di Saverio Fattori
Tutti i capitoli di “Cattedrale”
I ritmi della linea in questi giorni sono infernali, al massimo delle operatrici sei al limite umano, tutto deve essere perfetto, non puoi permetterti errori, non ci devono essere imprevisti o sei fottuto. Lavori sulla soglia del panico. La bottiglia d’acqua, vitamina C e potassio, rimane nella cassetta del cutter per molte ore, non si riesce nemmeno a trovare il tempo di sentire la sete. Nessuno ha mai osato ribellarsi, anche se ho visto ragazze piangere.
Il Frank mi ha mancato di rispetto. Lo ha fatto solo dopo aver verificato che non ci fossero testimoni, almeno così mi è parso.
Forse non ha simili riguardi e io gli concedo l’attenuante perché è vero che non avrò il coraggio di aprirgli la testa. La sera prima un canale Mediaset aveva trasmesso un film con Al Pacino, lui si faceva rispettare nella prima parte della storia. Poi fatalmente finiva tutto in vacca. Sono impazzito per andare in pari con il rifornimento della linea, una postazione si è svuotata, una ragazza ha iniziato a gridare, le altre non si erano fermate, Prodotto Interno Lordo, a testa bassa. Il Frank mi ha mancato di rispetto e io non so ancora come giocarmela, non posso rischiare la fama da pazzo potenzialmente pericoloso che mi preserva da molte rogne.
– Testa di cazzo. Certo che parlo a te. Perché non dai fuoco anche all’ufficio di sopra. O ti hanno insegnato subito a leccare il culo e a tenere la testa bassa.
– Bravo vecchio, questo è parlare. Comunque sono esentato dal leccare il culo. Marani è cugino di mia madre. Primo cugino. Ti hanno raccontato che sono un piromane? Non ti hanno raccontato tutto. Non sono in questa fogna per un po’ di fumo a scuola.
Marani. Una specie di supervisore di tutti i reparti produttivi. Uno dei vassalli più indistruttibili e potenti nella storia della Cattedrale. La sua spettrale presenza ha dominato da sempre, da che ho memoria. Non è il peggiore. Non il migliore. Uno dei mondi possibili. Difficile stabilire i gradi di colpevolezza. Primo Levi ne La Tregua assolve con naturalezza e nessuna esitazione il giovane polacco Henek che nel campo ha acquisito “solide relazioni”. Come kapò si occupa delle selezioni dei bambini da mandare a morte. “Egli non prova rimorso… esisteva forse un altro modo per sopravvivere?”
Il Frank scende dal muletto e con un balzo atterra a pochi centimetri dai miei piedi.
– Paraculo. Fascistello di merda.
– Occhio, non hai le scarpe antinfortunistica.
Ho perso il controllo, mi sono pentito di aver pronunciato quel termine che oggi ha perso ogni valenza dispregiativa, ma non mi ha fatto pesare la gaffe, non ha infierito, mi ha opposto un sorriso paroxetinico. È risalito sul muletto ed è andato oltre, verso le bocche di carico dei camion. Gli hanno già affidato anche questa mansione ritenuta piuttosto delicata. Nessuno pare aver notato i nostri piccoli scontri, per ora sono fatti di brevi scazzi, veloci e violenti come acquazzoni estivi. Sono tutti distratti, la notizia del giorno è la chiusura di due mesi del nostro unico cliente per ristrutturazione del lay-out produttivo. Si annuncia cassa integrazione e spalmazione su altri reparti. La cosa mi inquieta, ho nemici dappertutto, non sono molto popolare, ma nella mia solita trincea so come muovermi e neutralizzare i pericoli. Mp3, eroina, scatti d’ira, battute a sfondo sessuale, improvvisi cambi di umore.
Il Sindacato Centrale ha annunciato un’assemblea straordinaria. Il direttore di stabilimento si appresta a relazionare alla festa di fine d’anno, è l’ultimo giorno prima delle ferie natalizie. Ma è un uomo morto che cammina. Dalle 16.30 è ufficialmente dimissionario. La notizia è arrivata improvvisa e ha scosso la Cattedrale dalle segrete fino al campanile gotico. Le ragioni sono misteriose, il Sacerdote appare visibilmente commosso, non sta recitando, si è scritto il discorso per non farsi tradire dall’emotività. La sua è stata un’ascesa lenta ma luminosa, non è stato calato dall’alto, negli anni ha conquistato stima e consenso a tutti i livelli. Giunse cucciolo, grassottello e timoroso, lavorava a una tesi sull’applicazione del modello Value Stream, stava germogliando e nessuno poteva supporlo. Via via si è asciugato e si è disegnato sulla faccia un pizzetto affilato, da anni è il vero referente dello stabilimento presso la proprietà americana. Ha una buona gestualità, sempre molto cortese, modi Veltroniani, vota centrosinistra, ha aderito allo sciopero sull’articolo 18 che da noi è stato ignorato dal Sindacato e dagli operai produttivi. Ha fatto della comunicazione e dell’informazione le sue armi migliori. Ha talento e si è applicato, conosce alla perfezione tutti i comparti della Cattedrale, può avanzare considerazioni sensate e velenose su questioni tecniche, come di finanza. Non gli si può nascondere nulla, è forte di una competenza circoscritta e inespugnabile, le sue osservazioni sono sempre attinenti alla sostanza dei problemi, senza barocchismi. Il Sindacato Centrale lo adora e non ne fa mistero nelle assemblee. Ha trovato un interlocutore sensibile alle istanze del contratto aziendale, ha potuto ignorare gli orientamenti dettati dalle confederazioni nazionali. Difficile fare ipotesi, impossibile stabilire quanto la scelta sia stata libera, definire i confini della volontarietà. Al discorso pare abbia detto di avere raggiunto i traguardi che si era prefissato, e che sente un ciclo della sua vita chiudersi. Ho sentito gli applausi dall’officina, ero solo, seduto al tavolo dove si mangia. Tre applausi dopo i discorsi dei due manager principali e della Guida Spirituale, il vecchio edificatore della Cattedrale, oggi puro spirito salito a cariche di rappresentanza eterea. Sono seguite brevi raffiche di applausi per la premiazioni di anzianità aziendale. Alcune operaie hanno preso il pomeriggio dell’ultimo giorno di ferie e si presentano al brindisi di fine anno alle 17, tirate da discoteca, con gli abiti migliori e fresche di parrucchiere. Ne ho incontrata una attraversando in obliquo il piazzale tra il Building 3 e il Building 4 e mi ha assalito una profonda tristezza, nell’eterna esitazione tra rabbia e pietà. Il direttore dimissionario è stato un nemico difficile da odiare. Ma ci sono riuscito benissimo. I miei anni d’inferno e il siluramento sono avvenuti durante il suo periodo di potere. Impossibile stabilire responsabilità dirette sulla mia umile e insignificante figura professionale. Nel mio reparto per un paio d’anni ha agito indisturbato un dirigente che ha tagliato risorse umane, non so se nelle scelte abbia inciso il Direttore. Nel dubbio, odio.