di Litta Soto Villagrán
Traduzione e ampliamento di Fabrizio Lorusso
“Una vez perdido el honor, sin tierra, ya no queda nada…
Una volta perduto l’onore, senza terra, non resta più nulla…”
In Cile lo sciopero della fame è diventato uno dei mezzi più utilizzati come atto di protesta e opposizione contro le ingiustizie politiche, lavorative e umanitarie. In questo senso, i mapuche, discendenti delle popolazioni originarie che abitavano l’attuale territorio cileno prima della conquista spagnola, sono dovuti ricorrere a questo tipo di azione politica estrema come risposta alle misure che i diversi governi della Concertazione, l’unione di “centro sinistra” tra i democristiani e i socialisti che governa il Cile dal 1990 e la cui presidentessa attuale è Michelle Bachelet, hanno posto in essere riguardo a quella che erroneamente si è venuta a chiamare la “questione mapuche”.
Le diverse azioni di protesta cominciano senza dubbio con il processo di deportazione e separazione delle differenti comunità indigene nel periodo dittatoriale di Augusto Pinochet Ugarte (1973 — 1989). Ciononostante, la politica verso gli indigeni portata avanti dallo Stato cileno dall’epoca dell’indipendenza all’inizio del secolo XIX è stata fondamentalmente caratterizzata dalla volontà di assimilare in qualunque modo possibile le popolazioni autoctone.
Già dal diciannovesimo secolo, lo Stato favorì la realizzazione di aste pubbliche delle estensioni territoriali più grandi storicamente abitate dai mapuche, soprattutto negli anni 1873 e 1874. In quel caso, vennero svenduti lotti o parcelle di terra di 100, 200 e 400 ettari, con la proibizione, solo formale, che una persona potesse acquisire più di 2000 ettari totali. Ciononostante, alcuni latifondisti e speculatori riuscirono ad aggirare questo divieto grazie a dei prestanome con cui fecero incetta di terreni. Anche se la stessa legislazione vietava la vendita dei terreni usciti dalla divisione delle comunità per un periodo di vent’anni dal momento della formalizzazione dell’alienazione, non vennero impedite altre forme di sfruttamento come l’affitto per 99 anni che, di fatto, era una violazione dei criteri stabiliti dalla legge (1). La situazione in seguito non migliorò.
Il cruento colpo di Stato dell’11 settembre 1973 e l’adozione delle politiche economiche neo-liberiste hanno segnato una chiara regressione nel riconoscimento dei diritti degli autoctoni. E’ stato il periodo più duro per le comunità che hanno visto la propria progressiva liquidazione e integrazione forzata. Dal punto di vista legale, gli indigeni sono spariti dal territorio e dal sistema nazionale grazie ai ben noti Decreti Legge 2.568 e 2.750. Malgrado il carattere oggettivamente pericoloso e discriminatorio di tali misure, molti membri delle comunità rurali si sono rassegnati alla consegna e svendita dei titoli rappresentativi della proprietà individuale della terra. Questa forma di cooptazione non ha comunque risolto il problema relativo alle modalità con cui gli indigeni percepiscono e controllano le iniziative provenienti dallo Stato wingka (=invasore in lingua mapuche) (2).
E’ così che il 28 maggio 1979 viene emanato il Decreto Legge No 2.568 sulla “Divisione delle Comunità Indigene” e, nonostante il profondo rifiuto della popolazione autoctona, la sua promulgazione e messa in atto si realizzò senza la minima considerazione di questa minoranza. La legge permette a ogni individuo di una comunità di ottenere formalmente l’assegnazione di titoli individuali di possesso e usufrutto di appezzamenti anche dentro una riserva territoriale che era comunitaria e di proprietà degli indigeni. In pratica, il Decreto sancisce che, dalla data in cui entra in vigore, i piccoli terreni o parcelle risultanti dalla divisione delle riserve finiranno di essere considerate come terre indigene e i loro padroni perderanno lo status di “membro della comunità indigena o abitante indigeno”. Inoltre, lo Stato iniziò ad alienare le terre distribuite dalla riforma agraria, voluta dal Presidente Salvador Allende all’inizio degli anni settanta per difendere le proprietà indigene e proteggere la loro cultura, a imprese forestali che, in seguito, avrebbero piantato in massa degli alberi di pino, prodotto commercializzabile e redditizio a sua volta protetto dallo Stato attraverso il Decreto Legge 701/1974 sull’Impulso Forestale (3).
