di Marilù Oliva

mammanaAntonella Ossorio, La mammana,  Einaudi, Milano, 2014, pp. 280, € 18,50

La mammana è uscito ieri per la collana I coralli di Einaudi. L’autrice, Antonella Ossorio, è nata a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, ed è cresciuta «a pane e scrittori latinoamericani. Marquez, Amado, Saramago. Ma non solo: Byatt, Kristòf, Yourcenar». Fino a ieri aveva pubblicato storie in versi, soprattutto, e filastrocche con diversi editori, tra cui Einaudi Ragazzi, Giunti, Electa, Rizzoli.  La mammana rappresenta, quindi, il suo esordio nella narrativa storica.

Il romanzo si apre con una cometa stralucente e le stellari conseguenze che rigurgita sulla terra plebea: cagne che ululano come lupi, galline che covano uova immaginarie, capre belanti in preda al delirio di mungitura. E Lucina – 26 anni, un capolavoro del creato – è la mammana eponima del libro, opera luoghi pittoreschi e decadenti come Marzanello, «un ammasso di rovine in cima a una montagnola, circondato da resti di torri a testimonianza dell’antica gloria; il poco che rimaneva di un borgo abbandonato da oltre un secolo che andava disfacendosi a ogni soffio di vento».

Lucina non dorme, quella notte, e fa bene, perché il dovere la chiama prepotentemente e subito il lettore ha modo di seguire incantato questa levatrice sapiente dai capelli neri raccolti a crocchia. Divisa tra esperienza e senso pratico, si muove con maestria, per nulla intimorita, «tanto i neonati pure se sembrano fragili come fiori di magnolia sono piú tosti del ferro».

L’ascendenza magico-realistica di questa narrativa si percepisce e non solo a livello ritmico, fin dalle prime pagine: la scrittura cola morbida e colorita sulle esistenze, impregnata di suggestioni dialettali, di quei proverbi belli di una volta, scende con grazia sui personaggi, sui gesti, colma ogni interstizio, scivola veloce sulle discese dei passaggi. In più, restituisce all’epoca narrata la sua veste autentica – per le ricerche, mi spiega la Ossorio, la documentazione è avvenuta sui libri e sulla rete: in primis, il sito dell’Osservatorio di Capodimonte – sia che si tratti di abitudini antiche, sia che riporti nozioni di neonatologia ottocentesca. Così, ad esempio, quando nasce Stella, il lettore entra in quella stanza – il tempo di una pagina – e coglie il miracolo del nuovo arrivo:

«Per pelle aveva un velo da sposa, per occhi due cristalli di rocca e sul capo una lanugine bianca. Come se per i nove mesi durante i quali aveva soggiornato nel ventre di sua madre, anziché nel liquido amniotico fosse stata immersa nella soluzione detta acqua di Labarraque e dai piú volgarmente chiamata niveina, candeggina o talvolta varechina. Di un bianco abbacinante, e per giunta femmina, era la ventottesima creatura trascinata sulla faccia della Terra per mano di Lucina. Per il resto la neonata appariva normale, anzi perfetta. Questo, a ben pensarci, era il dato piú sorprendente. Non occorre essere una levatrice provetta per sapere che i bambini nati da parti difficili portano stampato addosso il marchio del dolore e, in assenza di danni piú seri, presentano ovunque tumefazioni e petecchie. E che la loro testa ha spesso la forma d’una pera; pera mastantuono, nel migliore dei casi, in quelli piú complicati pera spadona. Ma il cranio della bambina bianca era rotondo come una mela annurca, i lineamenti armoniosi e le dita di mani e piedi – Lucina dopo averle contate sospirò di sollievo – parevano quelle d’un Gesú Bambino di Biscuit».

Antonella Ossorio

Antonella Ossorio

Ma Stella non la vuole nessuno e se la porta via Lucina. Poi c’è Bartolomeo, che s’ingegna di trovare il modo per nutrire la piccola, e fa quel che può per essere d’aiuto: amore disinteressato, animo puro, sempre schierato dalla parte di Lucina anche quando gli sembra pazza da legare. Un angelo custode che ogni mattina «si svegliava disposto a rivoltare il mondo per agevolarle il volo». La mammana lo possedeva senza concedersi, anzi: in cambio gli elargiva solo la facoltà di coltivare una speranza: che meraviglia, questa vicinanza disinteressata, questo scambio fatto di doni reciproci mai chiesti.

Il tema della fuga tocca dapprima il personaggio di Biagio – che «se ne fuggí da Grazzanise per non tornare mai piú» insieme al cane Cicillo, diretto a Mondragone da Zi’ Lena, grazie alla quale acquisisce anche lui le nozioni preziose del mestiere di mammana. Ma questo succede 9 anni prima della vicenda di Lucina e Stella, anche se le storie procedono parallele per poi convergere al momento opportuno.

