di Antonio Nucci
Illustrazioni di Pierangelo Rosati
Sospetti e vecchi ricordi
1.
Nel centro di Verbania, in un ufficio della Procura della Repubblica, stavano seduti l’uno dinanzi all’altro due uomini divisi da una scrivania. Uno in completo grigio, stempiato e con baffi, l’altro in completo scuro con capelli corti color castano chiaro.
“Pensa che potenziando il numero di unità nella zona le cose potrebbero migliorare? Posso avanzare una richiesta, se lo ritiene necessario” disse l’uomo con i capelli castani.
“Non credo sia un problema di mezzi” disse l’uomo stempiato “e non credo nemmeno che possa essere utile spezzettare le indagini tanti tronconi.”
“Ma lei ha parlato di casi tra i quali non si intravede un seppur vago filo conduttore…”
“Sì, certo, ma credo che il problema vada comunque visto nella sua unicità. E’ mia opinione, puramente personale, che una cittadina di poche migliaia di abitanti dove l’ultimo delitto risale al dopoguerra per motivi politici non possa divenire tutto di un colpo un covo di assassini spietati isolati fra loro. Ci dev’essere qualcosa di più profondo sotto la superficie.”
“Lei dimentica però che, nel caso gli autori dei delitti fossero più di uno, non necessariamente questi dovrebbero risiedere tutti a S.Clara. Ha controllato se vi sono stati nuovi insediamenti di persone di recente? Turisti a parte, intendo.”
“Soltanto uno. Un certo Walter Ghetti. Pensavamo di interrogarlo in quanto persona informata sui fatti riguardo il caso di Alba Righi. E’ una delle ultime persone ad averla vista prima che scomparisse.”
“Mi raccomando, vada avanti in ogni direzione. Non vorrei che questa situazione ci sfuggisse di mano e che a Roma pensassero che è necessario mandare qualcuno perché non siamo in grado di fare passi in avanti. Anche la stampa ci sta incalzando parecchio.”
Il Sostituto Procuratore si alzò e strinse la mano al Procuratore Capo assicurandogli il massimo impegno nelle indagini, poi uscì dall’ufficio.
2.
Uscito di casa, Walter si mise in cammino senza una precisa meta. L’idea era di fare una camminata fra i boschi circostanti. L’autunno sembrava non voler mai arrivare e quel sabato pomeriggio era probabilmente una delle ultime occasioni per un’escursione con un clima ancora accettabile. La libreria l’avrebbe montata verso sera al rientro.
Canticchiando fra sé il ritornello di un pezzo dei Verve sentito poco prima alla radio imboccò un viottolo sassoso che conduceva a Monte Cappuccio. Non fu una scelta meditata, ma nel tragitto si ricordò dell’uomo buttatosi di sotto e decise di fare un sopralluogo sulla scena del suicidio, così, tanto per dare un obiettivo alla sua camminata. A un certo punto lasciò lo stradello per prendere una scorciatoia di cui si ricordava da sempre. Il sentiero era abbastanza ripido e dalla sua fronte cominciarono a cadere le prime gocce di sudore. Arrivato in cima si guardò attorno. Il paese era ai suoi piedi e poteva distinguerne ogni zona. Pensò al suicida ma non gli riuscì di cogliere nulla in giro che potesse visualizzargli la scena.
Dopo essere rimasto qualche minuto seduto su un masso a riposare e a contemplare il panorama incominciò la discesa, stando attento a non scivolare sul terreno friabile. Giunto nei pressi di una piccola cascata d’acqua, notò la persona chinata su se stessa e intenta ad analizzare su una parete sassosa qualcosa di non ben identificabile. Era un signore anziano ma robusto, con barba e capelli bianchi e vestito, nonostante la tenuta estiva, piuttosto distintamente. Alla vista di Walter sembrò per un attimo spaventato, ma dopo averlo focalizzato meglio con la vista, probabilmente non più tanto buona, tornò a concentrarsi sulla parete oggetto della sua attenzione.
Nemmeno Walter si soffermò più di tanto sullo sconosciuto e proseguì il suo cammino verso casa. Là lo attendeva il parroco. Don Mario doveva aver suonato il campanello da poco. Vedendo Walter approssimarsi al cancelletto si presentò. Era venuto per conoscere il nuovo membro della comunità e portargli la parola di Cristo. Walter lo fece entrare e gli offrì da bere.
