di Riccardo Valla
CAPITOLO NONO
Quando la biblioteca aprì, il primo che si presentò davanti all’impiegato fu un alto monaco con una strana tonaca color giallastro-verdognolo. — Nei miei studi sulle eresie ho trovato questi versi — gli disse. — Chissà se a fare una ricerca nel computer…
— Non ce n’è bisogno — sorrise l’altro, con aria divertita, dopo avere dato un’occhiata alla scritta. — Abbiamo anche gli altri indovinelli della serie, vada nell’ufficio del Conservatore.
Il monaco lo guardò con sospetto, ma era impossibile che l’uomo l’avesse riconosciuto. — Non credo di capire… — azzardò.
L’uomo gli prese di mano il foglietto. — Sì, questo indovinello di Sommelier:
“Il primo è il libro greco senza il carbone dell’inferno
Il secondo ha il sangue di Gennaro all’interno
Il terzo è di gennaio il crudele fetente
Nel quarto se la ride del cuscin del sapiente”,
dato che lei lo ha risolto, deve essere davvero bravo… Comunque, qui abbiamo tutto, e preso dagli appunti originali, la soluzione e la spiegazione. “Biblios”, libro in greco, meno solfo, simbolo S, carbone dell’inferno, fa “biblio”. Il sangue di san Gennaro è nella teca, crudele e fetente fa “rio” come Rio de Janeiro. E la Gioconda, che ride del cuscino di Leonardo, è qui al Louvre. Biblio-teca-rio Louvre, e infatti aveva messo qui sotto il vetro del mio tavolo il nuovo indovinello. Come ha fatto ad arrivarci da solo?
— Be’, l’enigmistica… — disse Valjean, vagamente.
— Peccato che l’abbiano ucciso,perché uno come lei poteva esserci utile, in una nuova caccia al tesoro, il povero Sommelier.
— Caccia al tesoro? — chiese Valjean. Evidentemente, pensò, per conoscere tutti quei particolari, anche il bibliotecario apparteneva alla cricca del Priorato…
— Sì, l’annuale caccia al tesoro per i dipendenti del museo. — L’uomo rise. — Si fa il martedì grasso. Quest’anno ci aveva promesso una caccia particolarmente difficile. Se qualcuno fosse arrivato al traguardo avrebbe vinto un Rolex. Però uno di noi ha trovato le domande sul suo tavolo e le ha fotocopiate… Sommelier è stato costretto a regalare un Rolex a ciascun dipendente!
Mostrò con orgoglio l’orologio che portava al polso.
— E chi era mai, Berlusconi, per regalare tanti orologi? — fece Valjean, stupito.
— No, imitazioni fatte a Hong Kong, venti euro l’una. Per quaranta le vendo il mio.
— Credevo costassero cento… — rifletté il monaco. — Un’ennesima palla di quel libro.
— È inutile che vada avanti e indietro a dare la caccia agli indovinelli , ecco l’ultimo della serie, la soluzione gliel’ho detta prima, ma chi se ne frega… non ci sono più Rolex da vincere!
Valjean aveva capito e non aveva capito; prese il foglio ripiegato che gli porgeva il bibliotecario. Il suo unico pensiero era: “Qualcuno ci ha preceduti. Devo avvertire il Magister”.
CAPITOLO DECIMO
Alle prime luci dell’alba, Sophie era scesa in punta di piedi, convinta di scoprire i due professori in flagrante delitto, ma in salotto aveva trovato il solo Teadrinker.
— Dormito bene, Mademoiselle? — chiese lo studioso. — Robert è in bagno a farsi la barba. Colazione continentale, suppongo.
— Sì, solo un caffè. Lei è esperto di quella setta, vero? Il Pus Dei.
— Sì, mi interesso di eresie cristiane. Ma penso che Robert le abbia già spiegato l’essenziale. C’è qualche particolare che non le è chiaro?
— Non capisco una cosa. Che cosa facevano, quelle ammiratrici di Cristo, per destare le ire della Maddalena? Qualcosa di… — sorrise tra sé — …osceno?
