di Daniela Bandini
Stefano Di Marino, Ora Zero, Editrice Nord, 2005, pp. 692, € 18,60.
Linda, Bruno, Regina, Dragan, Moretti, Echevarria, sono questi i nomi che non si decidono a lasciarmi tornare alle normali occupazioni di una persona in tempo di pace, per quanto precaria. Non hai scampo: questo romanzo ti prende a tal punto che ogni notiziario sul quale ti sintonizzi usando il telecomando come un revolver sembra dover notificare gli ultimi aggiornamenti sull’avanzare della pandemia di peste polmonare o del fallout radioattivo che sta decimando Dublino. Ma paradossalmente, quella sensazione di accerchiamento militare alla quale siamo sottoposti nel romanzo potrebbe essere il preludio: una specie di corso di aggiornamento delle nostre difese psicologiche e intellettuali, verso una guerra senza esclusioni di colpi, di cui per ora intravediamo solo i rozzi e brutali connotati iniziali.
E’ un’Europa allo sfacelo, quella che appare nel romanzo di Di Marino. Una specie di spartiacque tra la logica illuminista del secolo e nuovi feudalesimi subliminati dalla guerra balcanica. E’ contro un’Europa fragile e disarticolata che una potente organizzazione, agganciata materialmente e quindi economicamente ai poteri decisionali planetari, decide di attuare ricatti ferocissimi, con l’obiettivo di farla precipitare nel campo gravitazionale degli Stati Uniti, il maxisistema mondiale. I vantaggi, le illusioni, un nuovo ordine mondiale basato sul rispetto delle diversità e delle civiltà, tutto quello che di alternativo poteva produrre un’ideologia europea, si vedono sviliti e resi irrecuperabili proprio da un terrorismo insito dentro le sue contraddizioni: la guerra dei Balcani, il tabù infranto.
La centrale DSE, la super intelligence europea, è chiamata in prima linea a fronteggiare questo nemico. Come successe per altri terrorismi che poco prima servivano agli interessi locali per essere poi rinnegati, Caspar Dragan è un capo indiscusso e indiscutibilmente abile che vanta antiche discendenze risalenti nientemeno che a Vlad Dracul, nel 1356. Questo avo venne incaricato di controllare le montagne e sconfiggere i turchi che avevano invaso i Balcani. E li fermò.
I “Vrykolakes”, i succhiatori di sangue, i vampiri, così Caspar Dragan chiamerà i suoi miliziani, e come Vampiri agiranno e saranno temuti. Terranno in scacco l’Europa e tutte le sue strutture, agendo sull’ambizione dei singoli e degli Stati, colpendo con quelle armi di terrorismo di massa che nel fobico sottofondo delle nostre menti incombono da decenni: la minaccia nucleare e la guerra batteriologica. E come nelle nostre paure più irrazionali saranno la casualità e l’imprevisto le armi più sofisticate per seminare il terrore, mentre, come in quelle più razionali, saranno gli uomini a decidere, in bilico tra coscienza e il destino.
E così il romanzo, avvincente e scrupolosissimo, ti avviluppa nelle pagine, si allarga senza mai perdere lena, e ci ritroviamo nella passione del suo autore per le arti marziali, pronti a colpire con favolosi colpi micidiali e a sorpresa, stanchi dopo l’azione, affamati e assetati, pieni di dubbi ma decisi a continuare. I nostri panni sono quelli di Bruno, che nel libro si trova coinvolto deliberatamente nel più complicato intrigo internazionale della storia, col ruolo altalenante di dirigente e traditore, e quelli delle figure femminili, tutt’altro che secondarie e di maniera, dotate di un carattere d’acciaio con qualche delicata manifestazione della latente femminilità, vista però come una risorsa, e non come facile espediente per ottenere scorciatoie in campo professionale o relazionale.
La conoscenza dell’autore è davvero notevole e trasuda in tutte le pagine: dagli eventi della guerra in Jugoslavia, alle armi impiegate, all’addestramento militare. La capacità di descrivere gli armamenti pesanti, dai missili ai sottomarini nucleari, fanno pensare a studi rigorosissimi. Altrimenti il lettore non potrebbe appassionarsi così, aggrappandosi alle pagine, e non sono poche, quasi col terrore che finiscano troppo presto.
Finisco col citare un passaggio, che si riferisce al passato, e che auguriamoci non riguardi mai il futuro: “Come ricorderete, gli attacchi con l’antrace negli Stati Uniti all’indomani dell’11 settembre e la caccia alle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein avevano riacceso il timore del bioterrorismo per cui, nei primi mesi del 2002, si era deciso di avviare un programma di studio e prevenzione contro possibili armi batteriologice. A questo scopo, nel ‘serbatoio della febbre’ dell’Istituto Pasteur, il professor Petr Azardic’ iniziò a studiare il possibile impiego di bacilli della peste polmonare come arma biologica….”
Avete visto? Il passato, cioè il futuro, potrebbero già essere qui, ed è meglio tenere gli occhi aperti, magari decidendo di passare alla storia come scopritori di un potente vaccino piuttosto che come sterminatori di masse inermi.
Per tornare al profilo dell’autore, la bandella ci informa che Stefano Di Marino rinunciò a un destino di avvocato per darsi alla narrativa. Credo che sia un bene che quella laurea in giurisprudenza sia rimasta in fondo a un cassetto, per tutti noi…