di Checchino Antonini
Sarà sotto le sedi diplomatiche dello Zio Sam, a Roma e Milano, la prima risposta dei pacifisti alle nuove prove sull’uso di armi di sterminio di massa a Falluja. Anche se proposto in sordina, nei giorni dello sciopero della stampa e solo su una rete satellitare, il video di Sigfrido Ranucci per RaiNews 24 ha prodotto una breccia nel muro di gomma che avvolge la vicenda di uomini, donne e bambini sottoposti alle pesanti attenzioni dell’esercito occupante. Napalm e bombe al fosforo. La “guerra al terrorismo” è terrorismo. I fatti erano stati denunciati invano per anni dalle organizzazioni irachene per i diritti umani che avevano raccolto le voci dei testimoni diretti dopo la fine dell’assedio nell’estate. Ne aveva ripetutamente fatto cenno al Jazeera, la tv panaraba. La Croce rossa e le ong furono bloccate dagli eserciti Usa e iracheno alle porte della città assediata. E la stampa “embedded”, arruolata, fece calare il silenzio sul massacro.
Come per Abu Ghraib e le torture di prigionieri di guerra è stata necessaria la denuncia dall’interno, la confessione di un soldato, per avvalorare le grida del popolo iracheno e suscitare un sussulto di indignazione. Ma i responsabili delle torture sono a piede libero, la violenza arbitraria sui detenuti continua così come persiste l’occupazione militare. «Quante denunce dovremo fare prima che si separi la responsabilità del nostro paese da coloro che non disdegnano di bruciare bambini a fuoco lento?», domanda l’appello per i sit-in di lunedì e martedì, il primo alle 16 sotto l’ambasciata Usa di Roma, l’altro al consolato milanese alle 18.
A promuovere i sit-in associazioni, sindacati, giornali e partiti che hanno dato vita e hanno attraversato il movimento per la pace, senza se e senza ma. «Abbiamo chiesto al governo, più volte e inutilmente, risposte chiare su cosa fosse accaduto a nostro nome in Iraq – ricorda Francesco Martone, senatore del Prc. Era marzo dell’anno scorso quando le notizie che arrivavano dagli ospedali iracheni facevano intravedere violazioni gravissime delle convenzioni internazionali nella già illegale guerra all’Iraq. tre rappresentanti delle ong di quel paese, a novembre del 2004, consegnarono un dossier ai senatori della Commissione diritti umani. Solo il video – prodotto da una delle migliori redazioni Rai e passato tra le strette maglie della censura, restituisce, senza altri dubbi, le immagini di esseri umani resi irriconoscibili dal fuoco chimico, «da armi capaci di bruciare la pelle in pochi istanti», continua Martone che inserisce, tra gli auspici della prossima legislatura, l’istituzione di una commissione parlamentare sui lati più oscuri di una missione irachena di cui il «governo italiano è corresponsabile». «L’amministrazione Usa si è resa colpevole di ciò che imputava a Saddam Hussein: del possesso e dell’uso di armi di distruzione di massa. Da questo crimine di guerra l’Italia deve dissociarsi e chiedere che indaghi l’Onu, altrimenti sarà complice», aggiunge Pietro Folena, deputato di Rifondazione.
«Considerato che il fosforo bianco è un’arma di distruzione di massa bandita dalla comunità internazionale e vietata dalle convenzioni internazionali sottoscritte anche dagli Usa», i deputati Prc hanno presentato una mozione per chiedere al governo di «promuovere presso l’Onu un’iniziativa immediata per realizzare un’inchiesta ufficiale sull’uso di queste armi e sulla violazione delle convenzioni internazionali, e per portare in giudizio i responsabili di questi crimini, e verificare che nelle infrastrutture militari Usa e Nato sul territorio italiano non siano presenti armi di tale natura».
Per attivare la procedura sulla violazione della convenzione internazionale per la messa al bando delle armi chimiche (firmata anche dagli Usa) serve la denuncia di un altro paese firmatario, c’è chi propone che sia proprio l’Italia a farlo all’indomani della messa in onda del reportage. Lo chiede Fabio Alberti, presidente di “Un Ponte per”, la ong che solo lo scorso luglio aveva accompagnato a Strasburgo una delegazione della società civile irachena che anche allora denunciò al parlamento europeo il massacro chimico di Falluja.
Ma le agenzie, ripresesi dal silenzio dello sciopero, non registrano altre prese di posizione se non quelle di Rifondazione. Il governo tace. Al suo posto parla la Finanziaria che trova denari solo per finanziare le missioni e acquisire nuovi sistemi d’arma. E parla Martino, ministro della guerra, ma solo per definire una «montatura» lo scandalo Nigergate, quello a proposito del falso dossier fabbricato da faccendieri e spioni, anche italiani, per sostenere che Saddam stesse acquistando uranio arricchito. Sulla base di quel dossier i parlamenti della coalizione dei volenterosi scateneranno la guerra all’Iraq.
Dopo un lungo periodo di scarsa visibilità (ma di lavoro intenso), i sit-in saranno un passo per la riconquista della scena pubblica da parte dei movimenti pacifisti a cui non sono piaciuti i recenti tentennamenti del centro sinistra sull’eventuale ritiro delle truppe dopo l’altrettanto eventuale cambio di governo. «La mia sensazione è che non esista ascolto di queste nostre istanze», spiega Albino Bizzotto, presidente dei “Beati i costruttori di pace” che con più di duemila firme, un anno fa, avevano chiesto ai vescovi della Cei di pronunciarsi contro gli orrori di Falluja. L’amarezza di Bizzotto di fronte al silenzio della conferenza episcopale è la stessa provata da tanti pacifisti alla lettura dei programmi del centro sinistra a proposito di sicurezza e di esercito europeo. «Una solitudine, una distanza, che stanno misurando anche i giovani anti-mafia di Locri, gli universitari che occupano o le popolazioni No Tav della Val Susa – dice a Liberazione Paolo Beni, presidente Arci – però sono loro le energie nuove, la spinta deve ripartire dal basso, c’è bisogno che emerga una ribellione morale contro gli orrori della guerra. La maggioranza della società civile è ancora radicalmente contraria alla guerra e i fatti le danno ragione».
[da Liberazione, 11 novembre 2005]