— Be’, non si può dire con esattezza — rispose l’inglese, avviandosi verso la cucina. — “Gridavano, si agitavano, disturbavano la predicazione” dice il vangelo dell’Ira di Maria. Il rituale dell’Ordine, però, la fellatio, sembra risalire ai secoli successivi, all’epoca della catacombe. Durante a vita di Cristo si limitavano la essere una sorta di… ragazze pon-pon.
— E che c’entra il Priorato? Mio zio era un porco, ma il suo… rituale… era un altro.
— Appunto. I due culti sono inconciliabili. Il Priorato è un culto del principio femminile e pratica le “nozze sacre”, mentre il Pus Dei ammette solo un “rito orale”.
— Non sono certa di avere capito… — osservò lei.
— Be’, se lo faccia spiegare da Robert Long Dong, visto i suoi interessi… e sempre che ci riesca — le suggerì Teadrinker, con un sorriso perfido.
CAPITOLO UNDICESIMO
— Ti ho colto sul fatto, vecchio furfante! — esclamò giovialmente Londong, entrando nel piccolo soggiorno.
— Moi? — fece il padrone di casa, inarcando un sopracciglio.
— Non facevamo nulla che non si potesse fare in pubblico — si affrettò a difendersi Sophie.
La ragazza era arrossita. Londong la ignorò. — Certo! — proseguì in tono d’accusa, rivolto allo studioso. — Quello non è un telefonino? Giuravi che non ne avresti mai comprato uno.
Teadrinker sollevò l’apparecchio posato accanto al microonde e lo guardò incuriosito. — E infatti me l’hanno regalato i miei allievi. Ma in genere lo tengo spento.
— Controlla — gli suggerì il collega. — Magari c’è qualche messaggino di Sommelier che ci aiuta a risolvere l’ultimo indovinello. Altrimenti non ci resta che andare a controllare tra le sue carte, al museo.
Teadrinker annuì con aria seria. — Vediamo, ma temo che la batteria sia scarica. Lo porto in camera e lo ricarico mentre mi vesto. Con il vostro permesso. Mademoiselle. — Si allontanò in direzione della scala interna.
— A che serve un telefonino, se poi non lo si usa? — rifletté l’americano.
Invece di rispondere alla domanda, Sophie, quando l’inglese si fu allontanato, disse: — Teadrinker mi ha suggerito di chiedere a te.
— Sì? — rispose l’uomo.
— Per la questione delle “nozze sacre” nei riti del Priorato di Sion. Perché forse mio zio… quel porco…
— Signorina, un po’ più di distacco scientifico. Cerchi di andare al di là del caso personale. Cosa ha fatto suo zio, di tanto tragico!
— Sai, qualche anno, fa, ero in Italia, e gli telefonavo tutte le settimane. Ero convinta di avere prenotato per il 24 dicembre, ma si erano sbagliati e mi avevano prenotato per il 24 undici… Fortuna che me ne sono accorta in tempo, sai, il biglietto aereo non era rimborsabile.
— L’aveva prenotato con Internet, suppongo.
— Certo. È così comodo… Deve essere solo scivolato il cursore… Comunque, io per curiosità guardo la prenotazione e vedo “novembre”… Ed era proprio il 24. Afferro le mie cose e corro a prendere l’aereo e arrivo in tempo. Tutto di corsa, senza avvertire mio zio. Salgo su una delle ultime corse della notte, esco dal Metrò, faccio in fretta i due isolati, apro la porta, e…
— E…? — fece Londong.
— La casa di mio zio era piena di gente con dei camicioni lunghi, una specie di toga party… Uomini e donne… discinti… cantavano…
— Gli uomini o le donne? — volle sapere l’americano.
— Aspetta… gli uomini battevano le mani e ripetevano: “Pompa, pompa” e le donne cantavano: “Siamo vergini…”
— Non era l’aria “Son vergin vezzosa” dei Puritani di Bellini, suppongo? — chiese Londong. Poi, nel vedere che Sophie scuoteva la testa, continuò: — Escluso questa possibilità, ne resta solo un’altra, che confermerebbe le parole di Fouché. Lei lo ha detto a Teadrinker?
