di Mauro Baldrati
La famiglia Dementi è un insieme di cloni sparsi nei piccoli, desertici, polverosi schermi televisivi.
Imperversano, durante i lunghi inserti pubblicitari, con cadenza ossessiva – con cadenza demente, appunto. E’ formata da tre-quattro persone: un padre e una madre molto giovani, di bell’aspetto, spesso coi capelli biondi o biondicci, da wasp americani, e uno-due figli, rigorosamente maschio e femmina, partoriti in età adolescenziale, visto che la madre avrà al massimo 25 anni.
Si può dire che “i creativi” li abbiano inventati con la pubblicità del Mulino Bianco, la famiglia tipo all’italiana (questo, almeno, deve essere stato il concetto delle menti imperscrutabili dei “creativi”), luoghi pastello, luci soffuse, colazioni idealizzate. Ma poi sono nati i cloni, e la famiglia Dementi si è scatenata, ha rotto gli indugi. Si è evoluta. Oppure de-evoluta?
Eccoli, in azione furiosa. Per esempio, li vediamo mentre puliscono uno specchio. Lui fa: “il detersivo X è composto dal 30% di questo e quello, toglie ogni traccia di sporco!” E lei, dalla stanza accanto, impegnata col bagno: “Sì, il detersivo X garantisce un risultato perfetto anche col calcare!” e così via per tutta la durata della scenetta. Un dialogo molto impegnato, serio, realistico. Non stanno recitando. Ci credono, è la loro vita, la loro comunicazione. Come quando la famiglia Dementi si riunisce per recitare il mantra “Facile punto it”, che sarebbe una sorta di broker di assicurazioni che garantirebbe un certo risparmio. Stringono i pugni, chiudono gli occhi, e ripetono “facile punto it, facile punto it!” varie volte, con facce ispirate. E ci sono anche un bambino e una bambina, i Dementini, che ce la mettono tutta. Sono coinvolti in una seduta spiritica, per evocare l’essenza preternaturale di facilepuntoit (per grazia ricevuta al momento questa performance è sospesa; ma “i creativi” fanno così: dopo la pausa tornano più inferociti che mai). Noi ci chiediamo: Ma parlano sempre così? La risposta è: sì. Loro sono così. I “creativi” li hanno creati così. Oppure: eccoli in cucina, che è uno dei luoghi preferiti della famiglia Dementi. Lui arriva a casa, innamorato e premuroso, dice “oh, hai preparato il risotto ai frutti di mare” e lei, tutta ammiccante, sensuale e seduttiva: “sì, il risotto Y” ecc. Sono ebbri d’amore, di piacere per il cibo, sono poetici, mentre buttano in padella il cibo pronto surgelato, come se fosse un piatto offerto agli dei, cibo santo, cibo di devoti, cibo di energia positiva, cibo magico. Un piatto pronto surgelato. Non occorre neanche aggiungere sale. Il loro piatto d’amore eterno. La loro promessa di una vita felice.
La famiglia Dementi è così iperrealistica, nel suo delirio ultrapatinato da film di fantascienza anni ’50, che il suo spettacolo, lo spettacolo di una demenza attiva, diventata “normale”, anzi, entusiastica, è eticamente imbarazzante. Non si può spettacolarizzare in quel modo la mente febbricitante delle persone, per quanto clonate. E’ diseducativo. E’ negativo per i bambini.
Per dire: lei, una wasp di pura razza anglosassone, sta preparando i wurstel W. Si sente un “tonf” e la voce fuori campo fa: “scopriamo cosa è successo”. Il resto della famiglia Dementi, papà trentenne, figlioletta wasp come la madre, figlioletto castano come papà, hanno sentito l’odore e si precipitano verso la cucina al rallentatore, eccitati, rovesciando tutto, come se avessero appena vinto quindici milioni di euro al superenalotto. Ed eccoli a tavola, impegnatissimi a tagliare i wurstel, in un tripudio di sorrisi, esplosioni di felicità pura. E’ uno degli eventi clou della famiglia Dementi. Il senso della vita. Il piacere supremo. La trasfigurazione della gioia. Poi arriva il Dementino che grida “W per tutti!” e addenta un wurstel e lo spezza come se fosse una barretta di cioccolato.
E noi? E noi?
Ci si stringe lo stomaco per lo scoramento, mentre sembra di udire la vecchia canzone: “era meglio morire da piccoli”…