di Ignacio Solares
[Ignacio Solares è uno dei maggiori scrittori messicani contemporanei, di forte impronta cristiana. Il presente articolo è tratto dal settimanale Proceso n. 1590, 22 aprile 2007. La traduzione è di V.E.]
Per San Tommaso d’Aquino, ogni atto sessuale deve essere atto coniugale, e ogni atto coniugale deve essere atto procreativo. Qualsiasi trasgressione contro i comandamenti sessuali è per lui la lesione di un bene “divino”, poiché nel seme maschile è contenuta tutta la potenzialità della persona umana. Ne consegue che “dopo il peccato di omicidio occupa il secondo posto il peccato di impedire, in qualsiasi maniera, la procreazione” (Summa contra gent., III, 122).
Senza dubbio, il problema più grave che affronta oggi la Chiesa cattolica è che non può cambiare — non può muoversi — di fronte all’infallibilità dei suoi papi (e dei suoi santi, è chiaro) per quanto aberranti siano state le loro pronunce. L’eredità si trasforma in una zavorra fatale per la Chiesa. I papi ereditano tutti i peccati dei loro predecessori — a partire da San Pietro — perché “non possono sbagliare”. Quale altro peccato di superbia potrebbe essere paragonato a questo? Così, per esempio, c’è una linea diretta di pensiero da San Tommaso (metà del secolo XIII) a Paolo VI (metà del secolo XX), che nella sua enciclica contro la pillola afferma che la contraccezione è “tanto condannabile” quanto l’aborto. Con ciò, di un buon numero di aborti deve essere fatto carico ai papi, dato che costoro, nell’equiparare contraccezione e aborto, finiscono con l’asserire la banalità dell’aborto. Se, secondo Paolo VI, la contraccezione ha un peso pari a quello dell’aborto, se ne deve concludere che l’aborto ha tanto poco peso quanto la contraccezione. Può una qualsiasi donna sana di mente equiparare l’atto di abortire con quello di prendere una pillola, o di chiedere a suo marito di mettere un preservativo?
Una sola identica Chiesa, dal Medioevo a oggi. Basta ricordare una famosa udienza generale che tenne Giovanni Paolo II a Roma nel 1980, nella quale parlò dell’adulterio che “si perpetra in umbito coniugale con la propria moglie”, sulla stessa linea dell’agostinismo, tomismo, stoicismo, filonismo — vale a dire, dalla prospettiva dell’ostilità nei confronti del piacere.
Di Sant’Agostino è la dottrina relativa al modo e alla maniera in cui il peccato originale si trasmette ai bambini, vale a dire, a tutti gli uomini. Dice che quando i primi uomini disobbedirono a Dio e mangiarono il frutto proibito, “si vergognarono di se stessi e coprirono le loro parti sessuali con foglie di fico” (Serm., 151, 8). Se non fosse per la tragedia che ne è derivata, questa dottrina dovrebbe indurci alle risa. Perché il peccato originale sarebbe allora una forma di stupro, con tutto ciò che questo comporta. L’unico che si salva è Cristo: “Cristo fu concepito e generato senza piacere carnale alcuno e, per questo motivo, resta libero da ogni macchia proveniente dal peccato originale”.
Però il problema in relazione all’aborto non si limita a questo, poiché secondo Sant’Agostino, a causa del peccato originale, Dio condanna all’inferno i bambini non battezzati, per cui una madre dovrà sempre preferire la vita di suo figlio alla propria, davanti alla semplice possibilità di mandarlo diritto all’inferno. Davanti a una sola e remota possibilità che il figlio possa sopravvivere alla madre per poter essere battezzato, questa deve sacrificarsi per salvare il bambino “dalla morte eterna”. Come si vedrà, il Dio crudele di Sant’Agostino, il persecutore e il giudice spietato dei neonati, di quelli che non ottengono di essere battezzati prima di morire, è anche un persecutore e tormentatore delle madri stesse. Soprattutto se si parte, come fa la Chiesa, dal concetto di “animazione simultanea” — vale a dire, l’animazione dell’embrione nell’ istante stesso del concepimento. Per questo la scomunica si applica all’aborto nello stadio più precoce. La distinzione tra fetus inanimatus — ossia, che l’anima entri nell’embrione fino alle prime otto settimane dal concepimento — e fetus animatus è soppressa nel 1869 da Pio IX e, a partire da quel momento per arrivare a oggi, si parlerà solo di feto.
Nel romanzo Il cardinale, di Henry Morton, un medico sottopone al cardinale un’alternativa terribile: “Se lei non mi dà il permesso di uccidere l’embrione, nulla salverà sua sorella”. Il cardinale “si afferrò alla poltrona e recitò: Gesù, Maria e Giuseppe, aiutatemi a decidere!”. E con l’aiuto di Gesù, Maria e Giuseppe decise per la morte della sorella. Soprattutto, a lei non venne nemmeno chiesto cosa avrebbe preferito.
La morte della madre può essere il prezzo necessario per il battesimo del figlio. Senza il battesimo il bambino sarebbe condannato, poiché per il Padre celeste quel bambino non è così innocente come si potrebbe supporre. Dal suo concepimento, lo stesso Padre lo dichiarò colpevole a causa del peccato originale. In quest’ordine di idee — pienamente maschile — cosa possono importare l’opinione, e persino la vita stessa della donna insignificante che lo metterà al mondo?
Questa è la Chiesa di oggi, impegnata, in virtù della “infallibilità” dei suoi papi, contro la pillola, i preservativi e l’aborto, affannata nella difesa della vita non ancora nata più che nella protezione della vita già esistente. Una lunga storia, che ha trasformato il vero cristianesimo — vale a dire, il luogo privilegiato dell’esperienza personale e intima dell’amore di Dio, e nel quale tutto ciò che concerne la sfera corporale trova espressione naturale, amata dallo stesso Dio — nell’imperio di una casta di (presunti) celibi che domina un’immensa maggioranza di credenti, da essa considerati minori di età o quantomeno ritardati mentali. Con ciò è stata sfigurata l’opera di Colui dal quale i cristiani prendono nome. Per la “sua” Chiesa, un simile Signore è incapace di esprimere misericordia verso gli uomini e il loro corpo, poiché lo hanno trasformato in un Cristo asessuato, ostile al piacere, promotore del dolore e della morte, un poliziotto che vigila sulle stanze da letto e i ventri delle donne. Davanti a questo Gesù, l’essere umano non può sentirsi amato da Dio, bensì impuro e degno di essere condannato.
Nelle sue Memorie intime, Georges Simenon racconta che, nell’imminenza della nascita del suo primo figlio, si recò con sua moglie, in avanzato stato di gravidanza, in una clinica ginecologica dello Stato dell’Arkansas, negli Stati Uniti, dove teneva un corso di letteratura. Nel giungere, videro all’ingresso un piccolo cartello che diceva: “Questo è un ospedale cattolico, per cui la vita del figlio prevarrà sempre sulla vita della madre”. Narra Simenon: “Un sudore freddo ci scese per la schiena. Cercammo subito la porta di uscita in strada e, soprattutto, un ospedale meno cattolico”.