di Marilù Oliva
Ariase Barretta, Psicosintesi della forma insetto, Meridiano Zero, Bologna 2014, pp. 202, € 12.
Lorenzo, trentenne bolognese, dovrebbe pubblicare il suo primo romanzo, Grumo di sangue, ma qualcosa gli rovina le aspettative: una doccia fredda giunge proprio poco prima della firma del contratto. Il suo editore, persona per cui ha collaborato e che lo stima, gli mostra un libro appena uscito. Peccato che sia proprio identico al suo e il dato è inequivocabile.
Plagio? Truffa? Furto? Casualità? Se quest’ultima è bandita, il tema della colpa – colpa assoluta, al di là della nostra volontà, si profila furtiva fin dall’incipit:
«Non si nasce colpevoli. La logica del peccato originale si attiva con l’invenzione della cultura, di conseguenza l’errore non si eredita da chi ci ha partoriti, ma da chi ci ha educati. Il sacramento non rende liberi dalla colpa, ma ci condanna ad assumerne una che non ci abbandonerà mai per il resto della vita. Ci rende parte della farsa, complici a volte inconsapevoli di questo inganno. È in quel momento che nasce il peccato. È da quel momento in poi che nessuno può più dirsi innocente.
Eppure pensavamo di essere nati senza colpe!
Ma a renderci oltraggiosi e assassini è la volontà di chi ci ha resi vivi. E non vivi come noi lo intendiamo, bensì come essi lo intendono. Pensanti, determinati, responsabili di ogni nostra azione. Noi, volentieri, saremmo rimasti nelle nostre crisalidi.
Ci saremmo nascosti nei sistemi elementari».
Da Bologna, Lorenzo parte per Napoli, dove vuole rintracciare il misterioso autore che ha pubblicato il suo romanzo. Di esitazioni ne ha poche, tanto più che ha ricevuto una notizia importante sulla sua salute, una di quelle notizie che, se non cambiano la vita, almeno rischiano di metterla in crisi. Lorenzo si sente “un porto di mare”, lui che fa entrare chiunque nella sua esistenza: cosa sarà mai cambiare città per qualche tempo, con la missione di prendersi una verità, quando non una vendetta? La città partenopea è un luogo fuori dal mondo, lo accoglie acquosa come una dea-madre, ma ispida di venti come una matrigna cattiva e la tentazione a fondersi con essa è forte: «Una parte di me è pronta ad abbandonarsi al caos, ma ciò non deve accadere».
Napoli svela anche la sua parte picaresca, le strade strettissime, le piazze minuscole, le scalinate: per il protagonista è un attimo trovare alloggio in una casa ospitale e rumorosa, dove avvengono gustose gag tra marito e moglie. Ma Lorenzo non dimentica quello che è il suo obiettivo: rintracciare lo scrittore-impostore che gli ha rubato il libro. E per trovarlo basta andare alla prima presentazione.
Eccolo, l’imbroglione.
Si chiama Antonio Calvi e non pare un grande oratore. Davanti a tutti Lorenzo cerca di metterlo in difficoltà con una domanda tranello: gli chiede il perché del titolo. Ovviamente quello non dà la risposta esauriente che il quesito meriterebbe. A questo punto siamo quasi a metà del romanzo e non anticipo altro, della trama, se non che non indovinerete nulla. Del resto di originale, in questo volume, ci sono parecchi elementi, a partire dalla struttura. Suddiviso in parti dai nomi emblematici quali embriogenesi, crisalide, larva, esoscheletro, porta avanti un’allegoria della metamorfosi, anzi, delle metamorfosi, al plurale. Quelle che ci aspettano, quelle inevitabili, quelle che tentiamo goffamente di camuffare, imbrigliando gli altri in recite faticose. Se la questione del divenire è cara a filosofi ed artisti fin dall’antichità (Ovidio) ai giorni nostri (Thomas Harris, per citare l’esempio forse più conosciuto), inedito risulta proprio il valore sia architettonico che emblematico che qui le viene conferito.
Altri temi vengono affrontati con fare mai pedantesco, ma con uno sguardo vigile e ironico che si riflette sullo stile: il possesso dell’arte, l’impalpabilità della stessa, la vendetta, l’omosessualità, i sensi di colpa, l’ipocrisia, la mancata accettazione, i grovigli delle lacune familiari e le condanne cui ci sottopone a volte chi, anziché castrarci, dovrebbe proteggerci. E il cambiamento come stadio mai definitivo di un continuo divenire.
Molto particolare è il tipo di approccio alla vicenda. L’autore è riuscito a controbilanciare alla rabbia, al cinismo, al rancore che chiunque proverebbe, calato nei panni di Lorenzo – vittima malcapitata ma non fessa, in un mondo di squali – con sentimenti inediti per i tempi che corrono. Tra tutti riconosco quell’humanitas – non certo cristiana, ma lascito dell’antica Roma – tanto cara a Terenzio e oggi abbastanza negletta, molto più di un senso di solidarietà e vicinanza all’altro, quindi capita, tra le pagine, di leggere frasi da sottolineare in rosso, come questa:
«Odiare qualcuno equivale a ingaggiare una guerra contro se stessi ed è l’unica guerra che si può vincere solo se si batte in ritirata».
Ariase Barretta (nella foto sopra), nato a Napoli e residente a Bologna, già autore di Darkene (Meridiano Zero 2012) e Litany (Onirica Edizioni, 2010), scavalca le aspettative. Lasciandovi con due incognite. La prima è: ma il male, che veste indossa? La seconda è: e io… che insetto sono?