di Riccardo Valla
[In ricordo del nostro amico Riccardo Valla, pubblichiamo questo suo raccontino, crediamo inedito, ispirato a una delle macchiette di Giorgio Bracardi: il fascista Catenacci.]
Cari camerati, quando c’era Lui, mica c’erano questi scandali. Altro che Consob e Garanti e Governatori che sanno solo dire: – Toccava a te e non a me – . Quelli delle banche non facevano i furbi sui prestiti, perché il Duce li teneva d’occhio.
Eh, già allora erano sobillati dalle potenze demoplutomassoniche e dal maresciallo Sbrodaglio, anche lui col grembiulino. Ma il Duce sapeva a memoria le scadenze di tutti i prestiti e mai che gliene lasciasse saltare una; anzi, andava lui di persona a portare i soldi, quando c’era da restituire il prestito per l’Opera Camicie Nere. Ti veniva un groppo alla gola così, quando ti diceva: – E adesso firmi con lo svolazzo, per favore.
Mica come gli uomini politici di adesso, che promettono meno tasse per tutti e poi trovano le scuse per non farlo. Ma lui non sgarrava.
Pensa che una volta gli arriva Beneduce col genero, quello là tutto gobbo, Cuccia, che aveva sposato una sua figlia, non so più se Idea Fascista o Speranza Proletaria, tutt’e tre avevano dei nomi strani. Arrivano e gli dicono: – Duce, il senatore Agnelli vuole rinnovare il prestito obbligazionario -. E lui: – I prestiti vanno restituiti, se non ha i soldi, se li faccia prestare -. E al senatore gli è toccato andare a impegnare al Monte di Pietà le azioni della fabbrica, con Mussolini sempre attento che il genero non gli prestasse i soldi di straforo!
E tanto per dire come proteggeva il popolo dagli imbrogli, una volta gli arriva D’Annunzio, che gli dice: – Caro Duce del Fascismo, voglio lanciare il prestito per trasformare il Vittoriale in Garda-Landa, il Parco Giochi del Balilla, che oltre all’Ottovolante, alla giostra dei calci in culo e l’autoscontro, presenterà il padiglione del volo su Vienna, quello della beffa di Buccari, i leoni e le comparse di Cabiria, tutta roba italiana patriottica e robusta, mica quelle americanate coi topi dentro; ho già il progetto del parcheggio dei torpedoni e della stazione nuova per i treni popolari. Lasciami lanciare un prestito da cinquecento mila lire e ti metto dappertutto i grafofoni che suonano “Giovinezza”.
Già qualcuno mormorava: – Il Duce si fa fregà, il Duce si fa fregà – ma lui gli ha sorriso e ha detto: – Caro Vate dei miei stivali, noi non posiamo permettere che il popolo fascista metta dei soldi nel tuo Paese dei Balocchi perché farebbero la fine delle monete di Pinocchio. Piuttosto, alcuni volontari fiumani mi hanno chiesto dove hai messo i soldi che ti hanno dato per la lottizzazione dell’Agro Pontino con villini a schiera per i reduci. Adesso, tu glieli restituisci tutti e, se sei in bolletta come sempre, ti trovo io un lavoro adatto a un grande poeta. Farai squadra con il mio critico letterario preferito, il camerata Pavanati!
Quando ha visto Pavanati col manganello, D’Annunzio ha detto subito: – Ordina, mio Duce, mia Luce – perché ci provava sempre. E il Duce l’ha fatto venire tutti i giorni a Palazzo Venezia e l’ha messo nell’anticamera a scrivere gli slogan del lemoncello e dei cioccolatini e i versi per le pubblicità dell’Eiar. “Euchessina, Euchessina / Tu dell’egra umanità…” Così, invece di quelle sue poesie che tanto non le capiva nessuno, è stato per un anno a scrivere le canzoncine sull’Idrolitina del cavalier Gazzoni, e se la rima non gli veniva bene, giù una manganellata del Pavanati. Alla fine ci aveva una mano grossa così!