di Gianluca Giardino
Il pamphlet di Michael Moore, Stupid White Men, comincia in maniera chiara e per niente equivoca: se il mondo va così male bisogna puntare il dito e farlo senza preoccuparsi di generalizzare. La rovina degli Stati Uniti e presto di tutto il mondo è colpa di una ristretta cerchia di uomini bianchi che controllano davvero il sistema americano. Hanno nomi come Rumsfeld e Cheney e spesso rappresentano una losca connection tra potere politico ed economico (una infausta novità per la politica americana, ma nemmeno tanto). Non stiamo parlando di giovani turchi: la classe politica che Moore descrive con grande abilità nel suo libro è cresciuta ed è prosperata alla corte di Bush sr. ed è tornata, più vecchia e retrograda che mai, con Junior.
La balla dell’ideologia New Conservative non funziona. Non c’è niente di new in personaggi come Cheney o Ashcroft. La corte dei Bush non è frutto dell’undici settembre. Diavolo, non è frutto nemmeno degli anni ’90!
Per capirlo basta esaminare la carriera compiuta da questi personaggi. Nella maggior parte dei casi è complessa e variegata. Ma ha poco a che fare con la politica. Gli uomini che circondano Bush sono stati consiglieri o amministratori delegati di innumerevoli giganti corporativi. Stiamo parlando di entità che vanno dalla Philip Morris alla Enron, società con un forte interesse nella compiacenza statale. I politici di professione presenti possono comunque vantare, oltre ai soliti e quasi imprescindibili legami corporativi, simpatie anti-abortiste e legami con l’NRA (National Rifle Association). Categoria a parte meritano i Dinosauri, ovvero tutti i relitti delle passate amministrazioni che vanno da Nixon a Clinton.
Tranquilli. Questi loschi personaggi non sono poi così loschi. Non hanno fatto niente di male. Cioè non hanno fatto niente che non abbia già fatto qualcun altro.
Merito indubbio nell’avere portato per primo sotto i riflettori questa strana classe politica internazionale va a James Ellroy, che così scrive nell’incipit di American Tabloid: “E’ tempo di abbracciare la storia di alcuni uomini malvagi e del prezzo da loro pagato per definire in segreto il loro tempo”.
Certo Donald Rumsfeld o Dick Cheney non hanno la stoffa e lo stile di Pete Bondurant o Ward Littel. Somigliano più al vecchio e paranoico J.E. Hoover di Sei Pezzi da Mille (seguito di American Tabloid), ormai ossessionato da Martin Luther King e dall’odio indiscriminato. Eppure tra i malfattori letterari di Ellroy e quelli della realtà odierna c’è un inquietante parallelo.
E’ come se le vecchie eminenze grigie si fossero risollevate dalla polvere e fossero ritornate ai loro vecchi traffici con nuovi volti e nuove identità. I loro interessi sono gli stessi di un tempo, ma non richiedono gli stessi sforzi. Una volta cambiare il corso del mondo richiedeva l’uccisione di alcuni uomini pericolosi. Adesso è molto più semplice: basta ucciderne qualche migliaio in paesi che un americano medio non riuscirebbe a individuare su una cartina. Come Moore insegna.