di Diego Leandro Genna
Non piove più. Ha smesso da poco. Siamo bagnati fradici e fa tanto freddo. Tutti si stringono tra loro, si abbracciano, piangono. Le lacrime si confondono con la pioggia. Però io so che piangono, sento i loro lamenti. La mia sorellina, da quando siamo saliti quassù, non si è mai staccata dalle braccia di mia madre seduta per terra, ha pianto tanto anche lei, forse adesso si sarà addormentata. Ho freddo. Papà è in piedi, vomita. Sono in tanti a stare male, alcuni, come lui, si sporgono dal bordo, altri non ce la fanno nemmeno a stare in piedi e vomitano sul posto, per terra, un vero schifo! Forse soffrono questo continuo dondolare, o hanno paura, forse anche mio padre è spaventato. No, non può essere così, è stato lui a ripetermi tante volte che non devo preoccuparmi, che tutto andrà bene, e che presto saremo in un posto bello, dove ci sono tante cose buone da mangiare, e che starò insieme ad altri bambini come me che giocano felici. Però adesso non c’è nessuno con cui giocare e non mi sento bene. Sono triste. Vorrei alzarmi e andare da mio padre, stringergli la gamba, chiedergli come si sente, quando arriveremo… Però rimango dove sono, accanto a mia madre e mia sorella, non vado a chiedergli come sta e perché vomita, non voglio avvicinarmi al bordo, ho paura di vedere il mostro. Sono due giorni che non mangiamo nulla però mi è passata la fame con tutto questo vomitarmi intorno. Anche mamma non sta bene, lo vedo nel suo volto, sembra soffrire, però in silenzio. La capisco, e pure io me ne sto zitto. Mi guardo intorno e vedo tante persone infreddolite, come me, rannicchiate per terra, avvolte nei panni bagnati, alcune facce le riconosco perché hanno fatto il viaggio insieme a noi, e c’è pure una famiglia del nostro villaggio, ma senza bambini. Però ci sono tanti altri che non ho mai visto prima, alcuni con il colore della pelle uguale al nostro, altri invece sono più scuri, quasi neri, come questa notte, come il mostro laggiù. Riesco a vedere soltanto i loro occhi luccicare, bianchi, rotondi, biglie color latte che si muovono nel buio. Fa paura anche questo, ma ho promesso a mio padre che sarò forte e coraggioso. Però non mi affaccio a vedere il mostro. E’ tremendo, non ho visto mai una cosa così spaventosa, così grande e grosso, non sta mai fermo, i suoi movimenti ricordano quelli di un animale che vuole liberarsi da una stretta. Un animale arrabbiato che fa strani versi, e sbuffa. La sua pelle è lucida e scura allo stesso tempo, con tante rughe e piaghe, e poi ci sono quelle bocche, tante, che si spalancano sotto di noi e sembra che vengono a mangiarci e hanno lunghe file di denti bianchi e schiumosi che per fortuna quando sono troppo vicini si frantumano contro la cosa su cui viaggiamo, con dei rumori mostruosi che mi entrano dentro e li sento nella pancia. E’ qualcosa di terribile.
Ha ripreso a piovere, anche peggio di prima, adesso non si vede più nulla e non si sentono i lamenti delle persone intorno a me. Però quelli del mostro si sentono, perché lui è enorme, forse più grande del cielo. Mi avvicino a mia madre per poggiare la testa sul suo fianco, Dormi, mi dice con la voce che trema. Come si fa a dormire con questo freddo e con la pioggia che ci bagna? Chiudo gli occhi. Ancora penso a quando ci hanno spinto su questa cosa di legno smangiucchiato che ci sta portando lontano da casa. Quando il mostro ci ha preso. C’erano degli uomini cattivi che urlavano e dicevano parolacce, con i fucili in mano. Eravamo tutti riuniti in un magazzino dal tetto altissimo, e continuava ad arrivare gente, e mio padre mi diceva di stare vicino a lui e mamma e di tenere mia sorella per mano. Quel posto era sporco e puzzava di tante cose, di pipì, di bruciato, ma soprattutto di sudore… Io volevo scappare via, ma dovevamo aspettare, e mio padre si vedeva che voleva andare via anche lui perché era nervoso, non stava un attimo fermo e fumava una sigaretta dietro l’altra. Dopo tanto tempo, quando ero stanco e avevo sonno e fame, ci hanno fatto mettere tutti in fila e siamo usciti che era già buio. Poi, uno per uno, ci hanno fatto salire qui, a spintoni. Io non capivo. Papà mi ha preso in braccio, e mi ha messo accanto a mamma, e stavamo stretti, eravamo in troppi e saliva ancora gente. E c’erano anche quei due che sono saliti per ultimi ma che si sono nascosti subito lassù, in quella torretta con le finestrelle sopra la mia testa, e sono ancora lì dentro, al chiuso, al caldo e all’asciutto, e non si fanno vedere, ma forse è meglio così, non mi piacciono le loro facce, giovani ma con il viso consumato, si capisce subito che sono cattivi. Prima di partire hanno salutato gli altri, quelli con i fucili, che sono rimasti a terra, e hanno risposto chiamando i due tipi “nostromo” e qualcos’altro… Parole che io non conosco. Siamo partiti che era già notte, le luci della città si vedevano lontane e dopo un po’ non si è visto più niente, solo il buio della notte e il nero mostro tutto intorno a noi, gigantesco. Sembra passato un sacco di tempo e il giorno non vuole arrivare. Ormai non ricordo più da quando siamo partiti. Il viaggio, prima di arrivare qua, è stato lunghissimo, e il deserto non finiva mai. Quando abbiamo lasciato il nostro villaggio e la nostra casa, i miei cugini piangevano e volevano venire con noi, io, al contrario, volevo restare. Papà aveva ammazzato la capra il giorno della partenza e abbiamo mangiato tutti insieme, intorno al fuoco, e poi io e i miei cugini siamo andati a giocare con la palla, fino a sera, e c’era pure una luna bellissima.
