di Chiara Cretella
La situazione dei precari dell’università, in particolare delle facoltà umanistiche. Ne avete sentito già parlare, ma a nessuno gliene frega niente di questi giovani che non smuovono nulla nell’economia del paese. Quello che serve è manodopera a basso costo, qualcuno in grado di adattarsi al modello neo-liberista, che decida consciamente di scrivere cazzate. Di vendere aria, di abbassare costantemente il tiro verso un’ignoranza diffusa e generalizzata, su cui far leva con messaggi elettorali populisti, buoni solamente per le frasi scontate dei baci perugina. Ridefiniamo il senso comune. Il buon senso, quello che è carico del buonismo dell’adattamento, in cui la legge del più forte schiaccia il più debole. Stare fermi e non dare fastidio sembra essere la più comoda soluzione anche perché permette di non schierarsi.
Il passaggio dalla teoria alla prassi si sta allargando a dismisura. Un’inazione totale, perché totale è il senso di smarrimento di fronte al Corpo-Stato che ci propone la stessa identica mutazione: metamorfosi adattativa, trasformismo, ridefinire il linguaggio della politica mischiando le carte delle barriere tra le opposizioni, esse infatti arrivano a dire la stessa cosa, ad utilizzare gli stessi slogan, senza che nessuno faccia una piega. La frase: Un presidente operaio è solo l’apice di una poetica iniziata da molto. Lo slogan è fare le scarpe al prossimo tuo come le farebbero a te stesso. Il tacere dell’arte è solo la manifestazione più apparente di questi tempi bui. Non c’è bellezza in monadi isolate che tentano disperatamente di comunicare quanto altro è possibile. La Resistenza, anche quella interiore, individuale, ha sempre un fine collettivo. Il corpo è morto, la mente è agonizzante.
Dell’impossibilità cosa dire. La respiriamo tutti i giorni. Questa impossibilità uccide. Cercare delle colpe per queste morti? Non dare la caccia alle streghe mi si dice. Cosa ne sai tu del prossimo tuo? Arrenditi, sei circondata. L’impasse è una situazione di stallo. Il limbo è la non decisione, lasciarsi galleggiare in un mare indistinto, che spesso è un mare di merda. Conosci altri volti però, e spesso sono come il tuo. Volti dove la conoscenza ha solcato una ruga di tremenda consapevolezza. Neanche alla mia gioventù è stato fatto dono della rivolta. Uscita sia dai binari esistenziali di un vitalismo giovanile sia da quelli sociali generati dal conflitto di classe, questa pace: questo PACIFISMO, sembra essere l’espressione principale di un modello acquiescente. Conflitto, contraddizione, che parole sono queste? Fanno rima con guerra. E noi, non dimentichiamocelo, ci raccontano che siamo in pace. Non stiamo facendo la guerra, no. Andiamo anche lì, tra la disperazione dei civili, a portare la pace.
Confronta poi, mia cara, la nostra democrazia con la terribile situazione di molti altri paesi. Almeno qui puoi dire quello che pensi. Nessuno viene in casa tua ad ucciderti perché hai espresso un’opinione. No, qui da noi ci ammazziamo da soli. Ci basta imbracciare le armi della critica. Non serve più la repressione perché il senso comune ha introiettato il modello della repressione e si autodisciplina. Questo significa non più plateali epurazioni, ma condizione comune di rifiuto da parte di tutti gli apparati decisionali. Chi deve entrare deve avere una comprovata fede di servilismo da dimostrare. La catena delle umiliazioni deve conchiudersi in un percorso in cui tu non sei più l’Altro, vivo di una tua autonomia di pensiero, ma sei diventato Altro da te. Sei diventato come loro. Lo Stato capisce. Lo Stato, non è vero che non ci ascolta. Sa benissimo il nostro malcontento, la nostra rabbia. La chiama “disagio” e gira il dito imputando a colpevole il sistema scolastico. Investire sulla formazione. Non ci dice le cose come stanno: Siete carne da macello, vi siete laureati e abbiamo sbagliato a farvi studiare. Non potendo tornare ai Borboni si decide di portare all’estremo il modello: nasce la formazione infinita. Il giovane a cui manca sempre qualcosa per essere pronto per il mondo del lavoro.