“No, grazie, non è serio che un prete beva mentre diffonde messaggi di cristianità.”
“Be’, guardi, io non sono credente sebbene rispetti le scelte religiose di chiunque, ma penso che se esiste un Dio non può aver creato il vino per non berlo.” Strizzò l’occhio. ”Non ne farò parola con nessuno” disse porgendogli nuovamente il bicchiere.
“Quand’è così, sia benedetto il vino. Grazie.”
Fu in questo modo che fra l’ateo Walter e Don Mario il messaggero di Cristo si sciolse il ghiaccio e iniziò una conversazione così lunga da sorprendere entrambi.
“Lei ha conosciuto Don Clemente, quindi.”
“Sì, sposò anche i miei genitori. Mi dispiace davvero che se ne sia andato. Era un brav’uomo.”
“Se il Signore ci chiama avrà le sue buone ragioni, anche se a noi sfuggono.”
“Non ne dubito ma…sarei curioso di sapere come un uomo di chiesa riesce a dare una collocazione filosofica a ciò che sta succedendo a S.Clara. A tutte queste morti, soprattutto a quelle per mano di altri uomini.”
Don Mario attese qualche attimo prima di trovare le parole.
“Lei sa che il male si annida ovunque, evidentemente anche questo paese non ne è immune. Ricordo che Don Clemente prima di lasciarci mi parlò di un periodo, tanti anni fa, in cui sembrava che il male si stesse impadronendo della zona. Poi, fortunatamente, tutto tornò alla normalità.”
“Cosa successe esattamente?” chiese incuriosito Walter.
“Pare che accadessero in continuazione fatti strani e inspiegabili, gente che perdeva la strada di casa, che trovava oggetti spostati al rientro, animali maltrattati e a volte anche uccisi.”
“Anche morti umane, come adesso?”
“No, quelle no, per fortuna. Solo un caso di sparizione. Un uomo sparì all’improvviso, non fece mai più ritorno. Non ricordo il nome.”
“E tutto tornò alla normalità all’improvviso?”
“Sì, così come era iniziato. Speriamo che anche questa volta il bene abbia la meglio. Be’, ora devo proprio andare. Ho la funzione alle 18. Mi farà piacere se vorrà passare dalla parrocchia ogni tanto, indipendentemente dalle sue convinzioni teologiche.”
“Non mancherò” disse Walter, accompagnando Don Mario alla porta.
Adesso devo proprio sbrigarmi, ho solo un’ora per andare all’emporio a comprare quattro cose per dopo pensava Walter. Intanto colei che lo considerava un possibile assassino, la Cinti, era in preda a un’ansia senza nome: strane folate di vento le penetravano in casa, ora da una finestra, ora dall’altra. Una di esse fece sbattere forte le imposte nella stanza da letto. Decise di chiuderle tutte nonostante il caldo. Ora però c’era uno strano odore in casa. Guardò fuori: non sembrava esserci un temporale.
In quell’istante il vetro davanti al suo viso scoppiò come una bomba travolgendole il viso e il petto. Il vento entrò impetuoso e la fece cadere per terra. Renzo Righi non poteva sentirla, avvolto com’era da un brano di Bach a tutto volume nella sua camera, orientata in direzione opposta alla casa della sua vicina pettegola. Enrico, moglie e figli erano in centro a far compere.
Nel rialzarsi la donna si toccò il viso. Si ritrovò le mani completamente insanguinate. Una scheggia di vetro era conficcata nel palmo della mano destra e il sangue sgorgava copioso. Poi anche l’altro vetro, come se qualcuno lo avesse preso in pieno con un bastone, andò in frantumi e cadde su di lei.
3.
“Cominci a prenderci gusto a venire qua a fare il villeggiante, eh?” chiese Lucio, mentre si versava un mestolo di liquido arancione senza chiedersi più di tanto da cosa fosse composto. Intorno a loro, nel piccolo ma elegante giardino, un’altra decina di persone chiacchieravano piacevolmente. A Walter però parve di notare visi un po’ contriti rispetto al solito. Qualcuno aveva le borse sotto gli occhi come se non avesse riposato bene.
