di Rebus

Volonte.jpgDi una cosa non è possibile lamentarsi: non possiamo dire di non essere stati avvertiti. La censura è arrivata sull’Internet italiana sì ammantata di buoni propositi, ma comunque ampiamente annunciata. Forse però non proprio col suo vero nome…

In principio era la legge Finanziaria 2006

Quasi in sordina, con la legge Finanziaria del 2006 passa una proposta che in realtà è a dir poco rivoluzionaria: la possibilità di inibire ai naviganti italiani l’accesso verso siti esteri che non rispettano nostre normative. Alla faccia dei maligni che sostengono l’arretratezza informatica del nostro Paese, un simile strumento ha pochi eguali al mondo e ci lancia dunque nel (sempre meno) ristretto empireo dei paesi tecnologicamente più all’avanguardia sul fronte della censura, come Cina, Iran ed Arabia Saudita. Che guarda caso non brillano per democrazia, ma son comunque soddisfazioni.

Dicevamo della Finanziaria. Il problema, evidentemente molto più serio di quanto percepito dal comune cittadino, è rappresentato da alcuni siti di scommesse: esistono siti stranieri che, in quanto tali, non ritengono di dover essere soggetti alle leggi italiane. La cosa non va giù ai Monopoli di Stato, che vedono da lontano una ghiotta fetta di proventi, derivanti dalle concessioni, sui quali non riescono a mettere le mani. E serve a poco lamentarsi: al di fuori della nostra giurisdizione non arrivano né sanzioni né sequestri, e nemmeno l’Unione Europea, forse in virtù di un antipatriottico principio di libera circolazione dei servizi tra gli stati membri, sembra voler intervenire.
E così, non potendo raggiungere i gonfi e beffardi portafogli stranieri, il Governo italiano escogita un astuto piano: obbligare tutti gli Internet Service Provider del suolo patrio a dotarsi di strumenti idonei per impedire a tutti i loro utenti di accedere a questi siti. E’ stato a questo punto che la libertà dei cittadini è stata compromessa? Può sembrare poca cosa l’inibizione di alcuni siti esteri di scommesse, ma di fatto questo provvedimento è stato come la posa della prima pietra.

Il Decreto Gentiloni

Dopo circa un anno di rodaggio, arriviamo al Decreto Gentiloni. Questa volta nel mirino sono i più odiosi e odiati nemici della società. No, non i politici corrotti, ma i pedofili. Categoria quanto mai indifendibile, nel nome della sacrosanta lotta al suo proliferare viene deciso di dare battaglia anche ai siti pedopornografici che, trovandosi all’estero, sono sempre stati al riparo dai provvedimenti giudiziari e dai sequestri dell’Autorità italiana. Ma come fare, se sono così irraggiungibili? Ovviamente ricorrendo ai filtri censori. Che non intaccano minimamente l’esistenza del sito, ma soltanto ne impediscono la visione dall’Italia. Occhio non vede, cuore non duole. L’idea non sarebbe nemmeno infruttuosa, considerando che un simile blocco avrebbe quantomeno l’effetto di limitare il bacino d’utenza di tali siti, ostacolandone così i commerci e producendo loro per lo meno un mancato guadagno (proprio come nel caso dei malvagi broker). Peccato però che, come vedremo tra poco, i filtri sono tristemente inefficaci: bloccano talvolta l’utente medio e il visitatore occasionale, ma non fermeranno mai in nessun caso un soggetto motivato come può essere un vero pedofilo. Chi ha la deliberata intenzione di accedere ad un sito tra quelli bloccati, lo farà comunque, e anzi sarà ora quasi costretto a farlo utilizzando strumenti che gli garantiscono, tra l’altro, un anonimato particolarmente robusto.

