di Daniela Bandini
Massimo Polidoro, Il passato è una bestia feroce, Piemme, 2015, pp. 428, € 17,90.
“… E tanto il tempo passa e passerai – come sai tu in bilico e intanto – il tempo passa e tu non passi mai” Estate, Negramaro.
Un mio carissimo amico ha la temerità di affermare che la nostalgia funziona come un elastico: più cerchi di allontanarti da essa, più velocemente ti riporta al punto di partenza. Più cerchi di negare quel sentore di pulizia o repulsa che emana il ricordo, sia esso un desiderio inespresso o un trauma vissuto, più cercherai di ricongiungerti a esso, sia che ciò implichi appagamento o annientamento. Più cerchi di svincolarti dal trauma più ti si avvinghia, inibendoti la lucidità del presente e la visione delle incognite del futuro. Un trauma è un ridicolo burattino caricato a batterie inesauribili che ripercorre le stesse mimiche, e solo l’illuso spera di modificarne i movimenti, perché l’unica via è estrarre dai poli il positivo e il negativo. E fermarlo.
E’ quello che succede a Bruno Jordan, giornalista quarantenne di cronaca della rivista Krimen, quando il classico fulmine a ciel sereno si materializza con una lettera ricevuta. Una calligrafia tondeggiante, adolescenziale, carta colorata rosa, cuoricini sulle “i”, datata 11 luglio 1982. L’indirizzo è quello della sua prima residenza, la casa dove abitava coi genitori, chi scrive una ragazzina di 13 anni di allora, una ragazzina scomparsa nel nulla oltre trent’anni prima. Una premessa, prima di entrare nel cuore del romanzo. Questo è un thriller, un thriller vero, scene di inseguimenti, fughe e suspense ragionate, se cadi da un balcone la traiettoria é quella, ma con la ricercatezza linguistica e la delicatezza psicologica di un grande autore. Chi sa parlare cosí bene delle donne e le fa parlare così bene, con intelligenza e sensibilità, deve conoscerle, amarle e rispettarle profondamente.
La ragazza scomparsa ha un nome, Monica Ferrari di Verazzano. Quasi una fidanzatina per Bruno. Va bene, ma perché adesso ripiombare nei ricordi e scavare nel passato più doloroso? Chi gli manda quella lettera, perché ora, cosa vuole riportare a galla? C’entra la professione? L’estate del 1982, i Mondiali di calcio in Spagna, Pertini che gioca a carte con Bearzot, il dopoguerra finito per davvero.
Non è stato un incidente, è ovvio. Stiamo parlando di un grande romanzo di oltre 400 pagine, e solo nelle ultime c’è questo profilo, quello dell’assassino. “Il bambino crebbe in una atmosfera bigotta e opprimente, che non lasciava spazio a svaghi…. Fu sorpreso dalla nonna mentre di nascosto mostrava i genitali a una compagna di scuola. Un gioco innocente, ma la reazione dei nonni tu spropositata, lo spogliarono nudo e lo costrinsero ad attraversare tutto il paese con un cartello appeso al collo che diceva: “GUARDATEMI SONO UNA BESTIA”.
“Furono i vigili a riportare a casa il bambino, ormai cianotico per il pianto e quasi assiderato dal freddo”, peccato che i compagni di classe, vedendolo, lo deridessero senza pietà. Sia chiaro, i tempi odierni potranno avere innumerevoli difetti, ma basta guardare questi scorci del passato, cronache vere o tratte da fatti realmente accaduti, per non avere nessun rimpianto..
Il ritratto del killer è questo, la psiche è quella di un essere profondamente scisso, le ipotesi più terribili, i più avvincenti colpi di scena sono semplicemente da scoprire. Se il linguaggio, le frasi e gli scenari sono quelli degli Ottanta, sarebbe ingiusto non rimarcare una ricerca puntigliosa dei particolari, i Duran Duran, il mito dei Fantastici Quattro, i ragazzi che ancora sputano per terra come un gesto di virilità, Loredana Berté, l’ambientazione dei bar, con i tavolini, il biliardo e il flipper delle periferie di Milano.
Il protagonista svincola il passato e lo affronta di petto, infangandosi rovinosamente. Non ci sono sconti per il cronista. Affrontate il passato e una intera valanga di vissuti altrui, con le loro scelte, i loro limiti e le loro ambizioni si riverserà impietosamente, come trattenuto da una diga, su chiunque osi scoperchiare tante miserie umane. Perché alla fine di questo si tratta: miserie umane, fragili, ingiuste, false, che generano orrori umani solo per guadagnarsi un posto, anche un posticino nel mondo.
E c’è l’amore, quello che quando è passato è passato e lo si riscatta solo per sottrarlo all’oblio, e c’è l’amore di una mamma, quella di Monica, il sentimento vero che non conosce tregua, che non ha tentennamenti né fragilità, che si ripete ogni singolo giorno. Che è quando si rassettano le coperte e si cambiano le lenzuola, quando si spazza e si toglie la polvere da una cameretta che un giorno o l’altro tornerà a essere abitata, anche se nessuno oltre te ci crede. Dove un giorno Monica, nella sua povera mente, spacchetterà tutti e diciassette i regali di compleanno che sua mamma le ha allineato lì, nella sua cameretta.