di Chiara Cretella
[Il poemetto Riconoscenza, di Chiara Cretella, è preceduto da una lettera che l’autrice scrisse nel 2001 da Londra a Roberto, il suo compagno di passioni e di lotte, cioè di vita.]
Londra, 30 Luglio 2001
Ti spedisco questi pensieri da Londra, dove mi sento come esiliata da una storia che finalmente sento mia. Dopo Genova la mia vita è cambiata. Ho perso fin troppo tempo a cercarmi senza capire che dovevo trovarmi negli altri, darmi a loro senza paura, dare a loro il mio impegno, il mio amore. Perché io ci credo, e molto, e davvero ho le nausee e penso a loro e penso a noi, e penso a quello che possiamo fare per loro, ed allora le mie piccole parole che erano sempre state un balsamo solo per me diventano qualcosa di aperto…
Loro questa forza non ce l’hanno. Vogliono circondarci di supermercati e di pillole per farci diventare come loro.
Sterili.
Ci invidiano questa capacità di riproduzione.
Ma noi no, noi vorremo semplicemente donarglielo questo segreto dell’amore, anche gratuitamente davvero, ma loro non ricevono doni gratis, non si fidano di ciò che non si paga.
Loro ci sparano addosso e non capiscono la forza di Carlo.
Era questo il punto che non riuscivo a sciogliere, quello che mi faceva brancolare da mesi nel buio, quel chi va là che mi atterriva, quello che cercavo di capire nei giorni scorsi a Genova.
Ci può essere molto amore, disperato amore, nella lotta.
Quando leggo il giornale italiano in Victoria Station sento pugni nello stomaco inerme che mi rivoltano le budella e mi fanno solo sperare di potermi rialzare con la forza delle parole…
Genova sembra lontana, ma davvero, ha insegnato molto ai miei 25 anni: perché loro e io no? quale insperata fortuna mi ha tagliato fuori dal dolore? perché non io in carcere con loro? io dove sono mentre loro sono lì sotto i calci… e li sento al basso ventre quando leggo le dichiarazioni dei politici di turno e tutto mi sembra assurdo, ma non più inutile, questo mai… inutile non è la nostra voce ma il silenzio di chi pensa che niente possa cambiare.
Le mie suggestioni per Carlo, tutte tratte dagli articoli di questi giorni: l’infermiera che ha raggiunto Carlo per prima lo ha visto morire sotto i suoi occhi prima che arrivasse l’ambulanza, gli ha praticato un massaggio cardiaco, ma non è servito a nulla, ha potuto solo ricevere i suoi ultimi sguardi. Poi due ragazzi amici di Carlo hanno dormito per due settimane sulla striscia di sangue lasciata a terra. La gente passava a dargli da mangiare e si è creata spontaneamente un’aiuola di bigliettini e regali, una piccola ara. Il Comune una mattina li ha fatti sgomberare e ha passato una striscia di asfalto nuovo sulla macchia di sangue. Il Comune ha dichiarato che non lo ha fatto per via del sangue, ma solo per normale manutenzione del manto stradale.
Ho pensato ad Incubo n. zero di Claudio Lolli e a Sally di Fabrizio De Andrè, i giornali di luglio in questa Londra spersonalizzante, come I giornali del marzo.