Hai un diploma? Ti manca una laurea. Hai una laurea breve? Non puoi fare la professione, devi fare la specialistica. Hai la specialistica? Ti manca un dottorato. Hai un dottorato? Ma non hai neanche un master, uno stage che ci dica che tu sai adattarti a lavorare per noi. Hai un master? Ti manca il praticantato. Ti senti pronto per insegnare ormai? Ti manca la SSIS, praticamente un’altra laurea solo molto più costosa e con l’obbligo di frequenza. Ma almeno questa servirà? Di certo non ti diamo la cattedra. Ti sei guadagnato l’abilitazione ad inserirti nel fondo di una graduatoria dove davanti a te ci sono le migliaia di precari che aspettano da secoli il loro turno. Che fai? Puoi fare causa al tuo compagno! Così se dimostri che il suo punteggio è più basso del tuo, puoi eliminarne uno. Come il Grande Fratello! Si aprono i ricorsi, le cause legali, si creano alleanze trasversali. Sissini contro precari, associati contro ricercatori e via dicendo. Le statistiche di mio fratello, giovanissimo laureato in Economia: Mi presento all’esame da guardia forestale. Seimila iscritti. Diciamo un dieci per cento gli muore un parente e non si presentano. Cinque per cento si rompono una gamba. Quindici per cento perdono il treno. La tua possibilità sta nella tua determinazione a far morire gli altri. Così, mi dice, puoi fare in Università. Buchi le ruote al favorito. Il secondo gli metti l’acciaio liquido nella serratura di casa. Una buccia di banana eliminerà il terzo sulle scale. Le tue speranze si allargano. Difficile però in una struttura in cui se il favorito non si presenta si è capaci di rimettere a bando il posto e dove il marito è capace di fare l’esame alla moglie.
La Moratti ha definito la figura del Ricercatore come una figura “ad esaurimento”. Almeno le parole, nella loro ambiguità, colgono l’essenza del discorso. Esaurimento collettivo, malessere ma non malattia: ribelliamoci all’idea di una nostra inadeguatezza. Tutto questo è solo il sintomo che il conflitto sociale è più forte che mai, ma sembra che di aggressiva sia solo una parte: la classe dominante che si accanisce contro la subalterna. E noi questo modello dell’altra parte, lo stiamo introiettando, dimostrando di avere solo aspirazioni piccolo-borghesi. Entrare nel meccanismo dell’agonismo, fino a passare dalla condizione di reietti a quella dei prevaricatori. Se qualcuno parla di meritocrazia? Come far capire a chi viene dall’estero che la mafia non è un’invenzione letteraria? Che anche in università vige la regola del M.A.F. (mogli amanti figli)? Torna di gran moda la famiglia. Finite, o voi giovani trentenni, i risparmi accumulati dai padri e non rompeteci i coglioni che l’economia deve girare. Chi si ribella da questa logica parentale è considerato orfano. Come spiegare alla mia amica francese che lavoriamo gratis? Siamo masochisti? Non capisci. È la passione. Impossibile. Questo è il retaggio di un paese che ha abortito ogni rivoluzione. Ti stanno inculando rivendendoti che ti piace?
La SSIS costa 3 mila euro più obbligo di frequenza per 2 anni, più esami da dare e tesi finale, più è a numero chiuso, più è inconciliabile per legge con tutti gli altri lavori di ricerca retribuiti e non (assegni, dottorato, lavori a tempo indeterminato). D’altronde se devi obbligatoriamente seguire tutti i giorni, studiare e fare esami, non si capisce come potresti anche lavorare. Chiedi un esonero dalle tasse? Non puoi. Lo Stato non ammette che, anche se fai nucleo familiare da solo, tu non paghi le tasse. Qualcuno, per forza, deve farlo per te. La tua famiglia, dunque, anche se non la vedi da dieci anni, è fiscalmente il mezzo con cui lo Stato non ti dà niente. E noi che credevamo all’indipendenza! Devi essere povero, ma non spudoratamente povero. Anche per avere la casa popolare o l’assegno del contributo affitto. Possono negartelo. Come dunque, ti chiedono gli impiegati, riesci a vivere? Lavorando in nero, ovviamente. Questo non può dirmelo, lo Stato non ammette lavoro in nero perché lei allora evade le tasse, si vergogni! Ho capito! Sono in un’opera di Beckett!
