di Alessandra Daniele
Il piccolo cazzaro fiorentino l’aveva detto: Tony Blair è il suo modello. S’è quindi fiondato in Iraq a cercare di spacciare le stesse balle di B. Liar vecchie di dieci anni sulla War on Terror, tutto tronfio e impettito come un pollastro. Il nostro Tiny Blair è molto fiero del suo ruolo di mosca cocchiera degli Stati Uniti.
Il Capitale in crisi ha bisogno di un’altra Grande Guerra per far ripartire l’economia con l’industria bellica, e la Ricostruzione.
No, gli 80 euro non sono bastati.
Oggi però una terza guerra mondiale nello stile delle precedenti è impraticabile, perché le armi micidiali – nucleari, chimiche e batteriologiche – alle quali praticamente tutti ormai hanno accesso renderebbero il pianeta completamente inabitabile.
Stavolta nessun continente verrebbe risparmiato.
Una Global Thermonuclear War non lascerebbe più niente da ricostruire. Una pandemia di Ebola non lascerebbe più nessuno che ricostruisca.
Gli unici vincitori sarebbero gli scarafaggi.
S’è scelto allora di usare il subcontinente asiatico-africano come Arena, nel modo in cui gli imperatori romani usavano il Colosseo per tornei gladiatori e piccole battaglie navali, le naumachie, dopo averlo allagato.
Non è certo un’idea nuova, tutta l’era della Guerra Fredda è stata caratterizzata dalle Proxy Wars, dalla Corea, all’Afghanistan.
Oggi però le possibilità che la naumachia asiatico-africana rompa gli argini e dilaghi in tutto il mondo sono apocalittiche.
In ogni caso, saremo i primi ad accorgercene: l’Italia è proprio al confine del campo di contenimento dell’Arena. È il fusibile.
E sarà il primo a saltare.