di Nevio Galeati
Gli arcivescovi difficilmente cambiano la propria visione del mondo; e questo può essere nell’ordine delle cose. Negli ultimi tempi però trovano sponde elastiche per le proprie carambole moralizzatrici in sindaci eletti dal centrosinistra e in autorevoli personaggi che amano definirsi laici. Senza cercarle, senza invocarle; così, ‘a gratis’.
L’esempio più noto è di appena qualche giorno fa ed è capitato a Bologna. Putiferio di proteste e vesti strappate per una mostra che doveva inaugurare il 29 giugno all’interno di vicolo Bolognetti, nel quartiere San Vitale. Mostra di illustrazioni a tema queer (il termine inglese significa ‘strano’, ma è divenuto quasi sinonimo di identità di genere non eterosessuale), era stata presentata al Forte Prenestino di Roma con il titolo La Madonna Piange Sperma; senza alcun clamore. Poi al momento di trasferire l’esposizione a Bologna, gli organizzatori, l’associazione CarniScelte, “proprio per evitare polemiche” (si legge nel loro sito) hanno deciso di cambiarlo in La violenza è cugina della trasgressione.
Tutto a posto, dunque? Neppure per idea. “Quando la notizia è trapelata — annota sul ‘il Manifesto’ del 23 giugno Franco Berardi Bifo — la curia bolognese ha sollevato scandalizzate proteste”. Non solo, l’arcivescovo Carlo Caffarra il 26 giugno ha presieduto una messa per invitare la comunità a raccogliersi “in una preghiera di riparazione per gli oltraggi di cui è stata recentemente oggetto la Vergine Maria Madre di Dio”. La nota della curia era stata riportata con enfasi il 19 giugno dal dorso bolognese del ‘Corriere della Sera’, che per altro trasformava la mostra in uno spettacolo o performance, naturalmente blasfema.
Routine, niente di più che normale routine per la chiesa di Papa Benedetto XVI (che assomiglia sempre di più a quello inventato da Herbie Brennan nel racconto Il dilemma di Benedetto XVI, di cui Carmilla ha già parlato). La censura della chiesa ha infatti radici lontanissime; senza risalire ai ‘libri proibiti’ e mai trascritti dagli amanuensi, iniziò a colpire il materiale a stampa già nella seconda metà del XV secolo. E dire che il povero Gutemberg aveva ‘inventato’ il nuovo prodigio tecnologico appena nel 1448. D’altra parte la Controriforma infilò mutandoni e vestiti al Giudizio universale di Michelangelo, scalpellinando anche personaggi e posture che potevano sembrare ‘indecenti’. Routine, appunto.
L’eccezionale arriva dall’adesione che la levata di scudi (crociati ma non solo) ha trovato inaspettatamente (‘inaspettatamente’? Forse no). Il sindaco Sergio Cofferati, “raffinato intellettuale” (dice sempre Bifo), appassionato d’opera lirica e di Tex Willer (il fumetto, ma forse anche lo stile d’azione) ha immediatamente fatto togliere il patrocinio del Comune; l’assessore alla cultura Angelo Guglielmi (proprio il fondatore del collettivo di neoavanguardia Gruppo 63) si è profuso in scuse. Addirittura Franco Grillini, presidente di Arcigay, ha commentato come non ci sia bisogno “di fare provocazioni eccessive”. Per tacere del ministro Giovanna Melandri, con delega alle politiche giovanili e allo sport, che ha revocato immedia-subito il patrocinio. Ossignur.
A questo punto, senza esprimere alcuna valutazione sulla mostra che non si vedrà più a Bologna, vale la pena passare al secondo esempio. Ci si deve spostare alla periferia dell’impero, sull’Adriatico, nella città dei mosaici, a Ravenna. La superholding Hera allestisce nello spazio espositivo Urban Center la mostra La cacca: storia naturale dell’innominabile; è stata realizzata da Nicola Davies. Esperta di zoologia, collaboratrice della sezione di Storia naturale della BBC, ha pubblicato libri per ragazzi con la prestigiosa casa editrice inglese Walker Books. La mostra ha vinto il Premio Andersen per la divulgazione scientifica nel 2005 e in Italia analogo riconoscimento è stato conferito da Legambiente. “Senza cacca non ci sarebbe terra fertile, quindi niente alberi, niente ossigeno, niente cibo… niente vita”, spiega fra l’altro la scheda introduttiva alla mostra, specificamente pensata per i bambini. Bene. No. Perché l’Urban Center è in realtà una chiesa, dedicata a San Domenico, eretta fra la fine del tredicesimo e i primi del quattordicesimo secolo. Non vi si officia alcuna funzione da decenni, ma non è sconsacrata. Qualcuno forse ha già capito cosa sia successo. Dall’arcivescovado si è fatto sapere che la scelta del tema non era “gradita” a monsignor Giuseppe Verucchi e al suo staff (si potrà dire staff per indicare i burocrati della Chiesa?). Certo, nella città dei bizantinismi non si è arrivati alle lettere ufficiali o a funzioni religiose ‘riparatrici’.
Dagli uffici del sindaco, il diessino Fabrizio Matteucci (nominato ‘Difensore ideale dell’infanzia’ dall’Unicef), si minimizza quella che alcuni quotidiani hanno definito ‘Mini crisi fra Comune e Curia’. Ma i manifesti della mostra sono scomparsi subito dalla facciata della chiesa. Concessa al Comune, alla città quindi, perché la utilizzi per esporre i materiali del nuovo Piano regolatore e (soprattutto?) perché si occupi della manutenzione dell’edificio. E dagli stessi uffici si concorda su un fatto: meglio concordare con la curia cosa si intende esporre in quegli spazi. Per non turbare il sonno ad alcuno. Amen.
Certo, qualche differenza fra i due eventi c’è. Ma c’è anche troppa parentela. Gli arcivescovi arricciano il naso (cattivo odore?), i primi cittadini di centro sinistra portano loro salviette al profumo di eucalipto. O di violetta. Chiedono scusa. Chiedono scusa? E di che? Un’associazione culturale gay non può presentare una mostra che parla di sessualità usando il linguaggio dell’espressione artistica (riuscita o meno non conta)? Una rassegna didattica pluripremiata non può spiegare il ciclo alimentare e della vita, usando il linguaggio dei bambini (che pronunciano la parola ‘cacca’ ridendo poi a più non posso)?
Dunque la religione “va sempre trattata con riverenza, senza mai scuoterne il sentimento innato nell’uomo”; si tratta di un comma dei ‘Codici morali del fumetto’ stilati negli anni Cinquanta. Riverenza anche davanti alle sedi. Riverenza dovuta anche dai laici. Riverenza a prescindere. E’ terribile accorgersi come la logica del compromesso (celeste?) prevalga su tutto, annichilendo la possibilità di scegliere. Il collettivo CarniScelte conclude il proprio commento alla vicenda così: “La mostra La violenza è cugina della trasgressione sarà recuperata in data e luogo da definirsi, in spazi che avranno il coraggio di ospitarla”. E quella sulla cacca? Oh, già è innominabile. Anche per i centrosinistri amici di Don Camillo. Almeno Fernandel era simpatico.