— No, non l’ho mai detto a nessuno! Parlavano di amanti… — sorrise e abbassò lo sguardo verso il cavallo dei calzoni di lui — …e di cazzi!
— Come sospettavo — rispose l’uomo, con gravità professionale. — Questo conferma la spiegazione di Fouché, che il Priorato di Sion fosse un’organizzazione goliardica…
— Ma non è una setta religiosa? — chiese Sophie, che non capiva.
— Certo. Entrambe le cose. Una setta religiosa mascherata da associazione goliardica. Lo testimoniano le modifiche del rito. E gli uomini cosa facevano?
— Be’, ripetevano: “Pompa pompa”… c’era mio zio… e davanti a lui una donna… chinata… ma seminuda… non so chi fosse, la vedevo di schiena… e lui…
— Se era chinata, lui la penetrava, suppongo, more pecorarum.
— Penso di sì… ma non so altro. A quel punto sono fuggita e non ho mai più parlato con lui… Solo una volta, l’indomani, quando gli ho telefonato perché inviasse la mia roba al pensionato vedove e nubili, ha tentato una spiegazione. “Be’ ” mi ha detto “per metterla secondo santa Madre Goliardia, chi si fa pecora, il lupo se la mangia, e chi si fa pecorina il lupo se la incula”… quel maiale!
— Be’, è una cosa naturale, in fondo… — commentò Londong, lanciando un’occhiata carica di nostalgia alla scala su cui era sparito Teadrinker.
*
— Magister! Da ore cerco di telefonare. Sempre spento!
— Scusa, Valjean, ma ho avuto dei contrattempi. Ho riflettuto a lungo sull’ultimo indovinello, ma non ti conviene fare altre domande al bibliotecario, si insospettirebbe. Prima di correre quel rischio, conviene andare a frugare tra le carte di Sommelier, prima che venga in mente ad altri. Magari troverai un riferimento.
— Va bene, Magister, ma lo studio è ancora piantonato. Mi fingerò un normale visitatore e vedrò di entrare senza farmi notare.
— Giusto. Manda degli sms. Ho acceso il telefonino, ma ho tolto il sonoro.
— Certo, come consigliava il vescovo.
— Che c’entra il vescovo? — chiese il Magister.
— Una volta, a una conferenza, c’era un telefonino che continuava a squillare e lui ha detto: “Signorina, spenga la suoneria di quel cellulare, il suo fidanzato può aspettare mezz’ora, suppongo. Tutt’al più, se ha qualcosa di urgente, usi il vibratore”.
— Umm — commentò il Magister. — Non mi fa affatto ridere.
CAPITOLO DODICESIMO
— Quella che lei ha visto, signorina Gourmet, era l’annuale riunione di un gruppo di vecchi goliardi. Come vuole la tradizione, la si celebrava in concomitanza con la principale festa studentesca. Per dirla con le parole di un noto studioso dell’argomento: “In quel periodo dell’anno, la caccia alle matricole si è ormai conclusa, gli iscritti al primo anno possono mostrare il loro ‘papiro’ a testimonianza di avere appreso le principali canzoni goliardiche; allora si celebra il rito della pacificazione tra gli anziani che stanno per lasciare l’Università e i giovani che vi sono appena entrati: il giorno di santa Caterina”.
— E chi sarebbe lo studioso? — domandò lei.
— Io, naturalmente — sorrise Londong.
— Comunque, non capisco il motivo di quella riunione di vecchi zozzoni — disse Sophie.
— Certo, lei è troppo giovane; non ha mai conosciuto il rito di iniziazione alla vita universitaria, ma ai tempi di suo zio si faceva ancora. Il gran ballo delle “caterinette”, le sarte apprendiste di Parigi, ha luogo il 25 novembre, e tradizionalmente vi partecipano gli studenti universitari. Sbagliando di un mese, lei è incappata in quella ricorrenza. Suo zio e i suoi amici festeggiavano la protettrice della goliardia.
