di Chiara Cretella
Sono uscita dal cinema ed è stato
uno sfavillio d’immagini riflesse
io disperati alla ricerca di una luce
che ponesse in evidenza soldi e croce
Una discoteca chiamata Lobby
dove spingevano per entrare
ragazzi lampadati e troiette Pomellato
mi hanno avvolto in sigarette e tacchi a spillo
Ho urlato “Gente di merda”
ho gridato…
l’avrei messi sotto al mio scooter rubato
mi hanno chiesto “dove vai così di fretta”
E io sono volata
su quella via, dove il cinema non finiva nella sala
ma usciva fuori per la strada
e dal paradiso, sono arrivata al tuo viso
Emerso da un muro scrostato
vecchio come me, 25 anni di freddo
e muffa, e il vetro rotto a proteggere
sette cerchi di gesso
Sette passi dopo ti sei accasciato
come la demolizione del passato
sette respiri tra te, Francesco,
e questo destino incontrato per caso
Io non ti conosco
ma ho gridato
e se avessi potuto,
avrei pregato
Ma il mio Dio è il mercato
un meccanismo che vive solo nel presente
e fa del futuro il suo stato
Soddisfa il desiderio dell’oggi
e l’ieri l’ha dimenticato
si nutre della complicità della gente
questa volontà di non sentire niente
Perché è l’Italia che compie peccato
questa puttana che si concede al primo arrivato
Ti hanno intitolato un piccolo parco
di quelli di periferia, sporche aiuole malandate
e pochi fiori tra le siringhe e le carte gettate
Giardino Francesco Lorusso
Morto tragicamente l’11 marzo 1977
Perchè non dicono barbaramente assassinato
perchè non scrivono freddato alle spalle
da uno sbirro fascista servo dello Stato?
Ci sono voluti 25 anni
e io, conto i miei giorni sui tuoi silenzi
continuo mio malgrado a camminare
E posso entrare in questa biblioteca di quartiere
cercare di te in qualche libro a scaffale,
ho trovato anche una foto
tenevi il pugno chiuso e uno striscione
eri insieme a una folla di persone
che ora sono mamme e padri di famiglia
e magari hanno una figlia che mi somiglia
Eri vivo e salutavi
in quell’attimo di eternità staccato
dal giornale ingiallito della vita
salutavi la fine della partita
E io, con che parole ti posso ricordare,
non mi conosci, non sono una persona normale
una di quelle che passa e non si ferma
una che si gira alla vetrina di destra
E una targa, si scorda in fretta
per un padre che alla sera sente la stretta
di un cuore morso in un rantolo di amarezza
Quella rabbia dell’impotenza
che vorrebbe avere giustizia
certezza incredula e perfetta
Lo guardo piangere alla finestra
di questi anni senza nome
di questi figli rinchiusi nelle scuole
e vorrei consolare e asciugare
tutto il sangue che continua a colare
ma insieme, ogni cosa che muore
diviene simbolo o errore
e in questo tu e Moro siete uniti nell’orrore
Il cinema era su quella via,
cosa avrei dovuto fare, scappare via?
troppo fragili le ali del mio seno
per dirti che oggi c’è lo stesso cielo
la stessa aria che anelavi mi attraversa
e la città che amavi dorme nell’indifferenza
E se ogni morte ha un significato
la tua sera è stata il mio presagio
di questo giorno che vuole
solo la notte del mio giovane ardore
Buonanotte, mia generazione
(11 marzo 2006)