di Alessandro Morera
[Leo Chiosso, paroliere, autore televisivo e cinematografico, scrittore e poeta, è morto il 25 novembre 2006, senza troppe commemorazioni. Se il suo romanzo Kuore è da tempo fuori commercio, Mondadori ha da poco pubblicato il libro Fred Buscaglione. I giorni di Fred (2007, pp. 124 con Dvd, € 19,00). Chiosso appartiene di diritto, a suo modo, alla storia del genere noir in Italia. Morera ne individua un inedito versante politico.] (V.E.)
Il ’77 italiano per me, che all’epoca avevo 5 anni, lo vissi postumo di un lustro (nel 1982) poiché fu in quell’anno che iniziai ad avere una consapevolezza degli eventi storici e sociali che segnavano un’epoca. L’ ’82 fu l’anno del massacro di massacro di Sabra e Shatila, della morte di Gilles Villeneuve e di Breznev, della vittoria ai mondiali di calcio in Spagna, ma per me fu anche l’anno che mi fece (ri)vivere il ’77 e il suo vero spirito, uno spirito non necessariamente violento (come si tende a enfatizzare a sproposito di quell’anno, attraverso le tante, sicuramente troppe, parole spese in pubblico), anzi tutt’altro: uno spirito creativo gioioso, fantasioso e soprattutto impregnato di una tensione verso una libertà di sperimentazione nei campi socio-culturali e artistici ancor più evoluta di quella emersa nel fatidico ’68.
Ecco per me, bambino di 10 anni, per niente attratto dalla poesia, dalla letteratura e dall’insegnamento scolastico, lo spirito del ’77 si tradusse nel primo, grande innamoramento per la lettura. Fu grazie a un libro trafugato a casa, il cui scrittore è morto esattamente un anno fa: uno scrittore che era il paroliere e il miglior amico di Fred Buscagliene (Che bambola!, Eri piccola, Noi duri, Porfirio Villarosa, oltre anche a Parole, parole, parole di Mina, le ha scritte lui), collaboratore di Dario Fo a “Chi l’ha vista” e al censuratissimo “Canzonissima”, giornalista a La Stampa e a Paese Sera, autore teatrale e occasionalmente anche sceneggiatore cinematografico, il torinese Leo Chiosso fu l’autore del meraviglioso libro che mi schiuse le porte della passione per la letteratura (oltre che farmi arrivare l’onda dell’essenza creativa del ’77). Riporto di seguito la premessa dell’autore stesso alla prima edizione del libro, del giugno del 1977:
Kuore. Una molotov per De Amicis di Leo Chiosso (AMZ Editrice, giugno 1977).
Tre anni orsono, come collaboratore de La Stampa di Torino, proposi e pubblicai per l’edizione serale di quel quotidiano i primi diciotto capitoli di questo aggiornamento, in una rubrica redatta insieme con Gustavo Palazzo, il quale, a quei tempi mi era prezioso compagno nell’usuale attività di autore televisivo e teatrale. Successivamente, separati i nostri interessi di lavoro per comune intesa, mi incaricai di portare a termine l’opera, scrivendone gli ottantanove tra capitoli, racconti, postille che ancora mancavano per il suo completamento. Cosa che ho fatto con entusiasmo anche se, come spesso accade, posso ipotizzare che verrà magari il giorno in cui dovrò pentirmene. Ad ogni modo, come vien facile dire aggiornando un vecchio adagio, “Cosa fatta, torto ha” e questo torto, se proprio ci dovesse essere, me lo accollo tutto personalmente, premettendo qui appresso le ragioni che mi hanno spinto a ricercarlo con un’incoscienza forse non più consona alla mia età.
Il titolo della rubrica apparso allora sul giornale era Quore perché a quei tempi io pensavo che una Q fosse sufficiente a corazzare il nostro massimo organo vitale contro i mali che ci affliggono quotidianamente in questa gara di sopravvivenza che è diventata la vita. Ma oggi la Q di quaresima, di quarantotto e di quiproquo mi pare troppo morbida per opporsi validamente agli “strali delle avverse fortune nostre”.
Meglio, non v’ha dubbio, la durissima Kappa in uso da un po’ di tempo a questa parte per stabilire un certo modo d’esser violenti o quanto meno dritti, la famosa K di Americano, di Lockeed, di Skandalo, di Kossiga, eccetera, eccetera.
Ed ecco che il “Cuore” diventa “Kuore”, perché oggi, per galleggiare, è necessario un cuore più duro. E’ notizia di ieri: qualcuno ha scritto che il popolare De Amicis è crudele, ai limiti del sadismo e più adatto agli adulti che ai bambini. Irriverenza per irriverenza, ho deciso di rivederne i contenuti alla luce dell’odierna involuzione della specie.
Intendiamoci, a noi di una certa età il vecchio Cuore può anche star bene cosi com’è, come lo abbiamo letto da ragazzi, con tutti i suoi personaggi dolenti e i suoi paternalismi che, in fondo, non ci hanno guastato nella crescita. D’altra parte, una revisione ambientale mi pare più che utile doverosa, in quanto oggi viviamo, anzi, sopravviviamo in pieno sistema consumistico, forse non più immersi in una guerra fredda, ma certamente soffocati da una pace calda. Noi respiriamo smog, metabolizziamo anidride solforica, ci imbrattiamo il mare di nafta per avere poi la gioia di smacchiarci nei fiumi gonfi di detersivi e via inquinando.
Cosi chiediamo scusa a Edmondo De Amicis e dopo aver mangiato il nostro pane quotidiano di gesso, il pollo all’estrogeno, il pesce al mercurio fritto nel burro “ultimo tango”, e bevuto una spremuta di arancia meccanica, pensiamo sia venuto il momento di sbagliare sul filo di un sorriso riscrivendo il “Kuore” che ci meritiamo, quello appunto con la K.