Adesso il cielo è tutto coperto e non si vede una luce. La pioggia è fortissima. E anche il vento. Sono zuppo. Ho tanto freddo. Mi avvicino al corpo di mia madre. Chiudo gli occhi, cerco di pensare al mio letto, a qualcosa di caldo. Il vestito di mamma è completamente bagnato. Riapro gli occhi. Mi guardo intorno ma vedo solo pezzi di vestiti svolazzare per il vento, sotto la pioggia. Poi un lampo lontano illumina la pelle del mostro, una distesa che brilla di rabbia. Richiudo gli occhi per non vederlo. Quando arriva il tuono, dopo pochi secondi, trema tutto, un rumore altissimo e terribile. Stringo forte il braccio di mia madre. Mia sorella si sveglia e scoppia a piangere. Apro gli occhi, la pioggia mi prende a schiaffi. Schiaffi d’acqua. Arriva mio padre, barcollando, poggia le mani contro la parete alle nostre spalle e con la testa abbassata dice che le condizioni peggiorano. Quali condizioni? Di chi? Di che cosa? Come stai papà, vorrei chiedergli, ma ho paura, paura della sua paura, non ho mai sentito la sua voce così: Le condizioni peggiorano. Che cosa vuole dire? Mamma non risponde. Abbassa la testa gocciolante sulla mia sorellina. Altri lampi e altri tuoni. Sento il cielo crollare, spaccarsi sopra le nostre teste. Tremo. Mio padre si allontana di nuovo. Torna a vomitare forse. E’ solo a pochi passi da me ma con questa pioggia quasi non riesco a vederlo. Mi guardo ancora intorno, cercando di non andare con lo sguardo oltre il bordo per non vedere il mostro sotto le luci dei lampi. Non so che fare. Piangere?
Dall’oscurità, dalla schiena del mostro si vede spuntare una piccola lucina verde, poi una rossa e una bianca, forse mi sbaglio ma sembrano proprio delle luci e si avvicinano. Che cosa sarà?
I due uomini che stavano nascosti nella torretta sbucano fuori e srotolano qualcosa sul bordo da dove vomita mio padre. Le luci adesso sono vicinissime, sembra una cosa simile a quella dove siamo noi, però più bassa e più piccola. Si alza un vociare dalle persone intorno a me che si sono accorte della scena, qualcuno urla Perché?, qualche altro Non potete…
Mio padre cerca di afferrare uno dei due, gli grida qualcosa, è disperato. Quello si libera con uno spintone. Lascialo andare, penso: e se quei due cattivi ti fanno del male? Lasciali andare papà! I due uomini saltano giù e scompaiono oltre il bordo. Per fortuna sono andati via! La cosa con le luci si allontana e sparisce inghiottita dalla pioggia, dal buio e, sicuramente, dal mostro. Peggio per loro. Tutti però sembrano più agitati. Che cosa sta succedendo? Perché mamma e papà mi hanno portato qui? Dove arriveremo? Perché il mostro è così arrabbiato con noi? Che cosa abbiamo fatto di male?
La sua rabbia fa rumore e aumenta, è come una bestia feroce e crudele che ci vuole mangiare. Ora tutto si muove e traballa, sempre di più, sempre peggio, forse mio padre intendeva questo quando è venuto a dire che “le condizioni peggiorano”… Io e mamma ci muoviamo avanti e indietro, e di lato, e saltiamo da terra, come tutti. Faccio fatica a stare accanto a lei, la sento che mi dice Tieniti forte, poi che urla Aggrappati a me! Qualcuno ci casca addosso, sbatte la testa per terra, c’è una gran confusione, il mostro sembra impazzito, ho paura, è ancora più infuriato e ci sballottola in ogni direzione, è spietato, tutti urlano, piangono e non si capisce più niente, chi sbatte di qua e chi casca di là, chi tira, chi spinge… Papà, papà, dove sei?
Vorrei raggiungerlo, stringermi a lui, ma come faccio in mezzo a questa mischia, non posso, la pioggia è fortissima, tanta, troppa, non riesco a vedere nulla, mi colpisce in faccia, è pesante, sembra arrivare da tutte le parti e sento in bocca un sapore strano, diverso, un sapore salato.
Forse è la fine. Saremo inghiottiti. Nessuno di noi riuscirà a salvarsi dalla furia di questo mostro che tutti chiamano bahr.