“Sì, così riesco veramente a staccare la spina con il lavoro. Ho preso un nuovo cellulare il cui numero è sconosciuto ai miei clienti. L’altro è rimasto a Novara.”
“Una vera fuga dalla città. Voglio però vedere se verrai anche in inverno. L’anno scorso una perturbazione ha congelato tutto. Una sera abbiamo toccato i —16. Un clima siberiano.”
“Be’, dipende da quanta neve dovrò spalare. Hai già pensato a dove andare dopo?”
“Sì, ho già prenotato. Anzi è ora di muoverci. Ho detto loro che arrivavamo alle 9.30 e ci vuole quasi mezz’ora per arrivarci.”
Poco dopo Walter uscì per ultimo dal cancelletto e lo chiuse. Una volta in auto, mentre si dirigevano verso il ristorante, la solita scia di fumo proveniente da dietro il monte colpì la loro attenzione.
“Ma nessuno è riuscito a capire di chi si tratti?” chiese Walter.
“No, non si è ancora capito. Una sera magari facciamo una spedizione e andiamo a vedere.”
“Sarà il mostro di S.Clara che brucia i suoi cadaveri.”
“Non è proprio il caso di scherzare” si infiammò Kris. “Come fai ad essere sempre così cinico?”
“Ehi, ehi!” fece Marione “cercavo solo di sdrammatizzare.”
“Be’, cambia modo, ok? Non mi piace quello che sta succedendo.”
“In effetti è pazzesco tutto questo: sembra la favola dei dieci piccoli indiani in versione horror” concluse Aldo.
Più tardi, sul finire della cena, Kris prese la mano sinistra di Walter sotto al tavolo e non se ne staccò finché non si alzarono.
Il giorno dopo seppero dell’accaduto.
4.
“Quindi, una disgrazia a quanto pare.”
“Così dicono, un’altra ancora. Che brutto periodo, che gran brutto periodo” disse mestamente zia Tilde.
Sarà anche una disgrazia ma quello che dice Kris è vero: troppa sfortuna, è quasi innaturale pensava Walter. E se anche queste cosiddette disgrazie fossero in realtà delitti commessi ad arte da un killer tanto abile quanto spietato? Ma a quale scopo? Non può esserci un movente per così tante uccisioni. Dev’essere pazzo allora, e se è così siamo tutti in pericolo. Pensa un po’: ho fatto tanto per crearmi un angolo di relax quassù e all’improvviso…
“Riparti domani allora?” chiese zia Amelia facendolo risalire dall’abisso mentale in cui era caduto.
“Sì, ma penso di tornare il prossimo fine settimana. Ho bisogno di rilassarmi, anche se negli ultimi tempi non si può dire ci sia il clima giusto.”
“Eh no, proprio no. Ho già una certa età ma non ricordo un periodo simile a questo.”
Il giorno dopo Walter, mentre si trovava in negozio, ricevette la visita di due agenti di polizia. Il mercoledì mattina si presentò alla procura di Verbania nell’ufficio del Sostituto Procuratore Luigi Giacomino.
“Prego, si accomodi” disse il funzionario. Osservò i documenti sul suo tavolo poi, dopo qualche istante, cominciò.
“Dunque Signor Ghetti, l’abbiamo fatta venire qua per mettere a verbale le sue dichiarazioni riguardo la sparizione di Alba Righi. Lei è stato l’ultima persona, a detta del marito, ad aver visto la donna scomparsa. Ora le farò qualche domanda e la prego di cercare di ricordare bene quello che vide e sentì quel giorno. La informo che allo stato attuale lei, essendo stato convocato come persona informata sui fatti e non come persona sospetta, non necessità di assistenza legale durante questo interrogatorio. Se però dovessero crearsi, in base alle sue risposte, condizioni tali da destare sospetti sulla sua persona, sospenderei l’interrogatorio e le consentirei di consultare un suo legale di fiducia, in quanto dal quel momento ogni sua dichiarazione potrebbe essere usata contro di lei in tribunale. E’ tutto chiaro?”
“Chiarissimo. Chieda pure.”
“Mi può raccontare cosa successe nel pomeriggio del 19 agosto, quando vide la signora Righi uscire di casa?”
“Mah, ero seduto in giardino, nel giardino del mio parente Enrico Bovi, e come prima cosa sentii una serie di urla, stavano litigando…”
“Chi stava litigando, esattamente?”
