di Valerio Evangelisti
Beppe Grillo, o chi per lui, agli inizi di aprile pubblica un video, nel suo blog e su YouTube, in cui viene intervistato Alberto Torregiani, figlio di Luigi Pietro Torregiani. Quest’ultimo, un gioielliere, il 22 gennaio 1979 era stato testimone di una rapina presso il ristorante “Il Transatlantico” di Milano. Aveva ucciso, assieme a un collega, il rapinatore, tale Orazio Daidone, siciliano. E ferito un avventore.
Il gruppo Proletari Armati per il Comunismo decide una ritorsione. Vengono uccisi, nella stessa giornata (16 febbraio 1979), Pier Luigi Torregiani a Milano, e un macellaio di nome Sabbadin presso Venezia (a sua volta uccisore di un ladruncolo). Qual è il problema? E’ che Cesare Battisti è stato accusato dell’omicidio di Venezia. MAI DI QUELLO DI MILANO, del resto simultaneo.
La chiamata in causa di Battisti, nel caso Torregiani, dipende dall’appartenenza alla stessa organizzazione colpevole dei due delitti, i PAC. Torregiani jr. non sa, si direbbe, che gli assassini materiali di suo padre furono tutti arrestati, processati e condannati. Infierisce contro Battisti, che non c’era di sicuro, come se fosse l’unico colpevole, e i suoi complici fossero rimasti impuniti. E’ semplicemente falso. Chi ha ucciso suo padre si è fatto decenni di prigione, e lui lo sa benissimo. Non chiedetemi i nomi, magari si sono rifatti una vita.
Anche sulla partecipazione di Battisti all’omicidio Sabbadin ci sarebbe da dubitare. Inizialmente, il pentito Pietro Mutti lo accusa di avere sparato il colpo di grazia. Messo alle strette, confessa di essere stato lui l’autore dell’omicidio. Battisti fungeva da autista. Molti testimoni lo riconoscono. Era altissimo e aveva la barba. Battisti è alto 1,60 e la barba non l’ha mai portata.
Mi fermo qua. Ora il caso è affidato alla giustizia brasiliana. In Italia si parla per partito preso, senza cercare di conoscere i fatti. Se una cosa è certa, è che mai Battisti sparò a Torregiani sr., essendo imputato di altro e simultaneo omicidio, in località molto distante. Evase dal carcere dopo l’arresto dei suoi due avvocati difensori, con dodici anni sul groppone per possesso di armi (le “finalità terroristiche” raddoppiavano la pena). Le altre accuse furono formulate in sua assenza grazie a Pietro Mutti, lo stesso pentito che accusò Yasser Arafat di essere il capo occulto delle Brigate Rosse. Uomo di chiara fiducia.
Sfido chiunque a controbattere quanto affermato qui sopra. Mi dispiace dirlo, ma Beppe Grillo e i suoi amici dovrebbero informarsi meglio. Tra tante cause nobili, ne hanno scelto una che nobile non è affatto.