— Un ballo? Quello che ho visto non era un ballo…
— No, ma era una tradizionale rappresentazione goliardica. Ascolti, ha detto di avere sentito la parola “amanti”, ma credo fosse un’altra. Cantavano forse.
“Noi siamo le vergini dai candidi manti
Siam rotte di dietro ma sane davanti”
le persone da lei sentite?
— Sì, qualcosa del genere.
— E il coro maschile era “pompa, pompa come un mulo”?
— Penso di sì.
— Appunto. Vede, si trattava di una recita della tragedia goliardica in versi Ifigonia. O Ifigonia in Culide. Probabilmente l’abbigliamento da lei visto erano costumi in stile geco antico. Qualcuno dei presenti aveva una coroncina?
— Mio zio. L’ho riconosciuto dal… ehm… dalle mani. Quel porco.
— Come supponevo. Hanno apportato alcune modifiche al testo perché la rappresentazione si avvicinasse al rito.
— Che rito?
— Il rito del Priorato, le nozze chimiche. Vede, signorina, nel testo originale della tragedia non vi sono congiungimenti eterosessuali, mentre lei ha assistito a un’unione tra due dei personaggi, il Re di Corinto e la sua Regina, o meglio tra il principio maschile e quello femminile della creazione. Inoltre, il coro femminile si limitava a ripetere i primi versi, vero?
— Sì, sono rimasta poco tempo a guardare, ma ho sentito per due volte gli stessi versi.
— Poco tempo? — Lo studioso inarcò un sopracciglio. — Cantavano solo la prima metà della strofa, probabilmente. Mi dica, proseguivano con:
“I nostri ditini son tutti spelati
A furia di cazzi che abbiamo menati”
vero? Però dubito che proseguissero con:
“Nell’arte sovrana di fare pompini
Battiamo le troie di tutti i casini.
La lingua sapiente e l’agile mano
Son gioia e sollievo del duro banano”
perché equivarrebbe a sottomettersi simbolicamente all’odiato nemico, il Pus Dei!
— Simbolicamente?… — disse Sophie con voce languida.
— Scusate — intervenne Teadrinker, che arrivava in quel momento — ma anch’io, come il Cherubino di Mozart, ho ascoltato, pur avendo fatto del mio meglio per non sentire. Di conseguenza, in base alle deduzioni di Robert, il Priorato non era una comunità goliardica travestita da gruppo religioso apocrifo, come credeva quel buon poliziotto, l’ispettore Fouché, bensì il contrario: un antico gruppo religioso mascherato da confraternita goliardica!
— Hai trovato qualcosa sul telefonino? — chiese Londong.
— No, solo un avviso di chiamata.
— Allora, ci conviene tornare a Parigi e cercare nell’ufficio.
Teadrinker annuì e rispose, sorridendo a Sophie: — Vengo con la mia macchina perché nella sua auto non ci stiamo, signorina. Quella non è un’auto, è una bomboniera. E, poi, come diciamo noi inglesi, “Tre è una folla!”
Sophie gli rivolse un sorriso che stillava veleno.
*
— Magister! La chiamo dalla cabina del comandante: un buon cristiano parigino. Avete il documento? Posso procedere per Roma? Me lo porti all’aeroporto e le darò l’assegno.
— Mi occorre qualche ora, ma si era parlato di buoni al portatore, non di assegni.
— Un assegno dell’Ordine, tratto su una banca dell’Ordine? È oro in barre! È meglio del contante!
— Ne riparleremo. Adesso devo partire e spengo il telefonino… non vorrà che prenda una multa perché telefono mentre guido!
— Dove va, adesso, invece di cercare il mio documento?
— Al Louvre, ma la richiamo io.
— No. Sono stanco di questi rinvii. Verrò a raggiungerla lì!
E con questa ultima minaccia, Tonnorosa interruppe la comunicazione.
(3 – CONTINUA)