di Girolamo De Michele
Conclusa anche in Italia la saga di Harry Potter e dei suoi compagni d’avventura (o almeno della prima generazione) con la traduzione del settimo volume, proviamo a tracciare qualche considerazione sull’oggetto letterario che da anni monopolizza l’interesse di milioni di lettori. Oggetto letterario e non semplice libro, dal momento che le vicende della saga del maghetto di Hogwarts sono cresciute di complessità e sfaccettature, spesso con improprie confusioni di ambiti nel corso delle discussioni. Proviamo quindi a considerare il libro sia come una storia che si rivolge a un pubblico di lettori, sia per gli aspetti mediatici ad esso correlati.
Harry Potter è, in primo luogo, il libro per l’infanzia che ha sfatato la pseudo-profezia mai comprovata da seri dati empirici (periodicamente riproposta e sempre smentita dai fatti) della fine della lettura per l’infanzia nell’età dei mass-media. Di più: i libri di J.K. Rowling hanno potentemente trainato una forte rinascita della letteratura per l’infanzia, facendo la fortuna di case editrici specializzate. Un traino che a sua volta ha rilanciato la letteratura fantasy, dai classici (da Tolkien a C.S. Lewis) ai nuovi autori come Christopher Paolini: un genere che si dimostra in grado di vanificare le barriere generazionali e gli spesso insensati steccati artificiosamente creati tra letteratura per l’infanzia e letteratura adulta. Ha insomma riproposto quella funzione mitopoietica (Vico, che di mente infantile qualcosa ne capiva, parlava di universali fantastici) che opera in chiave ricettiva nel riconoscere le strutture mitico-narrative all’opera all’interno del racconto indipendentemente dal livello di alfabetizzazione del lettore, e in chiave creativa nella ri-creazione di trame, storie, biografie immaginarie a partire dalle strutture acquisite.
Su Harry Potter è cresciuta in questi anni un’autonoma comunità di lettori-scrittori, in grado di destreggiarsi tra la Scilla delle censure teo-com e la Cariddi delle pretese della Warner Bros di negare l’uso dei personaggi al mondo della rete, una pretesa che ricorda il tentativo della stessa casa cinematografica di proibire ai Fratelli Marx di intitolare il loro film A Night in Casablanca accampando diritti d’autore sulla parola “Casablanca” (Groucho Marx gli rispose che «Voi avete probabilmente il diritto di utilizzare il nome di Warner, ma che dire di quello di Fratelli? Professionalmente noi eravamo fratelli molto prima di voi»). Henry Jenkins, nel suo Cultura convergente, esamina il caso di Heather Lawyer, giovane editrice della rivista on line The Daily Prophet e fondatrice del sito Defense Against Dark Arts (una delle materie insegnate ad Hogwarts) per sostenere i diritti dei fan. Il manifesto del movimento afferma: «Ci sono forze oscure in movimento, più malefiche perfino di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, poiché osano portarci via qualcosa di così basilare e così umano da poter essere considerati quasi come degli assassini. Ci stanno rubando la nostra libertà di parola, la libertà di esprimere i nostri pensieri, sentimenti, idee, e stanno distruggendo tutto il piacere di un libro magico». Bene: la piccola Heather ha vinto, e non paga ha creato un vero e proprio ufficio on line di consulenze contro le rapaci pretese della casa cinematografica.
L’autrice, la scozzese J.K. Rowling grazie al successo della propria opera è passata da una condizione di precarietà e semi-indigenza all’essere la prima contribuente privata del sistema fiscale britannico (almeno lei le tasse le paga!): cosa che sicuramente le ha attirato l’invidia di quanti, a torto o a ragione, si sentono frustrati nelle proprie aspettative di successo e dei cultori del pauperismo duro e puro. Ma soprattutto, le critiche di chi vede in ogni successo l’esistenza di «progetti globali a lungo termine per modificare la cultura» ad opera di «gigantesche corporations multimediali» in grado di esercitare pressioni al limite, o oltre, del «lavaggio del cervello totalitario»: così si esprime, nel decalogo anti-Potter, la scrittrice cattolico-reazionaria Gabriele Kuby, la cui opera (Harry Potter: gut oder böse, 2003) fu definita dal cardinale Joseph Ratzinger «illuminante»: «si tratta di sottili seduzioni, che agiscono inconsciamente distorcendo profondamente la cristianità nell’anima, prima che possa crescere propriamente», scriveva l’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede incaricato di vigilare sulla purezza della dottrina cattolica. Per la cronaca, Gabriele Kuby ha recentemente accusato il governo tedesco di «adoperarsi perché la distinzione sessuale tra uomo e donna e l’eterosessualità come norma siano rimosse; i modi di vita omosessuale, bisessuale e transessuale considerati equivalenti alla sessualità di uomo e donna».
