. «Spiega bene, Ery! C’è tutta una filosofia… C’entra il comunismo, anche. L’ecologia… Forse qualcuno tipo Antimo non sarebbe propriamente di quelli che potrebbero rinascere. Ha un karma tale. Ma ricordo a tutti che sono stati fatti fior di esperimenti, scientifici, che dimostrano come l’anima esiste […]».
«Ma c’entra qualcosa con la crio…?»
«Ah, ah», ride il medico, «no… quella è roba da russi ricchi. Qui si parla di una Rivoluzione totale, una palin… palege-». Se, vabbe’.
«Ma famme capì». È Antimo. «Se metti io faccio questa cosa, muoio sano, mi preservo, tutto bello, poi mi faccio svuotare e ri-riempire, non ho capito di cosa, da te, no?, poi quando mi dovessi risvegliare, un domani, ma chi me se accolla?»
Nei Mille esempi c’è la gauche caviar romana nel suo habitat naturale, il terrazzo; ci sono i trascorsi nella lotta armata (mimata) di Erasmo; il presente olistico, ironico e metaironico della padrona di casa Luciana; le meschinità e idiosincrasie dei suoi ospiti; il picaresco al contrario di Antimo e Franca, irredimibili dalle loro origini popolari e dunque condannati a soffrire, come minimo. C’è questo e tanto altro, compreso l’amore e gli stipendi non pagati, ma mi piace immaginare che il centro sotterraneo di tutta la vicenda, il nucleo mostrato un momento e poi riposto lucido lucido e ben oliato dove quasi non lo si vede più, sia proprio la cura (e la guarigione, per così dire) del cadavere.
È per questo che ho preso a prestito Erasmo, l’ho spedito nel lontano 1831 e gli ho fatto eseguire una tanatoprassi di tale successo da far tornare l’estinto in vita. (Messa così in effetti è quasi una cosa che c’entra con l’ecologia, come direbbe Luciana: una lotta all’estinzione). Lo scienziato e parlamentare del “PDS, DS, PD o come cazzo si chiamano adesso. Erasmo, come vi chiamate adesso?” lo presenta ai discepoli sconvolti (dal ritorno di Hegel, più che dalla sua partenza). E di nuovo gli esiti vanno oltre l’immaginabile. La destra un po’ prova disagio per le implicazioni teologiche del risveglio, ma son cose che si sistemano parlandone con il vescovo – domani a pranzo, Exzellenz? Dove invece la resurrezione picchia duro è a sinistra: i giovani lasciano la camera ardente in fretta, senza lacrime né parole e presentendo una sconfitta assoluta, radicale. Già si vedevano correre sui campi della dialettica a dar filo all’Aufhebung (daje! Daje che prende il vento!), mentre ora ripetono a labbra strette, sibilando: se i morti non muoiono non c’è tesi; se i sopravvissuti non li onorano e bestemmiano, rimpiangono e maledicono non c’è antitesi; dunque non si dà sintesi e la storia tutta si arresta. Game over, aquilone a terra, vento forza zero.
Fermare la storia, fermarla a questo punto di privilegio, fermarla al momento dell’affermazione di un ceto rapace e ipocrita, snob sine nobilitate e pop senza popolo, radical senza essere affatto tale e chic in modo postmoderno (leggasi: furbetto), è il solo sogno possibile degli Erasmo Costamagna, e questo sogno diventa, nel romanzo di Ranieri, tanatoprassi. Conservare la storia a questo punto, iniettarle prodotti enzimatici per salme (ma volendo anche portare i cadaveri in giostra per fingerli vivi) è l’escatologia di chi desidera una società senza conflitto. Tra le righe gli scappa detto anche al Veltroni – tra tutti quello che vedrei meglio da Luciana, in terrazzo, a un’etnocena spacciata per buona azione. In Ciao (Rizzoli, 2015) il Walter si rivendica, oltre al “fastidio per tutto quello che è urlato” e alla “ricerca, persino ingenua, del buono nelle persone” anche la virtù della “composizione”. Lui la riferisce ai conflitti, ovviamente; ma s’adatta bene anche alle salme. Ricomporre le salme perché, sembrando vive, impediscano alla storia di andare avanti.
Quando nei Mille esempi poi arriva la morte – quella per davvero, non quella imbellettata da Erasmo coi conservanti – è il momento in cui si rimette in moto la vita dei sopravvissuti. Come, in quale direzione? Non sappiamo: Ranieri la spedisce, quest’esistenza ritrovata a prezzo della morte, oltre il nostro sguardo. Il punto di fuga a cui conducono le due sequenze parallele del romanzo – quella, presente, sul terrazzo e quella dei flashback – è infatti già oltre l’ultima pagina. Oltre la tesi del primo, quindi, e oltre l’antitesi dei secondi – verso una liberatoria Aufhebung. Ed è proprio questa a dare ai Mille esempi, libro tutt’altro che happy (days & ending), un finale toccante e dolorosamente luminoso.