di Jedel Andreetto
A volte la vita e l’opera di uno scrittore coincidono, altre volte lo scrittore scrive quel che avrebbe voluto vivere. Molto più raramente accade che un autore riesca a dare la misura della vita stessa, in termini poetici, filosofici e concreti nello stesso momento. È il caso di Jean Claude Izzo, marsigliese di padre italiano e madre francospagnola, che nella sua breve vita è stato molte cose. Bibliotecario, soldato in Africa (finito in carcere militare), poeta, giornalista, attivista del Movimento Cattolico Internazionale per la Pace, iscritto al partito socialista, militante comunista e soprattutto scrittore dilettante.
Il primo passo mosso in questa direzione risale al ’93 quando il trimestrale “Gulliver” pubblica un racconto che costituisce il punto di partenza per il primo romanzo, pubblicato anni dopo nella Série Noire di Gallimard, Casino totale, edito in Italia da e/o.
Il libro vince diversi premi e il pubblico accoglie il protagonista Fabio Montale come nuovo eroe del poliziesco, tanto da farlo diventare protagonista di un telefilm con Alain Delon mai visto sui nostri schermi. La storia potrebbe andare avanti come ogni altra che ha a che fare con i personaggi seriali, dal lineare Maigret di Siemenon al tortuoso Adamsberg della Vargas. Ma il lucido dilettantismo di Izzo lo salva dalla trappola e la trilogia di Marsiglia, di cui Casino totale è il primo tassello, si rivela unica nel suo genere. Ogni personaggio che si rispetti ha un destino e il suo creatore ha il dovere di farglielo compiere. Un dovere nei confronti del pubblico e del personaggio stesso. Montale fin dalle prime battute rivela determinazione e fragilità, irrequietezza e disillusione. È sempre in bilico tra idealismo e scetticismo. Non ha risposte, solo domande e il lettore comprende subito che presto dovrà cadere.
L’abilità stupefacente di Izzo è quella di aver costruito un storia senza eccessiva premeditazione. Ha lanciato Montale nelle spire della vita, lo ha evocato e lo ha reso umano con la sua scrittura tentennante, sempre sull’orlo del patetico o di una visione del reale troppo poetica e filosofica, una visione che un romanzo non può quasi mai permettersi.
L’asso nella manica del marsigliese è la mancanza di trucchi del mestiere preconfezionati, l’approccio libero alla materia letteraria e un pizzico di genio. Caratteristiche che lo allontanano dalla folta schiera di autori noir che si fondono e si confondono. Il noir di Izzo non ha precedenti se non quelli della tragedia greca. Non a caso nello stesso anno della scomparsa dello scrittore, la Série noire diretta dall’amico Patrick Raynal ha dato alle stampe una nuova edizione dell’Edipo re, alimentando l’annosa e inutile questione su ciò che separa la letteratura alta da quella di genere.
In Marseille, un’antologia postuma che raccoglie scritti e racconti inediti di Izzo, pubblicata da questa parti qualche mese fa con il titolo Aglio, menta e basilico, c’è un testo breve, L’azzurro e il nero, che liquida a priori ogni obiezione sollevata alla scelta di Raynal. L’Edipo re inizia più o meno così: un uomo arriva da solo in città, tutti lo guardano, al suo passaggio sbarrano porte e finestre… L’incipit è quello classico del noir e l’opera sofoclea quindi non solo rientra nella categoria ma ne è antesignana. La tragedia, scrive Aristotele nella Poetica, è imitazione di una azione nobile e compiuta, la quale per mezzo della pietà e della paura porta alla purificazione di queste passioni. Lo stesso può dirsi delle storie narrate da Jean Claude Izzo. La tragedia greca ha però anche qualcos’altro in comune con i suoi romanzi, un quid che ne è diventato marchio di fabbrica: la mediterraneità. Intesa come ultima (e primigenia) frontiera del romanzo di genere. Il Mare nostrum è lo specchio in cui si rivela il presente globalizzato attraverso una storia di millenari scambi culturali, economici e conflittuali. La Marsiglia di Izzo si confonde con la Harar di Rimbaud, l’Algeri di Camus, la Tangeri di Burroughs e con Napoli, Genova, Istanbul, Barcellona, Biblo, Atene…
Il termine noir mediterraneo, coniato ad hoc per i libri di Izzo, ha nella modernità forse un solo precursore, Lo Straniero di Camus. Laddove però Meursault, lo straniero, assomiglia in realtà a Diamantis, il protagonista di Marinai perduti (il capolavoro di Izzo), più che a Montale, in quanto l’ago della bilancia si sposta in quest’ultimo caso su un disperato senso di giustizia e sulla sensazione che il mondo sia come il Mediterraneo: abitato da splendide e terrificanti presenze. Ciò che hanno in comune invece, Meursault, Diamatis e Fabio Montale, è lo sguardo lucido e tormentosamente sereno in grado di scorgere l’assurdo e di passare oltre.