“La Righi col marito. Lui non lo vidi ma ne riconobbi la voce. Si scambiarono anche qualche insulto, credo, poi lei uscì dicendo qualcosa come: me ne vado e non torno più. Non ricordo le parole esatte, sa, stavo cercando di leggere un libro.”
“Poi la signora cosa fece?”
“Vide la signora Cinti e le chiese che cosa aveva da guardare.”
“Quindi la Cinti, la dirimpettaia defunta tre giorni or sono, assistette anche lei alla scena?”
“Sì, era nascosta dietro la finestra, lo faceva spesso.”
“Poi che successe?”
“La Righi si avviò per lo stradello in direzione del centro.”
“Ricorda com’era vestita?”
“Un vestito a fantasia. Forse a fiori, ma non ci giurerei. Comunque non di un unico colore, di questo sono sicuro.”
Seguirono altre domande per lo più di chiarimento, dopodiché l’interrogatorio si concluse.
“Se le venissero in mente altri particolari che possono esserle sfuggiti mi chiami a questo numero” disse il funzionario porgendogli un biglietto scritto a mano. “E’ il numero diretto di quest’ufficio. Per ora la ringrazio e se avremo bisogno di lei la richiamerò.”
Uscì dalla Procura un po’ più disteso, nonostante non avesse avuto nulla da temere da quella convocazione: si sa, il formalismo negli uffici giudiziari mette sempre un po’ di tensione addosso. Quel Dott. Giacomino poi, mentre parlava l’aveva squadrato in continuazione, come per leggergli negli occhi. Per tutto il tragitto che lo separava da Novara non pensò ad altro che a tutto quel groviglio di tristi vicende.
Nei due giorni successivi il bollettino di guerra di S.Clara non migliorò. Il giovedì vi fu un incidente stradale con due morti: un’auto finita giù per un dirupo a causa, pareva, di una banale distrazione del conducente. Il venerdì invece fu teatro di un’altra sparizione misteriosa: Diana Fumagalli, un’impiegata di 26 anni uscita nella pausa pranzo e non più rientrata in ufficio.
Quando il giorno successivo, verso le 13, Walter fece il suo ingresso in paese, il corpo di Fulvio De Stefanis giaceva all’obitorio, ritrovato per puro caso da un pescatore su una riva sabbiosa del lago.
5.
Mentre Walter scendeva verso il centro del paese aveva avuto una strana sensazione, una voce dentro di lui gli aveva parlato.
C’è qualcosa qui intorno, qualcosa che non va…
In realtà non c’era nulla che potesse creare preoccupazioni in quella strada contornata da alberi, ma qualcosa in lui l’aveva messo in guardia, un istinto animale forse, o un’improvvisa e maleodorante folata di vento. Fatto sta che Walter accelerò il passo e, giunto alla scorciatoia, evitò di servirsene. Quando si ritrovò in mezzo alla gente si diede dello stupido. Certe paure cieche appartenevano ormai al suo passato, ma per qualche istante ne aveva dubitato. Si costrinse a pensare razionalmente a ciò che aveva veramente senso, doveva semplicemente comprare pasta, pane e magari un po’ di formaggio fresco per quella sera e per l’indomani. Uscì dall’emporio con più confezioni di quante intendesse comprarne. Si sentì chiamare da una voce familiare. Non si era accorto di passare davanti alla parrocchia.
“Signor Ghetti, come sta? E’ tornato a godersi un po’ di aria fresca?”
“Ah, Don Mario. Si, adesso che ho la casa in montagna me la godo.”
“Bravo, fa bene. L’aria di Novara non sarà cattiva come quella di una grande città, ma qui è comunque migliore. Va di fretta o posso offrirle un bicchierino? Stavolta tocca a me. Mi creda, ne vale la pena, ho un rosato…”
Cesare stava sistemando le candele mentre attraversavano la navata. Anche qui Walter percepì uno strano odore, questa volta indefinibile. Poco dopo, mentre Walter e Don Mario erano seduti in sagrestia, l’aiutante del parroco si guardava intorno, dubbioso.
“Veramente squisito, aveva ragione.”
“Eh, glielo avevo detto, questo è un dono di un mio confratello di Cuneo. Ne beva pure, è l’ultima bottiglia che mi è rimasta. Fino a Natale non ne avrò più.”
