di Simone Scaffidi L.
«Ma come, la Morte sa raccontare storie?» domandò Amal.
Qualche giorno prima dell’eccidio del 19 aprile 2015, che ha visto la scomparsa di oltre 800 persone nelle acque del Mediterraneo, ho letto La via del pepe: finta fiaba africana per europei benpensanti scritto da Massimo Carlotto e illustrato da Alessandro Sanna per le edizioni E/O. Poche parole e colori essenziali: tinte azzurre come il mare che diventa abisso e una storia leggera come un corpo che fluttua verso i fondali del Mediterraneo. I protagonisti di questa finta fiaba sono il mare, la morte e Amel, che in arabo significa «speranza». Amel porta chiusi stretti nel pugno cinque grani di pepe donatigli dal nonno Boubacar Dembélé, «guaritore, saggio, poeta, narratore delle storie della settima via del sale e custode dei segreti del foggara, l’arte di scavare i pozzi nel deserto». Quei grani rappresentano la speranza di una salvezza, da stringere forte per non cadere dalla prua del peschereccio Firouz e per resistere, una volta caduti, alle onde. Lampedusa è vicina ma nello specchio di mare che separa le coste africane dall’isola che un tempo fu porto franco per marinai e pirati, cristiani e musulmani, si nascondono le migliaia di fuochi fatui che alimentano la fiaccola della Santissima dei Naufragati. Una santa dal grembo azzurrissimo e dal viso nero come l’ebano.
Qualche giorno prima dell’eccidio del 3 ottobre 2013, che ha visto la scomparsa di circa 400 persone nelle acque del Mediterraneo, leggevo invece Le irregolari. Buenos Aires Horror Tour di Massimo Carlotto, edito sempre dalle edizioni E/O. Un libro terribile che scava lo stomaco, un viaggio nelle atrocità della dittatura argentina e nel vuoto clinico creato dalla sistematizzazione delle pratiche di desaparición, probabilmente il miglior libro in italiano sul regime militare e la resistenza delle donne argentine alla repressione. Ma cosa c’entra l’Argentina con il Mediterraneo?
Le irregolari e La via del pepe sono due libri e due storie distanti solo geograficamente. La forma differisce perché l’autore, per il primo, ha ritenuto più funzionale all’emersione dei significati la testimonianza e il racconto d’inchiesta, e per il secondo la fiaba – che per l’appunto è finta ed è africana solo per gli europei benpensanti. Entrambe le esperienze infatti, quella dei desaparecidos argentini e quella dei desaparecidos africani, sono narrate da Carlotto attraverso la medesima operazione: scavare nell’oblio della storia per disseppellire la memoria di persone che scompaiano nel nulla, nel silenzio e con la complicità delle democrazie occidentali. Se il regime dittatoriale argentino pianificava nei minimi dettagli la scomparsa degli oppositori, i regimi democratici europei pianificano da almeno vent’anni la sistematica scomparsa dei migranti africani nel mar Mediterraneo.
Da un giorno all’altro, a cavallo tra gli anni ’80 e gli anni ’90, le democrazie occidentali hanno deciso che la gente del sud del mondo doveva starsene a casa propria, le frontiere si chiudevano ancor di più e i visti si negavano. Non c’era nessuna emergenza, le guerre in Africa ci sono oggi come allora e prima di allora, e si sono moltiplicate a dismisura quando l’uomo bianco ha deciso che quelle terre andavano saccheggiate e quelle popolazioni soggiogate. «Il deserto avanza perché l’uomo bianco mangia ananas e banane ma non sa coltivare la terra, la fa morire e i giovani se ne vanno. L’uomo bianco è così sventato che avvelena il cielo, e il sole e la pioggia sono diventati strani, e i giovani se ne vanno. L’uomo bianco le sue guerre le combatte a casa nostra, e i giovani se ne vanno». I giovani prima degli anni ’90 se ne vanno in aereo dall’Africa, con mille difficoltà perché il loro è un passaporto di serie Z ma se ne vanno via cielo. Lavorano sodo, si guadagnano il necessario per comprarsi il biglietto aereo, richiedono un visto, fanno la valigia e vanno in aeroporto. Proprio come fa l’uomo bianco. Ma l’Italia o la Svezia o l’Australia decidono che «la legge della settima via del pepe, che affermava il diritto naturale di ogni donna e uomo a vivere dove desiderava» non ha più valore. E allora niente visti, neanche per Amel, niente aereo ma un lungo viaggio per terra e per mare della durata di quanto? Per qualcuno dura una vita, che si spezza tra le mille insidie che s’incontrano sul cammino, per altri dura anni di frontiere e lavoro e carcere e botte, altri ancora sono più fortunati e magari ci mettono soltanto mesi per raggiungere le coste libiche e tentare la traversata verso la Fortezza Europa.
«Fortunati» mi sono trovato a pensare il pomeriggio del 19 aprile, tornato a casa da una partitella a calcio al parco con chi è sopravvissuto alla traversata e appresa la notizia dell’eccidio di 800 migranti. «Fortunati» ho pensato di loro che giocavano a calcio con me, straniero tra i superstiti, e mi sono vergognato. Solo un europeo benpensante può credere che questi ragazzi e ragazze che raggiungono l’Europa vivi siano «fortunati». Più di 21.000 uomini e donne hanno provato a raggiungere le coste europee dal 1988 ad oggi, almeno 18.000 sono morti in mare, di questi più di 10.000 sono tecnicamente desaparecidos, i loro corpi non sono mai stati ritrovati. Nella tavola a pagina 11 de La via del pepe, magistralmente illustrata da Alessandro Sanna, undici corpi danzano negli abissi del mare. Per arrivare a 18.000 bisognerebbe riprodurre quella singola pagina 1637 volte. Le braccia, le gambe e la testa formano tante stelle deformi su uno sfondo blu. Stelle che non brillano e non rispettano l’ordine del cerchio, ma rappresentano con più profondità la bandiera dell’Unione Europea.
Senza il talento e la sensibilità del tratto di Sanna La via del pepe non avrebbe la stessa forza semantica ed espressiva. Carlotto come un foggara del deserto disseppellisce una storia che restituisce la dignità della vita alla morte, acqua nel deserto. Sanna s’immerge nel pozzo e attraverso il segno e il colore delinea non un volto ma dieci, cento, mille vite desaparecidas. «Resto in apnea fino a quando il foglio imbarcato non si rapprende e si asciuga» spiegava il disegnatore nel suo capolavoro dedicato al fiume Po (Fiume lento. Un viaggio lungo il Po, Rizzoli, 2013). Ne La via del pepe Sanna riesce a trasportare l’apnea che prova nella creazione delle immagini, sinestesia tra colore e silenzio mai più azzeccata.
Il risultato dell’intreccio di immagini e parole dei due autori è una fiaba leggera – a dispetto del contesto trattato – e piena d’umanità, adatta ai bambini e alle bambine, che non faranno nessuna fatica a comprendere il viaggio di Amel. Il dubbio, evidente, sarà l’intelligibilità dello stesso viaggio da parte degli uomini e delle donne adulte.