di Giorgio Morale
Chandra Livia Candiani, La bambina pugile ovvero La precisione dell’amore, Einaudi, Torino 2014, pp. 168, € 13.00
Poesia è conoscenza e passione
La poesia di Chandra Livia Candiani coglie il rischio della contemporaneità, che oggi è quello estremo: l’entrata in crisi del rapporto dell’uomo con il mondo e con l’altro (“Vedi, tutto può crollare / qui. Le facce come le case, / sono cinema, sono cenere.”; “l’universo non ha un centro”). E non solo: è in questione l’estinzione della specie e del pianeta che l’accoglie, il mondo come l’insieme delle vite e delle relazioni. In seguito alla riduzione dello spirito a tecnica e del valore a profitto, l’uomo è entrato in guerra con la terra che lo porta e l’aria che respira. Ha paura della tristezza e del dolore, dell’impermanenza e della morte, pago di produrre “polvere d’informazione”.
La poesia di Livia Candiani rifiuta le soluzioni metafisiche entrate in crisi con la modernità (“Non serve schiodare il cielo / a caccia di segreti”) come pure un’antiteticità appiattita sull’esistente. Essa si pone in un punto zero sostanziato da uno sguardo critico sul presente e da apertura a ciò che salva: farsi da parte dal centro che l’uomo nel corso della sua storia ha indegnamente occupato (“Qualche volta io / non ci sono e sono / tutta l’aria, sono / pulviscolo atmosferico”; “Adesso che non so più niente /… che non sei più al centro / e quello che conta non è più / al centro”); ritrovare il senso del proprio essere nel mondo (“E mi lascio / a quel non so / di cui faccio frammento”); riconoscere “che ogni acqua è santa / e ogni luogo sacro / se assente di noi”; accogliere il dolore e la gioia del mondo, abbracciarli e cantarli (“si svanisce / insieme, / nello spazio di carità / tra te / e l’altro”), testimoniarli nel linguaggio e così offrirli agli uomini (“Ti copro il mondo di parole”). La parola poetica così si conferma modalità privilegiata del nostro familiarizzare con il mondo. Così la poesia supera una dimensione solo estetica per fare tutt’uno con la vita e diventare etica e forma di resistenza. Perché “Poesia è conoscenza e passione”.
Una faccia spalancata / al cosmo
Sto parlando de La bambina pugile ovvero La precisione dell’amore: un canzoniere sui generis in cui l’amore, assunto come esperienza privilegiata per dire una vicenda umana, viene declinato in maniera inedita nella poesia italiana. A partire dal titolo, che costituisce una sorta di ossimoro in cui la tradizionale vaghezza dell’amore viene associata alla precisione. La precisione è infatti necessaria per dire, dell’amore, tutte le sfumature, come è chiaro sin dalla dedica che apre il libro e in dodici righe fa un inventario del gran mondo: “ai vivi, ai morti, e ai mai nati, ai sopravvissuti, a tutti gli oggetti del lavoro umano, tavoli, sedie e letti, e pane e vino, e orti, e a tutti i cari, furiosi o delicati, animali… all’universo che non finisce”.
In questo scenario trova nuovo significato, come la parte nel tutto – e al contempo come parte che è il tutto –, il rapporto amoroso tra uomo e donna. Un amore che evita misure (“La misura esatta è l’infinito. / E il tintinnio delle cose. / Qui.”), come è dei grandi poeti russi Marina Cvetaeva e Boris Pasternak, amatissimi da Livia Candiani, anche lei di origini russe. Difatti è un “amore grande…/ la sorte/di un deserto la sua improvvisa/fioritura”. Un amore immerso nel quotidiano, vissuto nell’“aria / innamorata / della stanza” e ricollocato nel vasto mondo (“Amare / essere amati / pelle con pelle / respiro / passo / dentro buccia / di mondo”).