“Ho saputo le ultime notizie, sembra che quello che lei chiama Demonio non voglia saperne di andarsene.”
Don Mario si fece il segno della croce con gli occhi al cielo.
“Mi aveva incuriosito la volta scorsa” proseguì Walter. “Può dirmi qualcosa di più su quel periodo di tanti anni fa di cui mi aveva parlato?”
“Mah, posso dirle ben poco in realtà. Io in quegli anni non ero qui. Ricordo solo ciò che mi raccontò Don Clemente quando venni qua come novizio. Disse che per qualche tempo la città era stata teatro di strani eventi, e ricordo quello che disse riguardo la fine di tutto ciò. Disse: Il male se ne andò ma senza essere sconfitto. E il male non sconfitto può sempre tornare.”
“Chissà se c’è un collegamento tra quel periodo e questo” osservò Walter, senza sapere egli stesso fin dove potessero condurre tali elucubrazioni.
“Ora che ci penso c’è una persona che le può raccontare qualcosa di più sull’argomento. Un certo Soldani, un vecchio amico di Don Clemente. Lui probabilmente è a conoscenza di molti più particolari di quanti potrei fornirle io. Vada pure a trovarlo e dica che la manda Don Mario. Dopo le faccio una piantina per spiegarle dove abita.”
Uscito dalla parrocchia, Walter percorse a ritroso la viuzza a serpentina che conduceva verso casa. Stava giungendo all’imbocco della scorciatoia quando per poco non rovesciò la borsina di plastica dalla sorpresa. Un ragazzino era sbucato da dietro la curva correndo come un razzo. Walter si era appena ripreso dall’emozione quando lo scontro con un altro ragazzino sbucato improvvisamente dai cespugli gli fece scivolare di mano la spesa.
“AAAAHHH!!!” Il ragazzo mandò un urlo di terrore.
“Ehi! Ma cosa state…”
Rimasero a fissarsi un istante, poi il giovane scappò via a raggiungere il suo amico. Walter si chinò a raccogliere le sue cose. L’odore era fortissimo adesso, quasi insopportabile. Gli ricordava…si, quando aveva trovato quel cane investito. Ecco cos’era, odore di cadavere! Si fece coraggio e discese il sentiero. Istintivamente si turò le narici. Dapprima non notò nulla poi, con la coda dell’occhio, vide qualcosa. Una catasta di rami. E spuntava…una mano! Si avvicinò ancora e capì il motivo della fuga precipitosa dei due ragazzini terrorizzati.
Si guardò attorno, era nello stesso punto dove tanti anni prima…non volle pensarci. Risalì il sentiero fino alla strada e dimenticando la sua spesa si diresse di corsa al posto di Polizia.
6.
Erano le 9.10 quando chiamò Kris per chiederle se le andasse di cenare fuori.
“Ti sento un po’ scosso. Qualcosa non va?”
“Non si è ancora saputo in paese?”
“Saputo cosa?”
“Del ritrovamento.”
“Che ritrovamento?”
“Vengo a prenderti con la macchina e ti spiego tutto.”
Circa mezz’ora dopo, alla Pizzeria Caprese, le raccontò di come aveva scoperto il corpo di Alba Righi.
“Non hai fame, vedo. Ti capisco. Hai visto il cadavere?”
“In realtà no ma, mentre recuperavano il corpo, il Capo della Mobile mi ha descritto in che condizioni era. Dopo sono andato dietro un cespuglio a vomitare.”
Lei gli prese la mano.
“L’assassino l’ha uccisa piantandole nel corpo dei paletti di legno appuntiti, poi l’ha occultata sotto una catasta di rami.”
“Dio mio!” fece Kris, mettendosi le mani davanti agli occhi.
“Pare anche che sia morta lentamente.”
“Dai, non pensarci ora, non torturarti.”
“Mentre la portavano via, sotto il lenzuolo ho visto una sporgenza all’altezza della bocca. Probabilmente le ha piantato un paletto anche lì” disse, mentre gli si strozzava la voce.
“Basta adesso! Sai cosa facciamo? Ci facciamo mettere le pizze nei contenitori e ce le portiamo a casa mia. Quando te la sentirai di mangiare le riscalderemo in forno, ok?”
