di Franco Pezzini
A distanza di quasi vent’anni dall’avvio di quei Novanta che hanno visto un forte rinnovamento del fantastico e un revival del gotico, sembra una banalità sottolineare il peso assunto nell’immaginario collettivo dalla figura del vampiro. Certo è possibile che il successo della maschera conosca flessioni, forse persino imminenti: a livello cinematografico, per esempio, le fasi di crescita e apogeo del tema — gli anni Trenta/Quaranta e poi Sessanta/Settanta — sono state seguite da periodi di silenzio, quegli anni Cinquanta (fino al ’58) e Ottanta in cui troviamo le produzioni diradarsi in pochi titoli minori. Non stupirebbe dunque se l’età gothica iniziata coi Novanta e giunta ormai a muovere interi settori del mercato — quello, per esempio, vampiresco-adolescenziale alla Stephenie Meyer — dovesse presto vedere una fase di crisi e ripensamenti.
E d’altro canto l’evoluzione stessa della figura ha conosciuto mutazioni significative negli ultimi decenni: se per chi scrive il vampiro maschio resta quello terribile, fascinoso e ferino di Christopher Lee (del resto il Dracula più stokeriano della storia del cinema), le generazioni recenti lo associano piuttosto, inevitabilmente, alle creature di Anne Rice, belle, carine e molto occupate nel cancellare un’alienità che in fondo rappresentava un punto di forza. Il Dracula di Stoker lo conosciamo solo attraverso diari e lettere di personaggi in perenne dubbio sulla propria sanità mentale, e non si sarebbe mai sognato di rilasciare interviste. Ma non dobbiamo stupirci: si tratta solo, a ben vedere, dell’ennesimo sviluppo di un personaggio proteiforme, capace di una straordinaria carriera. La sua forma classica si delinea tra Sei e Settecento, “vampirizzando” anche figure folkloriche minori — per esempio il dispettoso brucolaco egeo — e occupando la nicchia di altre più antiche — per esempio le empuse, lamie e strigi classiche; ma dopo il successo mediatico settecentesco è con la letteratura che l’arcaico upir avvia la sua irresistibile ascesa per poi dilagare nel cinema. Sia nel campo del gotico vero e proprio che in altri di varia distanza: significativa è oggi, per esempio, la spendita dell’immagine vampiresca nel genere monsters in action, un derivato del feuilleton dove il succhiasangue — magari interpretato da splendide attrici e inguainato in attillatissime tute fetish — è un ardimentoso X-man protagonista di storie d’avventura.
Resta il fatto che il vampiro sia oggi acquisito nell’immaginario in termini più pervasivi che mai, al punto da poterlo considerare una sorta di supermetafora del fantastico, con un fortissimo impatto sul pubblico giovane; e che svolga oggi, in letteratura e cinema popolare, una funzione di medium per giocare i temi della morte, dell’eros e dell’indecidibilità esistenziale sui più diversi sfondi e motivi di genere. In qualche modo il vampiro — creatura intermedia tra vita e morte, umano e ferino, spettrale e corporeo — è immagine esemplare dell’ambiguità, è l’ambiguità: si pensi alla nostra Carmilla, nel ritratto offerto da Le Fanu. E dunque si afferma come icona di quel fantastico laico, moderno, che proprio nello spazio dell’ambiguità — l’indecidibile confine tra psiche e oltretomba, ma non soltanto — sembra trovare una cifra identificativa, e anzi la più espressiva e spiazzante connotazione.
Considerando il peso del personaggio, non stupisce e si può anzi salutare con simpatia un esperimento editoriale condotto dalla romana casa editrice Il rovescio, nel pubblicare una prima scelta di novelle tratte dal sito vampzaga.com. Per la la verità il volume Vamp — Racconti del vampiro (pagg. 99, euro 7,00) reca contenuti fantastici piuttosto diversi: ciò che tuttavia conferma quanto la figura del succhiasangue finisca con l’aggregare una galassia di suggestioni assai più ampia e variegata. Alla bontà dell’idea non consegue un risultato in tutto convincente, in particolare per l’avvertibile assenza di un editing “forte” che alcuni testi avrebbero richiesto; e, come del resto è naturale, non tutte le prove appaiono egualmente felici. Ma alcune emergono sia per originalità di contenuto che per qualità formale, a sottolineare l’importanza che case editrici piccole, talora molto piccole, rivestono ancora nell’età di internet nell’offrire spazio a nuove voci.
E merita rammentare almeno due titoli e autori — anzi, autrici — della raccolta: a partire da quel L’Ange de la Mort che reca la firma della diciottenne Valentina Ceciliato, già nel catalogo dell’editore col romanzo d’esordio Succubus pubblicato nell’estate 2007. In quel caso la formula evocava l’apocrifo vittoriano, con una riscrittura al femminile del capolavoro di Stoker: una sorta di Dracula’s Daughter (con tanto di cattivissimo Van Helsing) che nell’epoca dei vampirismi in salsa adolescenziale spicca per originalità e freschezza. Certo emerge l’influsso delle Madri contemporanee, in particolare della Rice prima maniera — il Lestat complesso e feroce di Intervista col vampiro, non dei seguiti più o meno buonistici — ma senza restarne in ostaggio: e anche più convincenti e fecondi di sviluppi appaiono il tessuto di L’Ange de la Mort e il suo protagonista Saint Just. Dove la creatura intermedia tra diverse dimensioni dell’esistenza e del tempo (dal Settecento libertino al nuovo millennio) lo è anche tra i sessi: un androgino di piccola statura, fascinoso ma non nel senso più ovvio, che consuma litri di latte e fa esplodere l’esistenza quotidiana, diurna degli ospiti in un vortice di eros e di odio.
Il secondo racconto presenta un vampirismo completamente diverso: Donna Brokenheart di Lorenza Lorenzi è infatti la storia tragica di un’arrampicatrice inadeguata nell’Italia contemporanea, travolta da impulsi, sentimenti e sogni in un mondo di vampiri ben più grandi di lei. Il registro asciutto della narrazione valorizza l’apologo, senza gravarlo di inutili connotazioni moralistiche: il gioco che sfugge di mano, il marciume evocato quasi di sfuggita fino alla terribile chiusa. Per i particolari, del resto, basta qualunque telegiornale.