Il desiderio dell’altrove si impossessa quindi anche di Lucina. Ed è qui che la scena si sposta nella sfolgorante, fragorosa, superstiziosa, babelica Napoli, epicentro sacro e profano dove il sangue delle sante si liquefaceva ogni martedí. La descrizione della città, vissuta dagli occhi stranieri della mammana, è una fotografia immaginifica scattata con forti pennellate che coinvolgono tutti i sensi:

«Da lí, in un colpo d’occhio vertiginoso, aveva visto l’essenza di Napoli zomparle addosso e un turbamento insidioso le si era appiccicato alla pelle. Gli ambulanti che facevano a gara a chi strillava piú forte per magnificare la propria merce, il viavai di uomini e donne, vecchi e bambini – Gesú, che ci facevano tutte quelle creature buttate in mezzo alla strada? –, i rumori e i richiami che si sommavano in una voce sola, gli odori di mangiare mescolati al lezzo di urina, spazzatura, frutta marcia; tutto questo, e quanto d’altro si nascondeva nei vicoli, esprimeva un’unica, risoluta volontà: fare scema la morte che, acquattata dietro ogni angolo, aspettava di riscuotere il suo. Quell’oscura presenza, confusa in mezzo a un’esplosione di vita, Lucina l’aveva avvertita come mai prima».

L’amore materno elargito da Lucina a Stella si dipana giorno dopo giorno con la delicatezza delle certezze sorte col sole: un affetto genuino e totale, fatto di dedizione, premure, momenti giocosi. Non anticipo lo svolgimento della storia né gli altri personaggi che incontrerete – come Rosario Di Fazio, conosciuto però con un altro nome – aggiungo invece che le grandi date storiche stringono il nodo degli eventi quando Napoli viene inondata dai tumulti. Tumulti di cui già da tempo trapelavano notizie:

«Ogni tanto le giungevano voci dell’ondata rivoluzionaria che stava scuotendo l’Europa; entità geografica che le rimaneva misteriosa, se non per la vaga percezione che si trovasse da qualche parte su al nord e dunque, per grazia di Dio, lontana lontana. A marzo, a ribellarsi per cinque sanguinose giornate era stata la città di Milano; contro quale autorità, e a favore di chi la faccenda si fosse conclusa, lei non lo sapeva. Né la turbava piú di tanto che al principio dell’anno, come Bartolomeo aveva rimarcato nelle ultime lettere, ci fossero stati disordini pure in Sicilia; tanto l’isola, pur facendo indiscutibilmente parte del Regno, aveva la virtú d’essere a rassicurante seppur non spropositata distanza da Napoli».

A chiudere il cerchio con l’incipit, un’altra cometa pone fine al romanzo, quella del 1858, più grande e luminosa della precedente del ’43: si chiama cometa Donati. Eccola, la storia grande e quella cosmica che bussano alle pagine, ecco come epopee, eventi astronomici, terremoti e sovranità si intrecciano alle storie del singolo, singolo costruito sulla finzione e sulla realtà, grazie a quell’alchimia preziosa fatta di dilazioni e avvertimenti che l’autrice mi racconta, sollecitata da una mia domanda conclusiva sulla genesi di Lucina:

«La mia mammana, pur essendo un personaggio di fantasia, non avrebbe mai visto la luce senza Carolina. Carolina Cracami, vissuta nell’ ‘800, nacque a Palermo e morì a Londra all’età di 9 anni. Era detta “la nana siciliana” e considerata l’essere umano più piccolo del mondo; come tale, veniva esibita come fenomeno nei circhi e nelle corti di tutta Europa. A Londra, dove morì, si trovava appunto per “esibirsi” davanti alla regina. Questa storia, che conobbi casualmente, mi colpì molto. Per anni ho meditato di scriverci un romanzo, ma continuavo a rimandare: come trovare una chiave del tutto nuova per raccontare una diversità? Poi un giorno presi il coraggio a due mani. Come co-protagonista mi ero inventata un’anziana nutrice. Solo che lei a essere anziana e a rimanere nelle retrovie non ci stava; prendeva sempre più spazio e, a dispetto delle mie intenzioni, era giovane e bella. Intanto anche Stella prendeva forma, e di Carolina non rimaneva più niente se non il seme che aveva piantato dentro di me: la convinzione che spesso è il contesto a determinare la diversità di qualcuno. Insomma, Lucina è venuta fuori in modo quasi medianico, io sono stata solo un tramite. Certi personaggi fanno quello che vogliono e a noi non resta che assecondarli».

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