L’hanno definito “il romanzo più pericoloso mai scritto da una donna”. F/32 (pubblicato negli States nel corso del 1992 e uscito in italia per ShaKe Edizioni) è un romanzo impazzito e certamente piuttosto pericoloso. La scrittrice, che ha raccolto l’eredità di Kathy Acker e che ha scelto lo psudo Euridice, è autrice anche di un romanzo oceanico, Ehmh. Attualmente insegna letteratura alla Brown University.
Hai avuto un’infanzia piuttosto esotica.
Sono cresciuta ad Alessandria d’Egitto. Sono nata sull’isola di Lesbo. Sono venuta alla luce esattamente nel punto scelto da Saffo per suicidarsi tuffandosi in mare. E’ il medesimo punto in cui, secondo il mito, le ceneri di Orfeo furono spazzate via dopo che il semidio era stato ucciso e smembrato. Sono nata precoce. Nessuno si aspettava che le acque si rompessero lì e in quel momento. Ho vissuto ad Alessandria ma non ho mai imparato l’arabo. Ho letto molto. Sono restata a casa, educata dai miei e da alcuni insegnanti privati. Leggevo moltissimo. Ho sviluppato una fervida fantasia. Mio padre desiderava che diventassi scrittrice. Da quando avevo tre anni mi parlava di scrittori e filosofi. E’ anche vero che ho riscritto Beckett e Omero, quand’ero piccola: mio padre conserva ancora quelle versioni. Cancellavo parti dei libri originali e le riscrivevo – con una grafia da bambina, secondo i plot che mi piacevano di più. Non mi piaceva la letteratura mediocre.
Quando avevo nove anni, siamo stati cacciati da dove vivevamo. Il nostro curatore finanziario si era suicidato e avevamo scoperto di essere entrati in possesso di una marea di denaro a seguito di certe confische statali. Siamo riparati in Grecia. Un evento che ha segnato per parecchio la mia famiglia.
Quando hai iniziato a scrivere in inglese?
Quando avevo quattordici anni. Già ero una comunista. Mi avevano arrestata perché avevo organizzato scioperi e occupazioni. Nella città in cui vivevo, su un muro, c’era un’enorme scritta che diceva: “Euridice, ti amo!”. In quel periodo ho realizzato che lì avevo fatto tutto quello che potevo fare; e ho deciso di spostarmi. La solita storia della rivolta contro i parenti. Presi la decisione di andare a Hollywood. E dove altro? Non volli farlo sapere ai miei. Presi l’aereo e arrivai a Los Angeles. Non conoscevo nessuno. Ho incontrato, tra le molte avventure, una donna, con cui sto ancora adesso. Mi ha salvato la vita. I miei genitori hanno perfino assoldato dei detective per cercarmi: ma cercavano in Grecia, perciò non mi trovavano. Quando sono sbarcata a LA, parlavo un inglese pessimo. Scrivevo perfettamente, perché l’avevo imparato bene a scuola. Ma la pronuncia era un disastro. Non conoscevo un’espressione che fosse una. Se mi chiedevano se ero fuori, rispondevo chiedendo: “Fuori dove?”. Così è nato il mio attaccamento alla lingua inglese. Interpretavo tutto secondo la lettera. Riuscivo così a sporgermi su un livello della lingua che per un americano è dato per acquisito: e rimane perciò inesplorato. Scrivere in inglese, poi, mi ha liberata definitivamente. Quando scrivevo in greco, ogni parola aveva un tremendo passato alle spalle. C’era una tradizione e io sentivo che era necessario rispettarla. Così ero estremamente cauta nello scrivere. Ero una minimalista. L’inglese è stata una liberazione, invece. Potevo dire qualunque cosa. Potevo cambiare il linguaggio, abusarne, ricrearlo. L’inglese è una lingua diretta, sparata, una lingua da mercanti. E’ importante scrivere in inglese: è il latino del mondo d’oggi. E’ la lingua dell’Impero dei nostri tempi. L’ideologia americana dà forme e regole al mondo, oggi. E’ una delle poche eventualità che Marx ha sottostimato. Il potere di questa ideologia è persuadere chiunque che potrebbe essere scelto tra gli eletti.
