di Marilù Oliva
Valerij Panjuškin, L’Olimpo di Putin, edizioni e/o, Roma 2014, pp. 216, € 18
Di Valerij Panjuškin avevo già recensito il precedente romanzo, 12 che hanno detto no (edizioni e/o), ovvero dodici esempi di dissidenza coraggiosa in un clima oscurantista, quello della Russia di oggi, storie di attivisti di varie componenti dell’opposizione. Questa volta segnalo L’Olimpo di Putin – Manuale del giocatore, tradotto da Claudia Zonghetti e pubblicato a ottobre 2014, sempre da edizioni e/o, nella collana Dal mondo.
Panjushkin (nella foto sotto) è nato nel 1969 a Leningrado e vive a Mosca, dove collabora come corrispondente con la rivista Snob. Ha lavorato come inviato speciale per i giornali Kommersant e Vedomosti e tiene regolarmente una rubrica sul giornale Gazeta.ru.
Conosce bene quale sia l’Olimpo del presidente russo e noi lo scopriamo subito, in quarta di copertina:
A pochi chilometri da Mosca, nel quartiere della Rublëvka vive il Gotha della politica, della finanza e, più semplicemente, della ricchezza russa. Risiedere dietro ai muri altissimi che circondano ville più o meno sontuose ed è segno di appartenenza all’Olimpo.
I burattinai del potere sono anche coloro che scelgono le regole del gioco, un gioco di cui il giornalista studia e ci riporta la fenomenologia, avendo cura di non trascurare i dettagli.
Come ci si ritrova nel gioco? Come si salgono i gradini della scala sociale?
Un po’ di storia, dagli zar ai giorni nostri, un po’ di osservazione di tipi umani con annessi usi e costumi, e l’autore ce ne svela l’allarmante quotidianità, implacabile in questa rassegna di umanità rublëvkiana, senza mai scendere nel pathos o puntare il dito, lasciando solo apparentemente dietro le quinte le figure di Putin e Medved’ev che non appaiono mai fisicamente, ma invadono la scena con il loro potere pervasivo.
A seguire le pagine 148-150, in cui si postula il decalogo del dio Denaro:
A sentire Belkovskij, i soldi sono l’unico dio della Rublëvka: raggiunto un determinato livello, il Grande Gioco diventa religione, plutoteismo.
«I soldi sono l’unico risultato degno di qualunque attività»: così Belkovskij formula il credo di questa religione, al quale fa seguire i suoi dieci comandamenti. Non li annoto pari pari, però. Il mio cervello elabora le sue tesi e le trascrive come farebbe un estremista religioso con il libro sacro che Dio gli ha ispirato. Ossia:
- I Soldi sono l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine. Dai Soldi tutto ha inizio e ai Soldi tutto torna. Unica vera causa di tutto sono i Soldi. Unico vero risultato di tutto Essi sono. Anche la gloria vale solo quale tramite per procacciarsi i denari. Grande è la tua sventura, infatti, se hai la gloria, ma sei povero.
- Diverso è colui che ha i Soldi da colui che non Li ha. E insormontabile è tale differenza, come insormontabile è l’abisso tra l’eletto e il semplice mortale, tra chi è benedetto e chi ha su di sé la maledizione di Dio. Decisiva è la soglia oltre la quale i soldi diventano Soldi (con la maiuscola). Vent’anni fa era un milione. Ora è un miliardo. Ma non nominate il Suo nome – del miliardo – invano. Perché i Soldi possono aversene a male. «Chi non possiede almeno un miliardo può andarsene a fare in culo» ha affermato un dì l’imprudente miliardario Polonskij. Guai! Vanità delle vanità! E la vanità è sempre punita.
- I Soldi si usano solo e soltanto per fare altri Soldi. Non per le donne e non per gli uomini, non per i vecchi e non per i bambini, non per piangere e non per festeggiare. I soldi servono a fare i Soldi, al centuplo quaggiù e non all’eternità. E se una qualche fondazione si presenta alla tua porta, chiedi prima di quale benedizione suprema gode e concedile il tuo Denaro solo se qualcuno l’ha benedetta.
- Un eletto non dà mai Soldi aisemplici mortali. Perché vorrebbe dire che si cura del loro dolore o della loro felicità più che dei suoi Soldi. E i Soldi possono adirarsi. Gli eletti devono prendersi cura dei Soldi che possiedono. Perciò, meglio spenderne un milione in puttane che centomila per costruire un orfanotrofio. Perché le puttane fanno la gioia dell’eletto, che di un orfanotrofio – invece – non se ne fa nulla. I soldi per gli orfanotrofi, perciò, chiedeteli a chi non ha i Soldi.
- Non spendere i tuoi Soldi. Guai a te, se lo fai. Nulla vale più di Loro, dunque Li spenderai solo se torneranno indietro per altre vie, moltiplicati. Il giusto sa sempre come spendere i suoi Soldi. Quali vestiti, quale cibo, quale automobile comprare. Se non lo sa, è stolto e non giusto e può e deve dire addio ai suoi Soldi. E guai all’eletto che i semplici mortali incontreranno su un volo di linea. Meglio avrebbe fatto sua madre a non partorirlo. Non ci si mischia ai semplici mortali: essi respirano povertà, e povertà è veleno.
- Ruba! Il giusto può concedersi il lusso di dire a tutti quanto ha rubato. Perché se avesse potuto rubare e non l’avesse fatto, significherebbe che per lui l’onestà e il rispetto delle leggi valgono più dei Soldi. E i Soldi potrebbero adirarsi. Il giusto sa che i suoi simili rubano. Ma non lo dice. Perché significherebbe che stima la verità più dei Soldi. Tacere è cosa buona e giusta. E i soldi si moltiplicheranno.
- Non cedere alle tentazioni della bellezza e dell’eleganza. Arte, scienza, artigianato sono mera funzione dei Soldi. Non c’è artista che crei alcunché in assenza di denaro. E con i Soldi avrai al tuo servizio qualunque artista.
- Tutto è in vendita. Cose e persone. Eretico è colui che non si fa comprare. Compito del giusto è mostrare all’eretico che anche lui ha un prezzo. Che è sempre più basso di quanto egli creda.
- Non uccidere! Misericordioso è il Denaro, Dio tuo. Perché uccidere qualcuno se puoi comprarlo? D’altro canto, se ucciderlo costa meno che comprarlo, l’omicidio è lecito e inevitabile. Ricorda, però, che all’omicidio il giusto preferisce la calunnia. Misericordioso è il Denaro, Dio tuo.
- I Soldi sanno sempre chi è loro fedele. Nessuno è mairiuscito ad accumulare Soldi contro la loro volontà. E se il dio Denaro ti ha scelto, abbi cura di Lui. Perché se lo perdi, non tornerà da te. Nessuno lo ha mai visto e posseduto due volte. Formulàti i suoi dieci comandamenti, Belkovskij si accascia sullo schienale della sedia e sorride soddisfatto.
«Stas» gli chiedo, «che cosa ottiene chi osserva i comandamenti? È felice?».
«No» risponde lui. «È immortale. Perché è all’immortalità, e non alla felicità, che mirano tutte le religioni».