Come funzionano i filtri

Dal punto di vista tecnico è un problema non da poco, e a risolverlo non bastano certo poche righe di legge incerte e fumose. I tecnici si son trovati una bella gatta da pelare: la legge impone un certo risultato, incurante della possibilità reale di un suo raggiungimento pratico, senza fornire indicazioni circa l’attuazione. E infatti i filtri che vengono approntati non sono granché efficaci.
Nel caso dei Monopoli di Stato, esiste una lista pubblica dei siti censurati, consultabile sul sito Internet di AAMS. Questa stessa lista viene utilizzata dai provider per “riprogrammare” i propri server DNS.
DNS è un servizio basilare di Internet: la sua funzione è quella di tradurre l’indirizzo di una macchina da una forma letterale, come www.carmillaonline.com, in un formato utilizzabile dai computer, ovvero un indirizzo IP come 66.98.220.57. E’ un’operazione che viene svolta silenziosamente dai nostri computer ogni volta che tentiamo di visitare un sito, appoggiandosi a dei server DNS che sono solitamente quelli del proprio Internet Service Provider.
In questo modo, chi amministra il server DNS può decidere di inibire l’accesso a un sito semplicemente “rifiutandosi” di rispondere correttamente alle richieste degli utenti relative a quel sito.
Quello che però sfugge alle maglie dal sistema è che gli utenti non sono costretti a utilizzare esclusivamente i server DNS messi a disposizione del proprio provider. Basta così configurare il proprio PC perché interroghi in automatico un server DNS ubicato all’estero per eludere completamente i controlli imposti dalle leggi italiane.
Il decreto Gentiloni prevede dunque un ulteriore accorgimento tecnico per rendere la censura più efficiente: oltre al blocco del nome di dominio tramite DNS, ai provider può essere richiesto di bloccare tutti i tentativi di accesso verso un determinato indirizzo IP. In questo modo, anche se la risoluzione viene effettuata con un DNS straniero, il sito sarà comunque irraggiungibile. Anche questo accorgimento, come vedremo, è insufficiente e comunque aggirabile, anche da chi ha scarse competenze tecniche.

Chi decide cosa censurare?

Questione quanto mai importante sarebbe sapere chi censura cosa, e perchè. Nel caso dei casinò on line, è l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato ad indicare quali sono i siti esteri che si ostinano a non corrispondere le italiche gabelle e che meritano quindi di essere danneggiati.
Nel caso dei siti pedopornografici, invece, l’attività dovrebbe essere demandata al Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia, un ufficio di Polizia istituito già nel 1998 e investito ora di questo compito dal già citato decreto Gentiloni.
La black list compilata dal Centro non è pubblica come quella di AAMS, per ovvi motivi, ma viene comunicata in forma strettamente riservata solo agli operatori preposti dei singoli provider. Tuttavia questa gestione poco trasparente, pur se ragionevolmente motivata, lascia spazio e numerosi interrogativi, a cui il cittadino non riesce a trovare risposta tra le righe dei decreti. Per esempio: chi valuta se le immagini contenute in un sito ritraggono soggetti minorenni oppure no? E questa decisione è soggetta a revisione? Chi controlla i controllori? Com’è possibile accertare che non vengano commessi abusi? Non è per malfidenza, è che il problema da teorico è già diventato di attualità.

Casistica degli abusi verificati

Per i motivi appena esposti, è difficile evidenziare se e quando sia stato commesso un abuso inserendo siti in black list al di fuori dei casi previsti per legge, tuttavia alcuni casi sono trapelati.
La prima vittima di cui si è avuta notizia è stata un popolare sito di escort. L’attività che svolge il sito non è legale in Italia (si tratta come minimo di favoreggiamento alla prostituzione, se non addirittura di sfruttamento), però viene svolta dall’estero e soprattutto non ha nulla a che vedere con la pedopornografia. Tant’è che all’inizio era forte il dubbio che si trattasse di una bufala e che la mancata risoluzione da parte dei DNS fosse dovuta a problemi tecnici, eppure, dalle numerose conferme, sembrerebbe non sia così… Non c’è ovviamente modo di sapere ufficialmente se il sito sia stato incluso nella black list del Centro, da chi e perché, ma non sembrano esserci altre spiegazioni alla sua improvvisa sparizione dai DNS italiani. Il sito comunque è vivo e vegeto, e come tutta risposta si è duplicato, con gli stessi contenuti, su un nuovo nome di dominio non ancora filtrato.
Poi è stata la volta di un paio di siti che pubblicano, anche in italiano, articoli a sostegno ideologico della pedofilia. In questo caso ci sarebbe poco da protestare riguardo alla censura: nessuno sano di mente potrebbe dispiacersi della sparizione dalla Rete di tesi così aberranti e al limite dell’istigazione. Però anche qui qualcosina non torna: i siti non ospitano materiale pornografico, quindi non rientrano nei casi censurabili per legge, eppure son finiti lo stesso in black list. Non che dispiaccia per loro, che non meritano alcun tipo di solidarietà per la loro infamia, tuttavia è preoccupante assistere a un’inconfutabile applicazione abusiva dei filtri censori. Sarebbe stato meglio prevedere per legge la facoltà di oscurare anche questi siti, anziché estendere arbitrariamente l’applicabilità dei filtri oltre i limiti della legge attuale. Chi ha deciso per questa applicabilità? Funzionari del Centro? Il governo? L’oscuramento era stato richiesto a gran voce da una campagna mediatica nazionale che ha raccolto oltre 50.000 firme. E’ dunque stata questa (peraltro modesta) vox populi a decretare cosa andava censurato? Siamo comunque sul limitare di quell’argomento assi spinoso che sono i reati di opinione.