“Sì, è una buona idea. Il mio frigo è vuoto, non ho nemmeno recuperato la spesa che avevo rovesciato sulla strada.”
“E poi rimani a dormire da me, così non ti farò fare brutti sogni.”
“In effetti stasera sono io che ho bisogno di assistenza. Rischi però di passare tutta la notte in bianco, insieme a me.”
“Questo non è un problema fra noi” sorrise Kris, anche se non con troppa allegria.
Anche lui sorrise.
7.
Nel bar non c’erano altre persone, oltre a lui ed il barista. Svegliatosi verso le undici era uscito per prendere un caffè e leggere il giornale. Nessuno in giro, solo il cortiletto della chiesa era brulicante di persone per la funzione domenicale. Walter lesse il suo nome sul giornale per la prima volta nella sua vita, nell’articolo che descriveva l’accaduto del giorno prima. Un particolare era oggetto di dubbi: la morte della Righi risaliva a quattro giorni dopo la sparizione. C’era un intervallo di diciotto giorni in cui il cadavere non era stato ritrovato. Era impensabile che per tutto quel tempo nessuno di coloro che avevano utilizzato quel sentiero avesse mai sentito il forte odore dovuto alla decomposizione. Probabilmente l’assassino aveva trasportato il cadavere in quel luogo solo di recente, per far sì che qualcuno lo ritrovasse.
Il suono delle campane che chiamavano a raccolta i fedeli gli rammentò la conversazione del giorno prima con Don Mario. Gli era venuto un improvviso desiderio di indagare, di cercare nel suo piccolo di capire quali segreti potesse nascondere quel piccolo centro. Decise di recarsi a fare la conoscenza di questo tale…come si chiamava? Soldani.
Nel pomeriggio si ritrovò a suonare il suo campanello. Gli apparve un uomo anziano ma robusto, con barba e capelli bianchi. Aveva un che di familiare. Teneva la porta aperta ma non completamente, come se intendesse richiuderla a breve.
Walter si presentò cercando di spiegare il più chiaramente possibile i motivi della sua visita. L’uomo lo lasciò parlare squadrandolo con un’aria incuriosita. Poi chiese:
“Dove ci siamo già visti?”
Di fronte a quella domanda Walter realizzò.
“Ah, sì, un giorno ci siamo incrociati in cima al monte.”
“Già, ora ricordo. Ero a caccia di minerali, una mia vecchia passione. Lei è quello che ha preso casa nella borgata vecchia, per caso?”
“Sì, sono io. Il paese è proprio piccolo” rispose Walter un po’ sorpreso.
“Sa, non l’avevo mai vista prima e io qui conosco tutti almeno di vista. Sono nato e vissuto da queste parti. Be’, venga dentro, vediamo se posso esserle utile.”
L’uomo era piuttosto affabile, a dispetto della prima impressione suscitata. Probabilmente era solo un po’ sospettoso. Walter intuì presto dal suo modo di discorrere e dalla sua biblioteca casalinga che doveva trattarsi di una persona di notevole cultura. Era infatti un professore di Scienze Naturali, ora in pensione, che di tanto in tanto dava qualche lezione ai figli di parenti e amici.
“Mi dica, cosa le interessa sapere?”
“Come le dicevo, Don Mario ha parlato di un periodo, anni fa, in cui qui accadevano cose strane. Un po’ come adesso anche se in tono decisamente meno drammatico.”
Soldani lo scrutò come se cercasse di capire se poteva o no fidarsi di quello sconosciuto. Poi iniziò a raccontare.
“Tempo fa, nell’estate del 1978, il mio buon amico Don Clemente che lei, mi diceva, ha conosciuto in gioventù, mi chiamò per chiedermi un parere sulla possibilità che certi fenomeni bizzarri fossero spiegabili scientificamente. Aveva ascoltato le confessioni di alcuni suoi parrocchiani che asserivano di aver vissuto situazioni al limite dell’assurdo. Da buon uomo di chiesa mantenne il segreto sui nomi delle persone ma, preoccupato dall’acutizzarsi del fenomeno, mi raccontò tutta una lunga serie di casi quanto meno inusuali, in cui pareva esserci qualcosa che sfuggiva al controllo della scienza.”
“Per esempio?”