RICONOSCENZA
(in morte di Carlo Giuliani)
Una volta ho sentito parlare di te,
non di te in particolare ma di te,
del tuo essere preparato all’attacco
dei posti che ti hanno trovato posto
di te, dei tuoi amici tutti uguali,
di voi che perdete la vita nei locali
Ho sentito parlare di voi una volta
dei vostri cani, le vostre ossa
del fumo e degli oggetti strani che indossate
che siete gente che viaggiate,
Io quindi ti conosco
e non ti conosco
sono qui distesa sul tuo corpo sanguinante
e mangio con lo sguardo ogni gesto nei tuoi occhi
da poterne conservare il ricordo
io, che non ho mai visto un uomo morto
E non c’è dubbio,
con i tuoi 23 anni mai compiuti
che sei un uomo con tutti gli attributi
che lasci a terra il ragazzo
e ti rialzi a me con la mano stretta addosso
Forse pensi al tuo cane che hai parcheggiato
in qualche strada laterale
per paura che te lo portassero via
la tua famiglia calda che ti fa da coperta
(tuo padre non approverebbe
ma è troppo tardi per chiedergli conferma)
Una volta ho sentito parlare di te,
era uno speciale di un giornale
sulla gente che non sa lavorare
dicevano che vi dobbiamo mantenere
alla disoccupazione dei sogni
che sporcate le strade e le usate
che mangiate e non pagate
dicevano che non vi lavate
o usate l’acqua del canale
quella che non si può bere perché fa male
Una volta dunque,
io ti ho conosciuto
adesso ti riconosco
sdraiato sul selciato col volto reclinato
ti ho già visto altre volte ammazzato
col volto coperto da un lenzuolo
(era un venerdì che non si andava a scuola)
ti ho visto che piangevi sull’altare maggiore
e dal cuore d’oro ti crescevano le frecce
come tanti riccioli bruniti dalle rocce
Sorridevi da una foto ingiallita,
nella compostezza della notte cubana
la tua testa sorretta come un cespo di banane
o un giocattolo che non si vuole comprare
Di quegli orsi che si vedono per le piazze
quelli che ballano perché li si picchiano sulle zampe,
una volta ti ho visto,
chiedevi l’elemosina lungo il corso
e avevi quattro bambini tutti uguali e bianchicci
col moccio che colava sulle braghe
ti ho visto, portavi un collarino di denti d’osso
e lavavi le finestre delle macchine col rosso
Eri tu, ora ti riconosco.
E sì, non mi sbaglio
eri certamente tu che stringevi
quel soldato con la divisa da campo
il bambino coll’armonica a bocca
che distribuiva note antiche all’imbocco
della metropolitana
era verso natale,
suonava quella canzone di guerra,
quella canzone, canzone…
non me la ricordo, ma era bella
Sono sicura, ora sei tu,
ed io una volta ti ho conosciuto
ma mi affanno a premerti le mani
sopra il petto
come potessi costruirci
un acquedotto
per portare fino al mare
quello che mi hai detto
Eri tu, sono certa,
non mi sbaglio nella fisica di un volto,
il tuo cane, un bastardino,
la tua mamma, la casina sopra il porto…
si è preoccupata tanto quando te ne sei andato nel bosco
ti ha sempre detto che ti saresti perso nel fitto della foresta
tra i rami verdeggianti della testa,
in qualche giro un poco losco…
E ti aveva annunciato che ti avrebbero sparato?
come una bestia ferita
quando si insegue un branco sciolto
che ti avrebbero impagliato
questo, te lo aveva annunciato?
Annunciazione muta
e senza rancore
aspettavi nel quadriportico vicino al pozzo
che un angelo ti venisse a portare
uno stato senza peccato
ma quell’angelo non è arrivato
E sì mi sembra proprio di ricordare
quel tuo volto emaciato
in certe fosse cristalline che abbiamo dimenticato,
ti ho già visto altre volte sul selciato
sotto i cingoli di un carro armato
Ora capisco
era tua quella faccia al supermercato
che mi ha spintonato con la spesa
e sono cadute gemme di aceto
si sono sparse a terra macchiando
il pavimento
Saranno ricoperte da una colata di cemento
le tue ultime parole senza senso
come quei quadri che mi porto dentro
le linee che non sai spiegare
quando distendi la mano sull’altare
e ti pare
sia rossa di quel rosso innaturale
che ha il sangue l’ultimo giorno del mestruo
mischiato alla fanghiglia dell’asfalto
il mio ovulo marcio che scende dal sesso
come un figlio mai nato
Così è ora,
ora mi ricordo,
la polpa del tuo sguardo
Io ti conosco
ora che ti guardo,
ora che sei morto.