Tra gli argomenti contro Harry Potter, Kuby elencava in un decalogo la descrizione di una società scristianizzata, l’atmosfera cupa di un mondo (la scuola di Horwarts) di violenza, orrore e razzismo pervaso da un’atmosfera di perenne tradimento, ma al tempo stesso glorificato contro il degradato mondo degli umani. Infine, «Harry Potter non è una moderna favola: nelle favole maghi e streghe sono senza ambiguità figure malvagie, e l’eroe sfugge al loro potere attraverso l’esercizio della virtù». Al contrario, in Harry Potter sembra in atto una progressiva fascinazione dell’eroe inizialmente “buono” per il suo antagonista, il malvagio Voldemort. Commentando sulla rivista on line Left Wing queste critiche (approvate da Joseph Ratzinger), Marco Beccaria ha parlato di «un cattolicesimo paranoicamente preoccupato di difendersi da un attacco inesistente del “mondo”, in cui si vedono operare complotti e forze apertamente demoniache e anticristiane […], che vive prigioniero di se stesso nella sua fortezza Bastiani e scruta il deserto da cui paventa l’arrivo dei Tartari. Solo che se poi ai Tartari si attribuiscono i lineamenti di Harry Potter, la china verso il ridicolo risulta irrimediabilmente imboccata».
Beccaria coglie perfettamente i tratti dell’attuale pontificato e del suo mesto codazzo di atei devoti, teo-com e sedicenti teo-dem. Nondimeno, riconosciuto l’animo triste di questi sostenitori della censura preventiva del maghetto di Hogwarts nelle famiglie e nelle scuole, possiamo anche accettare la critica di Kuby come vera: J.K. Rowling non presenta uno zuccheroso mondo dell’infanzia ad uso e consumo di ideologie pedagogiche d’altri tempi. Il mondo nel quale i suoi personaggi agiscono è effettivamente un mondo cupo, pervaso dall’odio e dalla discriminazione del diverso, agitato da feroci ideologie securitarie che gradualmente fanno assomigliare (soprattutto in quest’ultimo volume) il mondo magico al mondo del “babbani”. La vita, nel mondo di Harry Potter come in quello “reale” (posto che non siano reali oggetti come passioni, desideri, ricordi) è incerta e precaria, come doveva apparire all’autrice ai tempi in cui scriveva il primo romanzo in una tavola calda nelle ore che intercorrevano tra la fine della mezza giornata lavorativa e l’uscita della figlia dall’asilo. La distinzione tra bene e male non è sempre intuitiva, e non sempre l’autorità degli adulti e il sapere consolidato nelle istituzioni educative è in grado di comprendere il pericolo rappresentato da Voldemort, l’Oscuro Signore, e dai suoi Mangiamorte, che riescono persino ad impadronirsi della scuola di Hogwarts. Non l’obbedienza all’autorità, ma la disobbedienza coraggiosa, la curiosità, l’esperienza diretta sono i valori con i quali il fascistico progetto dei Mangiamorte viene sconfitto. Bene e male appaiono valori confusi solo finché ogni personaggio non rivela la propria scelta (pensiamo al tragico destino di Snape/Piton): buoni o malvagi non si nasce, si diventa. Più in generale, nel mondo di Harry Potter non si è destinati ad essere, si diventa quel che si è, ed ogni eroe positivo ha dovuto scegliere cosa diventare. L’amore in nome del quale Harry sconfigge Voldemort non è un generico sentimento positivo, ma il legame che trascende il singolo in un soggetto collettivo: il piccolo gruppo Harry-Ron-Hermione si è allargato ad Esercito di Silente, fino all’insurrezione collettiva contro i nuovi padroni di Hogwarts. E l’autorità, il “papa” di questa “religione gnostica” che cerca nel proprio animo piuttosto che nel verbo dell’autorità la strada dell’amore contro i predicatori di odio, Albus Dumbledore/Silente — che Rowling ha rivelato essere gay — incarna l’ideale di una pedagogia libertaria, nella quale l’esperienza diretta, anche se potenzialmente pericolosa, prevale sull’autorevolezza dell’istituzione. A rischio dell’errore, persino della morte.
Agli albori del pensiero politico moderno, un pio e pacifico francese del XVI secolo, Etienne de la Boétie, capì che la risposta alla domanda politica fondamentale — perché gli uomini preferiscono la servitù alla libertà? — è nell’autopercezione di inadeguatezza, di incapacità di fronte alla vita che porta il cittadino a farsi suddito obbediente [scarica qui il Discorso sulla servitù volontaria]. L’insegnamento di Dumbledore/Silente — lo capiamo con chiarezza al termine degli eventi, quando la conclusione dà all’intera vicenda quel senso compiuto che all’inizio mancava — è in questo diametralmente opposto a quello di Voldemort: quanto i suoi Mangiamorte sono paurosi, tanto i ragazzi di Hogwarts sono impavidi; tanto quelli sono incapaci di agire autonomamente, quanto questi sono autonomi; tanto quelli sono servi, quanto questi sono liberi nella mente prima ancora che nel corpo. Gli uni credono nelle profezie e nel destino, gli altri realizzano il proprio destino. Come i filosofi dell’età rinascimentale, il Giordano Bruno e lo Zenone dell’Opera al nero di Marguerite Yourcenar, hanno imparato a coniugare azione e contemplazione, vita attiva e vita contemplativa. Amorevolmente rispettosi degli insegnamenti impartiti, ma liberi e, se occorre, disobbedienti rispetto ai Maestri. Non stupisce che al Triste Babbano Vaticano quest’opera sembri una nociva seduzione: come in ogni buona mitologia, de te fabula narratur.
(Versione integrale dell’elzeviro uscito su Liberazione il 10.01.08)
su questi argomenti vedi anche:
Harry Potter e il caso Battisti di Wu Ming 4
Illuminazioni di Loredana Lipperini