Più tardi, queste aziende furono assorbite da grandi gruppi imprenditoriali e si trovano attualmente ad operare nelle aree forestali delle regioni VIII, IX e X in cui esistono gravi conflitti ecologici e sociali tra le comunità indigene e le imprese (4).
L’eredità storica e la tradizione repressiva nei confronti di queste popolazioni, insieme all’applicazione delle citate leggi, hanno generato forti critiche da parte delle organizzazioni indigene e contadine cilene, della Chiesa e delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani presenti nel paese e questo s’è tradotto in diverse forme di resistenza. Attualmente, l’attivista mapuche Patricia Troncoso sta scontando una pesante sentenza di 10 anni e 1 giorno, in base alle Leggi Antiterroriste ereditate dal regime e applicate all’occorrenza contro alcuni nemici politici. La condanna è stata inflitta a lei e altri quattro indigeni per l’incendio del terreno privato “Poluco Podenco” avvenuto durante i movimenti di protesta del dicembre 2001. Dalla prigione della città di Victoria, la detenuta politica sta protestando contro le condizioni fortemente punitive e repressive della legislazione antiterrorista cilena e dal 12 ottobre 2007 è entrata in uno sciopero della fame che ha prodotto diverse reazioni nella società civile e negli apparati statali. Una di queste è stata la risposta, negativa, che ha dato il potere Esecutivo riguardo al caso di Patricia e alle possibilità di un intervento umanitario diretto in suo favore. Il Governo ha ribadito l’indipendenza del potere giudiziario cileno e la sua competenza in merito che già si è esaurita in tutti i livelli di giudizio, confermando la sentenza punitiva. Malgrado tutto, la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha richiesto allo Stato cileno l’informazione legata al caso e alle preoccupanti condizioni di salute attuali dell’attivista.
In tema di rispetto dei diritti umani e del lavoro, è doveroso, infine, sottolineare come il Cile non abbia ancora aderito alla Convenzione 169 della OIT (Organización Internacional del Trabajo), fatto che ha originato numerose polemiche interne visto che questo accordo permetterebbe il riconoscimento dei popoli originari, indigeni e delle tribù come sovrani su un territorio che potrebbe addirittura erigersi a Stato indipendente (5).
Concludiamo l’articolo invitando alla lettura delle ultime sul caso Troncoso e all’ascolto delle dichiarazioni di Patricia.
NOTE
(1) Per riconosciuti studiosi come Aylwin e Castillo, la “nuova forma di proprietà della terra imposta dalla legge, oltre a essere contraria ai costumi e usi mapuche, viene a impedire decisamente la loro sussistenza economica e culturale. Nei fatti, il processo di separazione attuato dalle norme cilene non ha rispettato gli spazi comuni che per secoli erano esistiti nella terra indigena, come quelli destinati alle cerimonie religiose o al riposo dei defunti.”
(2) Conviene inoltre far notare che la prospettiva antropologica (cioè quella che parte dalla categorie, interpretazioni e strategie proprie degli indigeni) risulta assente dalla maggior parte degli studi sociali e giuridici che trattano la natura e gli impatti delle politiche “indigeniste”.
(3) Un’altra modalità di espulsione degli indigeni è avvenuta con la colonizzazione straniera a partire dal 1874 ed è continuata fino al periodo della dittatura militare in cui si è rinforzata. Il Governo ha sviluppato un sistema di reclutamento degli emigranti da mandare in Cile e ha promulgato leggi che favorivano le operazioni di compagnie private di colonizzazione. La legge del 4 agosto 1874 sui colonizzatori stranieri favoriva gli immigranti europei con terreni gratuiti, tolti ai popoli indigeni del sud del Cile, e il pagamento del biglietto dal porto d’origine alla colonia cilena. Vedi qui.
(4) Documento sulle politiche territoriali della CONADI (entità governativa per lo sviluppo indigeno).
(5) Ringrazio Litta, amica e compagna di Dottorato, per l’invio e il lavoro svolto con questo report dal Cile, con la speranza che si possa diffondere al massimo l’informazione anche in Italia. Fabrizio Lorusso.