Il mondo, l’io, il corpo, la relazione, la parola, la morte, l’amore e le ferite della vita sono sin da Io con vestito leggero (Campanotto 2005) alcuni dei temi della poesia di Livia Candiani. C’è un duplice movimento: da una parte un’apertura del soggetto al “mondo della vita” che oltrepassa il pensiero della crisi e innesta un “andare alle cose stesse”, mentre d’altra parte le cose del mondo vanno incontro al soggetto che esperisce. “È un grande paesaggio / il mondo, / ogni animale / lo conserva, gli dà sguardo…/ Offriti al paesaggio grande, / dalla finestra / o in piena aria aperta, / chinati a portare il mondo / sulla schiena nelle ossa” (Mappa per pregare). Centro di attrazione-irradiazione di conoscenza è il corpo: “Il tuo corpo / è la verità / la cronaca in diretta / del danno, / che siamo” (Entro nella stanza). Perché “Il corpo è esposto /… Il corpo si lascia segnare / dove l’anima già si ritrae”. Il corpo perciò è sapiente, “è patria e dimora”: tra “il silenzio assordante /… e il mondo…/ tra tu universo e tu mondo / non c’è che il corpo” (Dunque, sapiente).
Il Poeta, e l’uomo, è “una faccia spalancata / al cosmo”, di cui traccia mappe (così si intitola una serie di componimenti della raccolta). Ne risulta una posizione di apertura, disponibilità, accoglienza: “… consegnati allo sciame / del firmamento / e lascia che ti sfili / pezzo a pezzo / faccia a faccia / il mondo”. Di “accettazione smisurata / del presente” per “inchinare un grazie a tutto / ma proprio tutto, / anche il male, soprattutto questo male” e per “sentire il bene grande / quell’aria che ci sta sempre intorno / che sempre bada a noi”. Una posizione di consapevolezza della inconsistenza di dogmi e ideologie: “lasciar perdere il miraggio / di una via rettilinea, di un / orizzonte, lasciarsi curvare, / piegare alla tenerezza / delle anse del destino” (La vita nuova). Ma anche di coinvolgimento che rifiuta schemi e schermi gnoseologici ed emotivi, come è detto nella poesia di apertura: “sto senza riparo / nel pieno / di un amore a raffica”. La poesia va così oltre il vuoto e lo spaesamento di tanti paesaggi contemporanei e ci porta in una ricostruzione del mondo per nulla pacificata anzi consapevole della situazione problematica in cui sorge e in tensione con le false credenze e le verità d’uso, per ritrovare nel quotidiano “evidenza che siamo / tutti”.
È in volo che arriva il senso
A distinguere questa poesia è innanzitutto la forza degli incipit, l’arte di cominciare una poesia. I testi di Livia Candiani trovano il movimento appropriato e la parola giusta per enunciare il tema in apertura, senza strategie di avvicinamento, senza avarizia o risparmio, e sollevano il lettore a un’altezza che il corpo del testo mantiene. “…è in volo che arriva il senso” leggiamo in Mappa per l’ascolto. Di questo tipo sono, ad esempio, molti incipit de La bambina pugile: “Pesa essere amore grande?”, “Cosa diciamo / Quando diciamo me”, “Amo lo spazio / che ti sta intorno”. A volte l’incipit si pone come conclusione di un discorso interiore, quasi a evidenziare il prima da cui nasce: “Dunque, per ascoltare”, “Eccovi / bambini cattivi”, “Dunque non ti ho detto addio”, “Ecco, guarda ti regalo questa”, “No, i morti non vagano nell’aria”, “Eccola / la morte mia”, “Niente, è che a me piacciono da sempre”, “Dunque, sapiente è il corpo”.
Ciò ha a che fare con la nascita di questa poesia non da programmi precostituiti ma dalla necessità di rispondere al dettato interiore di una voce che chiede al Poeta “di essere/asciutta risonanza”. Quindi dall’attesa, dal silenzio, dall’ascolto, dall’incontro, dal sorprendersi e dal lasciarsi sorprendere, dalla gratitudine per ciò che è. La stessa Livia Candiani in una intervista di alcuni anni fa di chi scrive ci dà l’accesso al prima della sua poesia: «Dedico tempo al silenzio, alla sospensione della mente discorsiva. Cerco di non chiacchierare e di non ascoltare chiacchiere, di mantenere il canale della parola libero per altri ascolti, per altre visite. Cerco di dire e di ascoltare l’essenziale». Lo leggiamo anche ne La bambina pugile: “Prediligi / il silenzio che segue la nota / e la rende sconosciuta / e lesta nello sfuggire / ogni via domestica del senso… Ripiega i pensieri / fino a riceverle in pieno / petto risonante / le parole in boccio” (Mappa per l’ascolto). Con un’avvertenza del Poeta a se stesso e al lettore: “Per ascoltare bisogna aver fame / e anche sete”. Fame di conoscenza, fame di amore: “Ho l’anima di carta / prende fuoco per un nonnulla”.