“Un tizio si trovava i bicchieri della dispensa riempiti di latte a ogni risveglio, un altro asseriva di aver portato in casa per tre volte la stessa cassa di frutta ed essersela ritrovata altrettante volte di nuovo fuori dall’uscio. Una signora si svegliava tutte le notti immaginando che la sua casa fosse in fiamme, per poi tranquillizzarsi solo una volta uscita all’aperto. Ed erano tutte persone che non avevano mai dato segni di squilibrio prima. Poi si cominciarono a trovare animali sgozzati o strangolati un po’ ovunque. I volti della gente in giro erano sempre timorosi e disorientati.
“Quanto durò tutto questo?”
“Due o tre mesi, praticamente tutto il periodo estivo. Più o meno da giugno ad agosto.”
“E come finì?”
“Fini di colpo, senza apparente motivo. E fortunatamente senza fatti di particolare gravità.”
“Don Mario però mi ha parlato di una persona scomparsa in quei giorni.”
Soldani sorrise. “Eh, Don Mario ha la lingua lunga davanti al bicchiere. Sì, un nostro giovane concittadino sparì all’improvviso senza fare più ritorno. Ma come mai questo interesse per cose che appartengono al passato?”
“Be’, a volte il passato ritorna. Anche questo è un periodo molto particolare.”
“C’è un’atmosfera pesante ultimamente, eh?” chiese il signor Soldani.
“Eh, sì! Un mese fa sembrava il paese più felice del mondo e ora…”
”…e ora ognuno guarda il suo dirimpettaio con sospetto, come se temesse di riconoscere in lui il mostro di S.Clara, come diceva una giornalista.” Soldani disse questa frase con voce ironica ma per nulla divertita.
“Certo…finché non troveranno l’autore o gli autori di tutto questo.”
“Degli omicidi, intende? Non sarà facile, non tramite le forze dell’ordine, almeno. Non che io non consideri la nostra Polizia sufficientemente preparata, ma le vie che portano alla soluzione di questo mistero non sono a portata di mano. Le faccio una domanda. Ci pensi bene. Ha notato un filo conduttore in tutte queste vicende, incidenti e suicidi compresi?”
Walter cercò in pochi secondi di ricostruire le sue conoscenze e dare una risposta sensata, ma non vi riuscì.
“Mmh, no…non saprei proprio.”
“Esatto. E’ proprio questo il problema. Ogni caso è completamente diverso dall’altro, non una situazione, non un particolare che faccia risalire ai casi precedenti. Tutto ciò va al di là di ogni teoria poliziesca. Chi opera in questo modo opera su tutti i fronti, sfruttando tutte le situazioni, con estrema freddezza e lucidità. Sembra quasi onnipresente.”
“Quindi lei crede che anche gli incidenti e i suicidi siano in realtà omicidi preparati con precisione?”
“Potrebbe essere. Poco fa le ho detto che non vi erano particolari comuni in tutte queste storie, ma uno in realtà c’è: tutte le vittime prima di morire erano sole. In perfetta solitudine, in balia di se stesse e delle proprie paure.”
Walter non aveva smesso di ascoltare il suo interlocutore nemmeno per un secondo. Sembrava saperla lunga e…sì, sembrava saperne anche più di quanto non mostrasse.
“Ma lei…ha per caso dei sospetti?” chiese Walter, più che mai incuriosito.
L’uomo non rispose subito. Continuò a guardare nel vuoto, poi si girò.
“Può darsi.” Si alzò e ripeté: “Può darsi. Non me ne voglia, ma preferirei non parlarne. Almeno per ora. Tra poco arriverà la mia…governante, diciamo così. Un’amica di famiglia che ogni tanto mi dà una mano in casa. Devo prepararmi. La inviterei a cena, ma non so quanto la farei aspettare.”
“Grazie, non si preoccupi. Ho già un invito.”
“Torni pure, quando ha voglia di chiacchierare. Alla mia età di tempo se ne ha da vendere.”
Walter si stava già avviando quando Soldani lo chiamò, sull’uscio.
“Dimenticavo” disse abbassando il tono di voce. “Se notasse stranezze di qualsiasi tipo, anche banali, la prego, me le riferisca. D’accordo?”
Walter lo guardò un istante poi rispose affermativamente. Si avviò lungo il viale, sotto il sole che iniziava a tramontare.
(5-CONTINUA)