di Alessandra Daniele
Tra i fondatori della letteratura fantastica moderna in tutte le sue forme, Fritz Leiber (1910-1992) col suo stile elegante, e il suo immaginario potente e multiforme è uno dei pochissimi grandi riuscito ad attraversarne da maestro tutte le ere principali. Dalla Golden Age del suo straordinario L’alba delle tenebre (“Gather, Darkness”, 1943) alla New Wave della mitica antologia Dangerous Visions (1967) col racconto Per muovere le ossa (”Gonna roll the bones”) fino all’urban fantasy dei nostri anni, anticipato da molta della sua narrativa breve. E come accade alla migliore letteratura fantastica i suoi primi capolavori non risultano oggi meno attuali di quelli più recenti.
L’alba delle tenebre è infatti il beffardo e magistrale ritratto d’una spietata lotta per il potere combattuta innanzitutto sul terreno dell’immaginario collettivo, con religione e scienza adoperate come armi di suggestione di massa, perfetti strumenti di controllo attraverso l’inganno nelle mani dei più rapaci e astuti. E le oscure e ciniche fazioni de Il Grande Tempo (“The Big Time”, 1958) si combattono alterando il tempo per “riscrivere” la storia secondo le proprie convenienze in una sorta di continuo revisionismo cosmico. Il romanzo, capostipite del ciclo della Guerra del Cambio, non a caso è strutturato come una rappresentazione teatrale, che Leiber costruisce anche attingendo alla propria esperienza giovanile d’attore.
Incoraggiato da Lovecraft, Fritz Leiber debutta nella letteratura fantastica nel 1939 sulle pagine di Unknown, campbelliana rivista sorella di Astounding. Lo fa reinventando (e battezzando) la fantasy Sword and Sorcery con Two Sought Adventure, il suo primo racconto sui simpatici furfanti Fafhrd e Gray Mouser, dal quale nascerà la lunga e articolata saga di Lankhmar, capace di associare le raffinate suggestioni multiculturali, caratteristiche di tutta la sua narrativa, all’avventura più rocambolesca e autoironica, senza trascurare complessità e spessore umano dei protagonisti.
Il suo primo romanzo, Ombre del male (”Conjure Wife”, 1943) affronta con arguzia la madre di tutte le teorie cospirazioniste: l’idea maschiile che in realtà tutte le donne siano maghe , streghe, e che la trama di incantesimi da loro intessuta costituisca l’intelaiatura segreta di una realtà solo apparentemente razionale. E una maga dalla sensualità (letteralmente) felina è la principale protagonista del suo romanzo più lungo, Novilunio (”The Wanderer”,1965) che adopera la metafora dell’interazione gravitazionale fra la terra e un’ incombente luna aliena per alludere ai sommovimenti politico-culturali incombenti sulla società di quegli anni.
Filosofia, sociologia, psicanalisi, Leiber attinge a piene mani dal proprio notevole bagaglio culturale, ma non lo fa mai in modo didascalico. Al contrario, preferisce decostruire e reinventare ironicamente i topoi delle scienze umanistiche così come fa con quelli di fantasy, horror e sf. Cos’è la fascinosa e terribile Nostra Signora delle Tenebre del suo romanzo omonimo? (“Our Lady of Darkness”, 1974 a puntate, 1977 in volume). Una dea ancestrale, una proiezione del tormentato inconscio dell’autobiografico protagonista, lo spettro della sua adorata moglie morta, l’archetipo della Melanconia, o addirittura la visionaria personificazione della stessa letteratura fantastica che minaccia di vampirizzare il suo autore? E’ tutto questo, e anche qualcosa di più, di indicibile, che solo la magia della narrativa può evocare nel lettore. La scarna silhouette della Mater Tenebrarum scivola fra i grattacieli d’una San Francisco neogotica, sul filo d’una antica cospirazione scientifico-esoterica nella quale Leiber si diverte a coinvolgere, mescolandoli, personaggi immaginari e scrittori leggendari, ma in modo che il gioco delle citazioni letterarie non pregiudichi mai la tensione costruita su un crescendo da affascinante thriller metafisico. E in modo che, come sempre, le sue tenebre calino sulle verità meno immaginabili non per nasconderle, ma per svelarle.