Dammi una parola sola
La poesia di Livia Candiani è cantata in un pianissimo che pare sorgere dall’interno di noi stessi e raggiunge vette di intensità straordinarie. Essa non vuole incantarci con un impressionismo che vada a scapito della precisione né assuefarci con la musica, non agisce con l’ipnosi del ritmo, pur essendo intessuta della musica sottile che nasce dal farsi senso di “un ascolto che precipita” e dalla prossimità del silenzio di cui rimane traccia nel “bianco tra le parole”. Essa si pone al di là della destrutturazione del linguaggio tipica della postmodernità ed esercita un incantamento di tipo semantico più che fonico, in virtù della capacità di infondere energia e risonanza alla parola. A una domanda su cosa è più urgente fare, in quanto poeta, nella situazione attuale in Italia, Livia Candiani risponde: «Salvare la parola. La parola è in via d’estinzione. Non dice più. Forse informa, talvolta comunica, ma trasmette quasi mai». Alle parole non a caso è dedicata una bellissima serie di componimenti de La bambina pugile.
Le parole sono “segni sulla pelle del mondo” e “rifugio esposto”, esse non sono possesso del Poeta ma “stanno nel mondo, / in ordine sparso, / fuori, attorno alle cose/o nel loro oscuro fondo” (Non ho le parole). Sono “richiamo per esseri umani” e “una breccia, / una spaccatura che allarga luce”. La parola permette l’accesso alla “pura verità, quella che non vuoi / e nemmeno immagini” (Mappa per pregare) ed è anche prassi, un gesto carico di conseguenze: la parola “modella l’anima, / la istruisce/a irriducibile tenerezza” (Sei tu parola).
Fondamentale è quindi la pulizia delle parole grazie a quella maestria nell’arte del levare (“Non voglio una parola di troppo”) che toglie peso al testo e ha fatto parlare di “leggerezza” del linguaggio di Livia Candiani. La ricerca della parola giusta permette profondità di scavo e sottolineature critiche, condotte in una “notturna guerra” per raggiungere il punto di equilibrio della tensione tra segni e significati. Fondamentali anche la disposizione delle parole, il loro accostamento (alto/basso), la loro composizione in un dire poetico inusuale nella poesia italiana, che unisce squarci lirici a toni riflessivi a sentenze gnomiche, più comuni nella poesia orientale di Rumi, Kabir e Tagore, mentre, per l’Occidente, può ricordare la poesia metafisica, Donne, Dickinson e Rilke.
L’amore per questa poesia da tenere all’altezza del cuore è cresciuto senza che se ne parlasse sulle tribune che determinano il successo di un prodotto culturale. A parlare di Livia Candiani sono stati quasi esclusivamente poeti: a esempio Antonio Porta che la incluse nell’antologia sulla Poesia degli anni Settanta, Laura Di Nola che la incluse nell’antologia Poesia femminista in Italia. Il silenzio dei critici può essere spiegabile con l’essere Livia Candiani appartata rispetto al mondo culturale e il suo rifuggire etichette e poetiche. Nella conversazione citata Livia Candiani così rispondeva a una domanda su linguaggio e poetica: «C’è una storia in cui un coniglio incontrando un millepiedi gli chiede come faccia a camminare con tutte quelle zampe, se non lo trova complicato. Il millepiedi, che non ci ha mai pensato, comincia a farci caso e barcolla, inciampa, cade. Allora dice al coniglio: “Mi hai fatto perdere la mia semplicità.” Non credo che la semplicità si possa perdere, se, come dice Pasternak, è il punto d’arrivo di un percorso, però uso quel che ho a disposizione per scrivere, la lingua che il mondo e la famiglia e i libri che ho amato mi hanno dato».
Proprio per questo anche ai lettori non addestrati alla poesia arrivano in modo diretto i versi di Livia Candiani, pervasi di un’istanza comunicativa che talvolta si esprime in forma dialogica. Come dice Tzvetan Todorov, «il lettore non specialista,… legge le opere… per trovare in esse un significato che gli consenta di comprendere meglio l’uomo e il mondo, per scoprire una bellezza che arricchisca la sua esistenza… Se non avesse ragione, la lettura sarebbe condannata a sparire nel giro di breve tempo» (La letteratura in pericolo).