Torniamo alla SSIS: non parliamo delle classi di abilitazione. Interrogate qualche amico e scoprirete i più incredibili sbarramenti. Idem tutte le altre formazioni post-laurea che proliferano in Italia. Il modello della formazione all’infinito. Ti manca sempre qualcosa, così intanto invecchi, ti smembri, sei frustrato, la burocrazia ha minato la tua capacità di incazzarti perché l’impiegato ti dice che è sempre colpa di una legge retroattiva su cui non puoi fare nulla, perditi in ricorsi, ammansisci il tuo buon senso dicendoti che intanto sei fortunato, perché almeno tu un piatto ancora da mangiare ce l’hai e mi raccomando, torna a casa e guarda la televisione anche se fa schifo perché tanto non c’è nient’altro. In fondo i servizi sociali mi aiuteranno. L’assegno di disoccupazione esiste! Mi spiace, spetta solo se hai perso il lavoro e ci hai già versato un tot di contributi, non se non lo hai mai trovato. Che bello! Posso insegnare lettere all’università ma non alle elementari! Chiaro: tanto ad insegnare all’università non ci entrerò mai! In Italia si riesce a dire bianco ciò che è nero. No, cara, ti sbagli. Sei tu che manchi di ottimismo. C’è ancora il volontariato. Aiutare gli altri ti farà stare meglio. Quello che vedi non è nero, i tuoi occhi egoisti percepiscono come scuro ciò che è solo sbiadito per la tua assenza di gioia. Sicuramente sarà la mancanza di fede in Dio, o forse t’ha lasciato il fidanzato? La vita personale in fondo, è la sola cosa che esiste. Non hai mica un corpo sociale che ti può far star male. Sei la zampetta staccata di un polipo che sta cagandosi addosso. E mi raccomando, fatti rubare il tempo, in questa galera che ti hanno cucito addosso. Non decidere nulla, entra nel percorso obbligato del tuo cursus honorum. Lo chiamano iter formativo, serve però, a non farti aggregare alla rabbia degli altri se non per fare le scarpe a chi, ti dicono, ti ha rubato un posto che non c’è. Fai tutto questo, mi raccomando, e fallo perché questa democrazia te lo permette. Cerebralizza tutto, anche il sesso virtuale delle tue dieci chat. Studia quante volte compare la parola “perché” in Dante. Tutto questo nulla dovrà pure significare qualcosa. Non penserai mica, a soli quarant’anni, di scrivere già qualcosa di criticamente creativo? In fondo non sai nulla della vita, l’hai solo studiata sui libri. Fai tutto questo, ma non scendere in strada a fare la rivoluzione. Il bastone e la carota che si allontana esprime quanto la sicurezza della carota sia solo l’arma teorica con cui il bastone legittima il suo potere.
Fare ricerca in Italia significa anche: correggere esami, bozze, fare ricevimento, segretariato, rispondere al telefono, gestire i siti e l’informatizzazione del dipartimento, scrivere libri, fare lezione, tenere seminari, ecc. Mettici poi le spese proprie: biglietto, benzina, parcheggio, tempo, telefonate. Convegni fuori, a spese proprie. Albergo, treno, ristorante. Chi te lo fa fare? Ma così hai un’altra pubblicazione, ti fa curriculum! Oggi ho capito che non c’è niente di più caro di farsi un curriculum. E poi, quando ce l’hai, ti presenti all’agenzia interinale che ti dice: Impossibile prenderla, lei ha un curriculum troppo elevato. Tolga tutto, scriva che ha fatto solo la terza media e la cameriera. E mi raccomando, ci metta qualche hobby. Gli hobby in un curriculum fanno sempre un’ottima impressione. E forse le porte del call-center si spalancheranno anche per lei. D’altronde, si parte da contratti di una settimana. Poi la licenziamo e la riassumiamo. Così ha qualche speranza, anche se, in tutta onestà, preferiamo gli uomini. Lei ha quasi 30 anni, se la assumiamo part-time, anche se si tratta di un mese solo, e poi ci rimane incinta?
Ecco, mi invade la chiarezza della dianoia di un precario esistenzialismo: che anche il corpo stia perdendo la sua capacità di creare?