Quando ti sei sentita scrittrice?
Ho provato a lungo a resistere. Non volevo essere una scrittrice. Mio padre mi leggeva Shakespeare quando avevo tre anni. Non ci capivo niente. Dopo avere lasciato i miei, cercare di non essere una scrittrice era una componente fondamentale della mia rivolta personale. Poi sono riuscita a iscrivermi all’università di Boulder, dove sono restata per due anni, durante i quali ho scritto f/32. Scrivevo ogni giorno. Era una specie di terapia – o di malattia. In teoria avevo sempre odiato scrivere. Non penso che si tratti del più potente mezzo di comunicazione. Odio restare da sola a scrivere per ore davanti a un computer. Preferisco qualcosa di più dinamico: dipingere, fare film. Ho iniziato a fare film subito dopo il biennio a Boulder. Sono andata in India a girare. Me ne sono successe di tutti i colori. Ho contratto l’epatite per due volte e ho rischiato di lasciarci le penne. Ero in un paesello ai limiti del deserto, e vengo raggiunta da un fax. Mi viene detto che f/32 ha vinto un premio prestigioso, il Fiction Collective. Io nemmeno avevo inviato il manoscritto. Dei miei amici l’avevano fatto per me. Ero sorpresa. Non pensavo che il libro fosse pronto per la pubblicazione. Volevo riscriverlo. Non l’ho fatto e f/32 è diventato comunque un libro di culto.
F/32 è un libro sulle donne, sugli uomini e sui rapporti. Che differenza c’è tra il modo di sentire di un uomo e quello di una donna?
Per tradizione, le donne sono educate a valutarsi a seconda di quanto sono amate e finiscono per vedersi come oggetti d’amore. Necessitano di amore, sempre di più. C’è lo stereotipo della donna inventrice dell’amore, mentre io penso che l’amore l’abbiano inventato gli uomini, per tenere incatenate le donne. Potenzialmente le donne hanno molta più capacità di passare da persona a persona e di amare secondo libertà e senza possessività. Penso che l’amore, nella sua declinazione maschile, sia estremamente possessivo e comporti egoismo, competizione, ansia da prestazione. Penso che l’amore sia ciò che di meglio abbiamo. E’ quando amano che l’uomo e la donna si differenziano definitivamente.
Che cos’è, in definitiva, f/32?
Una parabola. E’ la favola di una donna che è al pari alienata dalla propria sessualità e dal proprio cervello – dalla propria personalità per come è strutturata dalla civiltà in cui vive. Quando Ela sperimenta le spinte sessuali, avverte che la sua identità svanisce, che non riesce più a pensare a se stessa e che il corpo diviene incontrollabile. Avverte tutto ciò non perché sia effettivo, ma per le scosse mentali che l’eccitazione le produce. E’ l’intera tradizione giudeo-cristiana ad avere separato mente e corpo, spirito e carne. L’intero libro rappresenta il tentativo di riunire queste due componenti separate, affinché si comprendano reciprocamente.
Che cos’è il sesso per te?
Il sesso è ribellione. Non è ribellione in prima istanza. In prima istanza è un enorme piacere. E’ l’enorme piacere di diventare l’altro, di essere Dio. E’ la possibilità di non essere più questa piccola me stessa che sono. Concepisco l’amore come sesso. Non concepisco l’amore, quello romantico, come qualcosa di estraneo al sesso. Soltanto durante l’atto sessuale, o quel qualcosa che prende luogo al culmine del sesso, è possibile stabilire un incontro autentico, al di là dei limiti imposti dalla società che cerca di perpetuare la sua artificiosa stabilità e i suoi calori. E nondimeno penso sia estremamente difficile scrivere del sesso, perché nel momento in cui ne scrivi esso non è già più un pericolo o una rivolta.