di Alberto Prunetti

 

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Il giornalismo narrativo e l’ibrido tra saggistica e finzione sono uno strumento in più, a mio modo di vedere le cose particolarmente efficace, per raccontare le storie e provare a trasformare il mondo attraverso la creazione di nuovi immaginari, immaginari che a loro volta si plasmano di realtà, di conflitto, del desiderio di agire e incidere sul mondo.

 

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Di solito si tende a prendere come pietra miliare della letteratura “no ficción” l’opera In cold blood dell’americano (del nord) Truman Capote del 1965: una lunga investigazione giornalistica raccontata in forma narrativa e data alle stampe nel 1965. Eppure in un’altra America, quella del sud, il giornalismo letterario era già realtà da qualche anno, con un magistrale “relato testimonial” del giornalista e traduttore Rodolfo Walsh. Walsh nel 1958 dette alle stampe Operazione Massacro, il resoconto di un fucilato che vive, un’inchiesta che mette il potere al muro denunciando alcune fucilazioni operate dai militari argentini per reprimere un’insurrezione peronista.

 

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Prima di scrivere quest’opera Walsh è uno scrittore di gialli convenzionali che vive facendo il correttore di bozze e il traduttore dall’inglese. Arriva al giornalismo tardi, grazie alla scoperta della militanza politica. Sarà in seguito anche uno dei membri dell’agenzia cubana Prensa Latina, fondata dall’argentino Masetti, poi scomparso probabilmente in un tentativo insurrezionale. Ma questo avverrà dopo la scoperta della vocazione politica di Walsh, dovuta a un episodio che lo porterà a scrivere il suo libro più famoso, “Operazione Massacro”. Capisce infatti di dover raccontare un episodio di cronaca “come se fosse” un poliziesco solo quando, intento a giocare a scacchi in una sera estiva, viene per caso raggiunto dalla voce di “un fusilado que vive”: un insorto sopravvissuto a una barbara fucilazione  militare.

 

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Questo episodio violento di cui si trova a essere il narratore lo induce a rodare alcune caratteristiche fondamentali dell’ibrido letterario ben prima di Capote:

_l’opera si può leggere come un romanzo”;

_le forme narrative sono ibridate tra letteratura e giornalismo;

_il racconto ha un carattere testimoniale e polifonico (c’è la voce dell’autore ma ci sono tanti protagonisti, gli intervistati, etc etc…);

_l’investigazione giornalistica prende la forma dei testi di finzione per arrivare a un numero elevato di lettori e a un pubblico popolare (forma non aulica o troppo “letteraria” ma discorsiva);

_l’autore/investigatore deve ricostruire la verità, lavorare sulle fonti, sui testi, negli archivi, intervista la gente, riunisce gli indizi, ricostruisce i fatti:

 

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Walsh, al contrario di Capote, non ha un approccio sentimentale (e neanche cinico) con i testimoni e i protagonisti degli eventi che racconta. Il suo piuttosto è un approccio politico militante. Non è una star discesa tra i contadini. Scrive sotto falso nome, con la pistola in tasca e teme per la propria vita. Morirà infatti anni dopo, desaparecido, dopo aver scritto il più brillante e completo atto d’accusa contro i criminali golpisti: “Carta abierta a la junta militar”.

 

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Sempre in Argentina, Osvaldo Bayer (storico e “periodista de investigación”) riprende la lezione del suo amico Walsh e la applica al massacro di alcune migliaia di contadini e gauchos che nel 1921 avevano dato vita a uno sciopero insurrezionale in Patagonia. Bayer lavora negli archivi ma poi conduce indagini e interviste orali, anche tra gli estancieros e i militari che compirono o ordinarono la strage. Il suo lavoro Patagonia rebelde del 1972 sta a metà tra il romanzo e il saggio storico. Il libro di Bayer sarà bruciato in piazza durante l’ultima dittatura militare.

 

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La lezione di Walsh viene portata ai vertici narrativi da Miguel Bonasso, giornalista e politico argentino, autore di Ricordo della morte. Opera eccezionale, potente, perturbante che racconta il mondo delle detenzioni clandestine durante la dittatura degli indegni Videla e soci.

 

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Il Messico è da sempre un punto di innesto tra le due Americhe, quella del sud e quella del nord. Ed è proprio qui che negli ultimi anni le due correnti di giornalismo narrativo, quella argentina e quella statunitense, trovano un nuovo sbocco narrativo, a partire dalla necessità di raccontare le storie macabre del narcotraffico messicano. Tra le tante opere che raccontano questo fenomeno tragico, ricordiamo quelle di Yuri Herrera (La ballata del re di denari) e di Héctor de Mauleón (Marca de sangre), e soprattutto Z La guerra dei narcos di Diego Enrique Osorno che tenta un interessante esperimento di giornalismo infrarealista. Il riferimento va ovviamente a Bolaño, che in Messico ha vissuto a lungo, dedicando pagine inquietanti della sua ultima opera al racconto dei femminicidi di Ciudad Juarez (“La parte dei delitti” in 2066).

 

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La contaminazione tra cronaca e finzione letteraria è uno strumento che permette di fare i conti con la realtà, per sgonfiare le narrazioni del potere, per estendere la forza d’innesto nella realtà della letteratura sociale. Qui in Italia non sembrano mancare occasioni per questo tipo di ibrido (e in fondo cos’è Gomorra?). Forse le vendite in libreria non pagano sempre questo nuovo genere e i librai infilano questi libri negli scaffali sbagliati… ma volete mettere che piacere raccontare la vita e contribuire a trasformare il mondo, mentre altri scrittori si contemplano l’ombelico?

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