A pensar male si fa peccato, però…

…spesso si indovina. E infatti certi malfidenti paventavano la possibilità che i filtri, una volta implementati per la causa contro la pedofilia, sarebbero stati usati a sproposito anche in altri ambiti, per esempio per limitare le libertà digitali o reprimere il dissenso. Impossibile in uno stato democratico! Ma possibile in Italia.
Nei giorni scorsi il sito MolleIndustria.org pubblica uno dei suoi geniali e dissacranti giochi satirici, dal nome “Operazione: pretofilia”, che prende di mira le infami politiche protettive attuate dal Vaticano nei confronti dei preti accusati di pedofilia. Lo scopo del gioco, evidente a chiunque lo abbia provato, non è certo la giustificazione o l’istigazione della pedofilia, ma al contrario la denuncia dei comportamenti violenti, intimidatori o omertosi troppo spesso tenuti dagli adulti in queste circostanze. L’accusa è forte, e anche se non dice nulla che non si sappia già, dà fastidio agli interessati.
Ecco dunque che un deputato della Repubblica, indegno del proprio ruolo, arriva a chiedere “al Governo” di oscurare il sito della MolleIndustria, con argomentazioni del tutto imbecilli e, nella migliore delle ipotesi, false. E’ il capogruppo alla Camera dell’UDC, Luca Volontè, a ritenere Operazione Pretofilia un gioco “provocatorio e offensivo”, che deve essere messo a tacere in quanto rappresenta l’“ennesimo attacco alle istituzioni religiose e alla fede cristiana”. Non solo: prosegue il parlamentare chiedendo che “il Governo provveda con urgenza a oscurare il sito che consente di scaricare Operazione pretofilia, gioco-flash scaricabile da Internet che riproduce la simulazione di stupri su bambini, da parte di preti, non ostacolati da genitori intimiditi e omertosi”. Non sia mai che si possa sostenere una simile visione dei fatti del mondo!
Ancor più ridicolo il fatto che Volontè si appelli alla legge in contrasto alla pedopornografia virtuale. “Benché virtuali — sostiene — la riproduzione e la divulgazione di scene che riproducono eventi così abominevoli sono vietate”. Questo, come ben sa chiunque abbia un minimo di competenze in materia o che per lo meno sappia leggere, non è assolutamente vero. La legge che Volontè dimostra così palesemente di non conoscere punisce l’uso di immagini virtuali “la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali”. Ora tutto si può dire, tranne che la grafica del gioco sia così realistica da apparire vera: si tratta un grumo di pochi pixel che nemmeno nelle più sfrenate fantasie potrebbero somigliare a qualsiasi cosa di reale.
Però quel che i pixel raccontano dà molto fastidio, non perché falso, ma proprio perché tristemente confermato.

Reazione e contromisure

I gestori di MolleIndustria non hanno atteso che le minacce dei filo censori trovassero consenso e attuazione: anche per evitare ripercussioni sul proprio provider, hanno autonomamente rimosso il gioco dal proprio sito, come spiegato in un loro comunicato, in attesa di poter trasferire l’hosting in un paese più libero del nostro.
La risposta della Rete non è comunque tardata: non solo il gioco è sfuggito alla ventilata censura trovando ospitalità in numerosi altri siti in tutto il mondo e nelle reti di file sharing, non solo ha potuto godere di un’incrementata popolarità a cui, lasciato a sé stesso, non avrebbe osato ambire, ma è stato addirittura pubblicato sul meraviglioso nuovo sito www.lucavolonte.eu, sberleffo finale all’idiozia filorepressiva. Visitatelo finché dura: la satira, di questi tempi, non è ancora illegale sulla carta, ma nei fatti viene sovente trattata come se lo fosse.
Ad ogni buon conto, e in previsione di ulteriori nuovi abusi, giova ricordare che i filtri sui DNS si eludono semplicemente configurando il proprio PC per appoggiarsi a DNS stranieri (per esempio www.opendns.org). Le informazioni per farlo sono a disposizione di chiunque, bastano pochi secondi di interrogazione su qualunque motore di ricerca.
I filtri sugli IP, invece, rendono necessario per il loro aggiramento il ricorso a proxy o l’utilizzo di darknet, come www.tor.org. Le prestazioni che si ottengono non sono le migliori, ma consentono comunque di esercitare il proprio diritto.
Per inciso, e casomai qualcuno avesse dei dubbi a riguardo, eludere i filtri censori imposti ai provider italiani non è illegale. Non esiste infatti nessuna norma che vieti agli utenti l’uso di queste tecniche, che proibisca di visitare qualsivoglia sito o che imponga l’uso di un servizio DNS invece di un altro. Gli unici obblighi previsti, con le relative sanzioni, sono in capo ai provider, non ai loro utenti.